La Lettura, 17 marzo 2024
Sugli incidenti nucleari
«Non sono un profeta, sono uno storico. Non posso fare previsioni sul futuro. Ma non è così assurdo pensare che il prossimo disastro nucleare della storia possa avere a che fare con la centrale nucleare di Zaporizhzhia».
Serhii Plokhy, docente di Storia ucraina ad Harvard, ha concentrato la sua ricerca sul ruolo del suo Paese, ma già prima del 2022 aveva iniziato a lavorare sulla storia dei disastri nucleari e dopo l’inizio dell’invasione russa ha rieditato il suo Atomi e cenere che esce ora, tradotto in italiano, per Mondadori. Dall’atollo di Bikini a Fukushima passando per Chernobyl, Plokhy tinteggia un quadro dei sei peggiori incidenti nucleari della storia e degli effetti che l’impiego dell’energia atomica – sia di tipo militare che civile – ha avuto sul corso degli eventi e sulla salute dell’uomo e della natura. E sottolinea come ad ogni disastro gli scienziati abbiano appreso nuove informazioni, senza che però la politica sia sembrata capace di governare del tutto questa fonte di energia.
Partiamo dal fondo. La centrale di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, incute timore solo a guardarla, forse ancora di più delle bombe. Lei ha trascorso parte della sua infanzia proprio a Zaporizhzhia. Cosa sta accadendo?
«Siamo di fronte a un unicum: per la prima volta un impianto nucleare si trova coinvolto dai bombardamenti proprio sul fronte di guerra. Nessuno sa con esattezza quello che avviene dentro la centrale, oggi sotto il controllo dei russi. Non conosciamo con precisione il livello di radiazioni della zona circostante e non sappiamo gli effetti che questo potrà avere sui civili che vivono lì intorno o sulle acque del fiume Dnipro che separa la centrale dalla città di Enerhodar, ancora sotto controllo ucraino. Non passa giorno che l’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, non lanci un’allerta sul pericolo di un nuovo disastro. Gli scienziati hanno creato modelli secondo i quali sono in grado di prevedere il prossimo disastro nucleare. Si parla di un incidente prima del 2036. È evidente che si tratta di teorie. Ma se guardiamo la pratica, è chiaro come una centrale sfiorata dai missili ci porti a ipotizzare che quello possa essere lo scenario peggiore».
L’invasione russa in Ucraina ha portato alla luce una paura con cui non facevamo i conti da parecchio tempo. Nei primi giorni di guerra i russi hanno occupato Chernobyl e hanno smosso la terra della Foresta rossa contaminata. Questo ci ha riportato con la mente al 26 aprile 1986, quando abbiamo fatto i conti con un disastro nucleare costato un numero di vittime di cui ancora oggi non abbiamo contezza...
«Esatto. Chernobyl ha cambiato l’approccio dell’opinione pubblica occidentale sull’utilizzo del nucleare. Ma non è stato il primo caso. Penso a Kyshtym del 1957, anche questo avvenuto in quella che allora era l’Unione Sovietica. Kyshtym divenne di dominio pubblico molti anni dopo, nel 1989, anche se fu secondo solo a Chernobyl per la quantità di radiazioni rilasciate. Questo ci costringe a riflettere su un tema importante. Ossia quello della segretezza. Il filo rosso che collega tutti i sei più grandi disastri nucleari della storia è proprio la mancanza di condivisione di informazioni. Nel caso della Russia e dell’Unione Sovietica prima abbiamo notato come il controllo del regime sulla stampa abbia reso molto più facile la censura e l’occultamento di informazioni all’opinione pubblica. Lo stesso Gorbaciov insistette perché si tenessero le manifestazioni previste per il 1°maggio sulla Khreshchatyk, la via principale di Kiev, nonostante il livello di radiazioni fosse già alto».
Lei stesso nel suo libro descrive come questo meccanismo di censura sia stato attuato anche dalle potenze occidentali. Quali sono le differenze?
«Quattro dei sei incidenti descritti sono il risultato delle ambizioni nucleari delle potenze democratiche: Windscale (Regno Unito), Fukushima (Giappone), Three Mile Island e l’atollo di Bikini (Stati Uniti). Ma i governi democratici sono maggiormente incentivati ad essere più trasparenti con i loro cittadini, se vogliono sopravvivere politicamente. Nelle società in cui l’informazione è limitata, l’impatto negativo sulla salute e sull’ambiente è molto, molto maggiore che nelle società aperte e democratiche. Il rischio oggi per la stampa occidentale è forse l’opposto, quello del sensazionalismo e dell’allarmismo. Ma è chiaro come la condivisione di informazioni e la velocità di comunicazione siano fondamentali nella gestione di un disastro. Mantenere il segreto oggi è sempre più complicato, anche per i russi».
Nel libro vengono citati gli scienziati che hanno lavorato sull’atomica: Oppenheimer (con il film fresco di Oscar), Einstein, Sacharov. Emergono le loro perplessità etiche sulle bombe. Oggi il tema si ripropone e la Russia è descritta come una minaccia nucleare. Corriamo il rischio di assistere di nuovo all’impiego dell’atomica?
«Bisogna guardare il quadro generale. Non c’è solo la Russia. Condividere la tecnologia nucleare non è servito ad arrestare lo sviluppo delle armi atomiche, e talvolta ha contribuito a mettere queste armi a disposizione di governi che prima non le possedevano. Un esempio è l’India, che ha prodotto la sua prima quantità di plutonio in un reattore fornito dal Canada e ha definito il suo primo test un’“esplosione nucleare pacifica”. Oggi sono in molti a temere che l’Iran stia seguendo le orme dell’India, e che il suo programma di arricchimento dell’uranio sia un passo avanti verso l’acquisizione delle armi nucleari».
A quasi settant’anni dal discorso di Eisenhower sugli atomi della pace, con 440 reattori attivi in tutto il mondo, il nucleare fornisce circa il 10 per cento dell’energia elettrica globale. Davvero possiamo dire che anche l’impiego per uso civile è dannoso?
«Un impianto oggi costa 112 dollari per megawatt, rispetto ai quarantasei di un impianto a energia solare, ai quarantadue del gas naturale e ai trenta di un parco eolico. Con la costruzione di una centrale nucleare che richiede fino a dieci anni, e i ritorni sugli investimenti che si concretizzano nell’arco di decenni, risulta difficile se non impossibile produrre energia nucleare senza sovvenzioni statali. Inoltre nessuno ha mai interamente dismesso (una cosa diversa dalla semplice chiusura) una centrale nucleare. Non sappiamo quali possano essere i costi complessivi di questo processo, ma ci sono validi motivi per credere che superino quelli della costruzione. In ogni caso, il cambiamento climatico ha riportato il nucleare sul tavolo come opzione per contenere le emissioni di carbonio. Ma ancora una volta l’energia nucleare per i governi non rappresenta l’opzione più allettante. E il motivo sono proprio gli incidenti, bene impressi nella memoria di noi tutti».