La Lettura, 17 marzo 2024
Ringiovanire, allungarsi la vita ecc.
Redwood City (California). «Sappiamo ormai da quasi vent’anni che è possibile ringiovanire cellule come quelle del nostro corpo. Nel 2012 il medico e ricercatore giapponese Shinya Yamanaka ha vinto il premio Nobel per la medicina grazie a una scoperta fatta anni prima: qualunque cellula adulta, ad esempio quella della pelle di un dito, può essere riprogrammata usando quattro transcription factors, da allora battezzati Yamanaka factors: proteine capaci di far ritornare la cellula fino al livello embrionale. La possono fare diventare qualunque altro tipo di cellula: quella di un muscolo può diventare fegato o neurone. Entusiasmante vero? Qui lavoriamo su questo. Ma la strada per passare dal laboratorio alle nostre vite è ancora lunga».
Siamo negli Altos Labs, nel cuore della Silicon Valley, in California. O, meglio, nei suoi uffici, perché i laboratori veri e propri sono off limits. Simone Bianco, lo scienziato italiano che qui è ricercatore capo e direttore del dipartimento di biologia computazionale, racconta a la Lettura la sua avventura nella scienza della longevità. Con grande cordialità e disponibilità, ma anche con molta prudenza: non vuole alimentare attese infondate in un campo – quello dell’allungamento della vita o, almeno, di quella vissuta in buone condizioni di salute – caratterizzato da grandi speranze e grandi difficoltà.
Da anni nell’area della baia di San Francisco cresce il numero di laboratori e aziende che puntano a ringiovanire l’organismo umano e a cercare terapie e vaccini per evitare o ritardare l’insorgere di patologie croniche come il Parkinson o l’Alzheimer, usando, a questo scopo, anche gli strumenti dell’Intelligenza artificiale.
Ad aprire la strada sono stati Larry Page e Sergey Brin di Google che nel 2013 hanno fondato Calico. Un percorso affascinante ma anche accidentato, quello della startup sanitaria dei due geni tecnologici (uno dei quali, Brin, nel 2008 ha scoperto di avere una mutazione che lo espone a un rischio elevato di contrarre il Parkinson). Undici anni e diversi miliardi di dollari dopo, Calico sta arrivando, insieme alla casa farmaceutica AbbVie (ex Abbott) alla sperimentazione su cavie delle prime molecole per combattere lo sviluppo di tumori solidi. Larry Ellison di Oracle ha investito in varie società (tra le quali Life Biosciences e Human Longevity Inc), Peter Thiel ha finanziato Unity Biotechnology, mentre Mark Zuckerberg e la moglie, Priscilla Chan, cinque mesi fa hanno affidato a un altro biologo computazionale italiano, Andrea Califano, il centro di ricerca di New York del loro ChanZuckerberg BioHub, diretto a livello nazionale da Steve Quake: anch’esso al lavoro per prevenire l’insorgere di tumori e gravi patologie croniche.
Pure dietro Altos Labs ci sono dei finanziatori facoltosi: non è mai stato confermato ufficialmente, ma si sa che Jeff Bezos, Bill Gates e il miliardario russo-americano Yuri Milner hanno investito tre miliardi di dollari in questa impresa di ricerca a lungo termine che ha nel suo consiglio d’amministrazione ben quattro Nobel, tra i quali lo stesso Yamanaka, e Jennifer Doudna, premiata quattro anni fa per l’invenzione della tecnica Crispr che consente di modificare il genoma umano usando una proteina come una sorta di forbice molecolare.
