il Fatto Quotidiano, 20 marzo 2024
Biografia di Clint Eastwood
“L’eroe invecchiato rimane eroe, anche se acquista al contempo una debolezza, una sorta di fragilità che ce lo rende infinitamente più vicino”. Lo scrive Alessandro Cappabianca nella bella prefazione a Spettri di Clint, ovvero L’America del mito nell’opera di Eastwood, che Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri licenziano con i crismi dell’originalità, propria, e dell’unicità, del novantaquattrenne – il prossimo 31 maggio – Clint Eastwood.
La cartografia, e correlata cosmogonia, su cui gli autori impiantano una ponderata e sorprendente analisi del corpus e dell’humus eastwoodiano la lasciamo alla vostra lettura, intanto diamo i numeri di questo unicum: 71 film interpretati, 53 prodotti, 45 diretti, anzi, 46 con il nuovo Juror #2, dramma processuale che vedremo in autunno. Una eccellenza culturale e, ancor prima e più, una eccezione sistemica: “La ‘totale libertà’ espressiva conquistata da Clint Eastwood, e da Woody Allen, dentro Hollywood è stata una delle poche vittorie politiche della loro generazione”. In aneddotica, “Facevamo sempre come voleva lui”, confessato da un ex presidente della Warner Bros, e “Basta che dica ‘Questo non lo potete fare’ e tutto si blocca”, asseverato da John Carpenter.
Gli autori fanno discendere siffatto imperativo libertario o, se preferite, imperiosa libertà dai giovani del Secondo dopoguerra, per cui la libertà è una sfida, “non un ‘dover essere’ da seguire, ma un disegnare nel vuoto davanti a sé”, e messo nel mirino dell’ispettore Callaghan non l’America degli innocenti, bensì “la società dei forti” procedono all’annessione ideologica: “Clint era dalla nostra parte molto tempo prima della riabilitazione critica del terzo millennio – al di là delle contraddittorie dichiarazioni politiche – dalla parte del bambino Cherokee discriminato, della donna aggredita e indocile… contro i presidenti degli Stati Uniti corrotti e assassini”.
Dunque, come metterla con Donald Trump, a cui sovente e (in)debitamente il Nostro viene accostato? Cuore e penna a sinistra, Ciotta e Silvestri si rimettono al collega francese Jacques Mandelbaum, che recensendo “il sottile e luminoso Sully” nel merito ascrive a Eastwood un “doloroso enigma”. Che vuol dire? I tre preferiscono contemplare la sua adesione al Partito Repubblicano “come se fossero ancora i tempi di Lincoln”, e più non dimandare. Se quel trentacinquesimo film, sul miracoloso ammaraggio sull’Hudson del pilota Tom Hanks, “scavalca l’individualismo del cavaliere solitario, e orchestra il coro dell’America che solo unita può salvare e salvarsi”, i conti sono lungi dal tornare: oggi chi guida quel coro, Trump o Biden? Non è dato sapere, ma forse lo sappiamo, e a più di qualcuno non piacerà.
Del resto, nell’intervista agli autori pubblicata sul manifesto del 21 settembre 1988 e riportata in appendice, alla considerazione di Billy Wilder per cui gli americani quando sono giovani e poveri votano democratico, adulti e ricchi repubblicano, Clint risponde: “Non è più così, ho letto un articolo su un giornale secondo cui molti giovani votano repubblicano, e così la classe media, perché i democratici non hanno fatto abbastanza per meritarsi il voto. In America tutti debbono pagare i loro conti”.
“Corpo erotico di fronte alla cinepresa, occhio spietato dietro di essa”, come rileva Anna Camaiti Hostert nella postfazione, Eastwood è indagato anche nel suo rapporto cinematografico con l’altro sesso, ed ecco con buona pace delle anime belle – e delle diete woke – palesarsi il “ladro di identità femminili”: il critico francese Stéphane Bouquet ne stigmatizza “l’intento non di dar voce alla donne, ma di prendere il loro posto”, Ciotta e Silvestri levano la patina insultante e accolgono la sostituzione “generica”, sottolineando al contempo come “nessuna delle sue protagoniste è una bellezza”.
Ma Eastwood guarda e passa, l’America per specchio, il cinema per spettro, proponendosi sulla scorta di Henry D. Thoreau e Walt Whitman quale “modello possibile dell’America”, e facendo della disobbedienza monito esistenziale e prassi artistica. Ciotta e Silvestri prendono dalla postfazione di Franco Meli a Disobbedienza civile di Thoreau, e fotografano Clint “pronto a difendere le vittime ‘con la penna ma anche con il fucile: per risvegliare la coscienza nazionale sono a volte necessarie sia le pallottole di un visionario che le intransigenti parole di un profetico trascendentalista’”. E sembra di essere a Capitol Hill il 6 gennaio del 2021.