Scottati da articoli di stampa con titoli come «le aziende dei miliardari che vogliono vivere in eterno», laboratori e imprese della longevità sono molto guardinghi quanto a comunicazione. Intanto se Retro – altra azienda di un miliardario, Sam Altman di Open AI – dice di puntare ad allungare di dieci anni la vita media dell’uomo , Altos Labs precisa in tutti i suoi documenti di avere come obiettivo quello di prolungare gli anni vissuti in buona salute, non quello di allungare la vita a tutti i costi. E Bianco spiega subito perché applicazioni rivoluzionarie sull’uomo, che pure arriveranno, non siano ancora a portata di mano: «Fin dai primi esperimenti in vitro o in vivo, sulle cavie, gli scienziati hanno visto che, nel manovrare l’orologio biologico delle cellule, si mettono in moto meccanismi difficili da controllare. Portate allo stato di staminali pluripotent (quelle che possono essere trasformate in qualunque tipo di tessuto, ndr) queste cellule diventavano instabili e producevano spesso teratomi, cioè tumori multitessutali. In altre parole, aprendoli ci trovavi dentro molti tessuti diversi». Che cosa fare, allora? «Qui è arrivata un’altra scoperta che è all’origine della costituzione dei nostri laboratori: Juan Carlos Belmonte, uno scienziato spagnolo che ora dirige gli Altos Labs di San Diego, ha scoperto che se tu non fai un’induzione completa, cioè non riporti la cellula fino alle sue origini, ma la fai tornare indietro solo in parte, lasciando che quella del muscolo rimanga muscolo e quella del fegato resti fegato senza arrivare al livello staminale pluripotent, ottieni comunque che queste cellule perdano tutti i caratteri dell’invecchiamento come i danni del Dna, senza che insorgano teratomi. Questo è stato dimostrato e pubblicato. L’emergere di una strada praticabile per arrivare allo sviluppo controllato di questa nuova tecnologia ci ha fatto partire. Ma non è un lavoro semplice né breve. Siamo in un campo nel quale la scienza di base non esiste: le ricerche accademiche pubblicate sono pochissime, non sappiamo quali sono i sentieri biochimici da percorrere e molto altro ancora».
Per questo, spiega ancora Bianco, Altos Labs è nata non come impresa con ambizioni da avanguardia farmaceutica, ma come grande laboratorio di ricerca che tra alcuni anni, si spera, produrrà anche risultati utilizzabili commercialmente per migliorare la salute dei cittadini.
Lo scienziato italiano non parla degli obiettivi economici della sua impresa di ricerca né dei suoi azionisti. Ma la storia dell’origine degli Altos Labs è nota: nell’ottobre del 2020, quando con la scoperta di Belmonte si è cominciato a intravedere un sentiero praticabile per la tecnologia del ringiovanimento cellulare, Yuri Milner, che deve la sua ricchezza soprattutto al fatto di essere stato tra i primi a investire massicciamente in Facebook, ha radunato nella sua villa di Los Altos Hills, le colline dietro Palo Alto, un gruppo di scienziati. Un brainstorming di due giorni dal quale è uscita la road map per la messa a punto di un’affidabile tecnologia della riprogrammazione cellulare.
Sono molti gli accademici che guardano con sospetto a questa moltiplicazione di società finanziate dai miliardari della tecnologia anziché da istituzioni pubbliche. Ad esempio, Alejandro Ocampo, che in passato ha lavorato con Belmonte a San Diego e ora è in Svizzera all’università di Losanna, ha scritto sulla Technology Review del Mit di Boston che si sta andando avanti troppo in fretta e con troppi soldi: le imprese di riprogrammazione cellulare sono otto, lo stesso numero delle ricerche scientifiche fin qui pubblicate in questo campo. Al tempo stesso, Ocampo riconosce che non esiste al mondo un’altra tecnologia promettente come questa: «Puoi prendere una cellula di un ottantenne e trasformarla, per ora in vitro, in quella di un quarantenne».
Altri parlano di narcisismo, individualismo ed egoismo di miliardari che si preoccupano solo di migliorare ed estendere la propria vita.
Va però anche detto che fin qui gli istituti di ricerca pubblici si sono interessati poco dei progressi sulla longevity: solo di recente hanno cominciato a investire risorse consistenti in questo campo. Rick Klausner, gran capo di Altos Labs, in passato è stato direttore della Fondazione di Bill e Melinda Gates, chief scientist del gigante biotech Illumina e ha diretto per undici anni il National Cancer Institute, l’ente federale per la lotta ai tumori.
Certo, i miliardari pensano prima di tutto ai loro interessi, e farlo in un mondo già pieno di diseguaglianze e in un campo delicato come quello della salute e del prolungamento della vita, solleva interrogativi. Ma c’è anche chi nota che i grandi capitalisti, proprio perché interessati all’impatto sulla vita, per una volta possono non essere assetati di profitto. E possono anche rischiare molto, permettersi di andare avanti per tentativi, fare molti errori. Cosa più complicata per chi, usando denaro pubblico, deve rispondere del suo uso davanti alla collettività e ai contribuenti.
Bianco su questo ha un’idea chiara: «Sono venuto qui non soltanto perché ci trattano bene, ma perché, oltre ad affidarci una sfida affascinante, ci hanno messo a disposizione una quantità di risorse tale da garantire di poter fare ricerche approfondite e per molti anni». Lo scienziato sostiene anche che Altos Labs non ponga limiti alla pubblicazione dei risultati delle ricerche fatte, anche se non esclude che in futuro, con la messa a punto di tecnologie utilizzabili commercialmente, il ramo imprenditoriale di Altos Labs potrebbe imporre vincoli di riservatezza.
Una posizione, quella di Bianco, coerente con la sua storia professionale: quarantacinquenne cresciuto a Taranto, lo scienziato si è laureato in Fisica a Pisa ma poi ha fatto tutta la carriera negli Stati Uniti. Iniziando come ricercatore nel campo dei nanomateriali a Dallas, in Texas. Poi in Virginia, dove Bianco ha fatto la sua transizione dalla fisica nucleare alla biologia, occupandosi di malattie infettive e febbri emorragiche. Poi alla University of California di San Francisco, nel team che ha sviluppato una nuova generazione di vaccini contro la poliomielite. E, ancora, dal 2014 alla Ibm Ricerca, dove è stato messo a capo della task force contro l’Ebola.
La ricerca universitaria, spiega, è splendida ma limitata. Per le risorse disponibili e anche per la possibilità di scambiare esperienze interdisciplinari: «All’Ibm, invece, ho lavorato gomito a gomito con gente che ha fatto la storia in diversi campi della tecnologia. A cinque porte dal mio ufficio c’era Tom Zimmerman, l’inventore della realtà virtuale. E sono stato libero di pubblicare ricerche sui temi più disparati: dal plancton come sensore biologico molto più efficace di quelli chimici che possono essere creati dall’uomo per analizzare le modificazioni dell’ambiente, fino ai polimeri antimicrobi. Una cosa straordinaria: sono polimeri che si attaccano al batterio e lo fanno esplodere. Credo che sia il mio paper più citato a livello accademico. E continuo a pubblicare anche ad Altos Labs: ho un centinaio di pubblicazioni e sono titolare di venti brevetti».
I campi da arare sono vastissimi e il fatto che si siano attivati in tanti, aziende e accademie, è considerato positivo: si arriverà prima a costruire una solida base scientifica. A New York, ad esempio, lo scienziato israeliano Nir Barzilai da anni cerca di dimostrare con test clinici che la metformina, un medicinale molto usato per i pazienti con diabete di tipo 2, rinvia l’insorgere di patologie cancerogene e delle malattie cardiovascolari. Anche un altro farmaco esistente, la rapamicina, un immunosoppressore, secondo alcuni studi (anche della Sissa di Trieste) potrebbe ritardare l’insorgenza di malattie neurodegenerative.
Bianco non può entrare nel merito di specifiche ricerche di Altos Labs ma fa capire che si lavora anche su questi fronti e non esclude che alcuni cocktail di molecole esistenti possano rivelarsi efficaci nel campo della longevity.
L’uomo è già riuscito ad allontanare di molto l’appuntamento con la morte grazie all’igiene, l’acqua potabile, le fognature e, poi, i vaccini, i farmaci, la chirurgia robotica: nell’ultimo secolo e mezzo la vita media dell’uomo, nei Paesi avanzati, è più che raddoppiata. Possiamo fare ancora molti passi avanti e l’intelligenza artificiale è di grande aiuto (Bianco confessa di usare tutti i giorni GPT4, il modello più evoluto di Open AI), ma la longevità, rispetto ad altri campi di ricerca, presenta un problema in più: tempi di sperimentazione lunghi per dimostrare che una certa soluzione funziona. «Per questo – spiega Bianco – un’altra area di ricerca è quella della creazione di una serie di biomarker che consentano di misurare gli effetti di ringiovanimento cellulare».
Materia affascinante e in larga parte ancora misteriosa: non sappiamo, ad esempio, perché un topo viva tre anni, un cane 15 e una balena 200. «Ma sappiano – conclude Bianco – che, nel grafico della longevità, la durata della vita delle varie specie è una funzione della lunghezza del loro genoma. Vale per tutti, salvo che per l’uomo: in base alla lunghezza del suo genoma dovrebbe vivere 30 anni, invece noi siamo arrivati a circa 80».