il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2024
Intervista a Massimiliano Smeriglio
Onorevole Massimiliano Smeriglio, capita di rado che un politico sappia scrivere.
Non saprei vivere senza la politica che per me è tutto, ma la scrittura è un bisogno quotidiano, intimo, impellente che mi accompagna e mi accudisce.
Il suo ultimo romanzo è un memoir potente, crudo. Un padre evanescente, la difficoltà di sua madre di farle sentire una carezza invece che l’odore del fumo di sigaretta.
Nasco alla Garbatella e covo, nel quartiere popolare di Roma dove alleno le idee che mi fanno battere il cuore per la sinistra, la certezza che la famiglia non è la radice della nostra felicità.
Ha odiato i suoi genitori.
Sì, ho percepito questo sentimento.
Si è trovato anche a reagire con violenza nei loro confronti? A usare le mani?
Questo no, mai. Ho voluto ristabilire, adesso che loro non ci sono più, il senso della mia vita e descriverne il dolore, il peso di una enorme assenza.
È quasi un regolamento di conti con la sua famiglia.
Non giudico loro ma l’idea della famiglia come principio e destino di ognuno di noi. I miei compagni di strada e di vita sono la mia famiglia, i protagonisti delle mie giornate, delle battaglie politiche anche violente.
Giorgia Meloni è del suo stesso quartiere.
E ce le siamo dette di santa ragione.
Ve le siete anche date di santa ragione?
Ce le siamo dette, anche con una certa dose di crudezza, diciamo di violenza.
Lei è stato eletto nel Pd a Strasburgo. Ne è uscito alla fine della legislatura.
Quando ho visto che i miei voti erano quai tutti in dissenso dal gruppo, quando ho constatato che sulla guerra, l’idea fondante di un sentimento comune, il giudizio ci portava così lontani allora ho capito che le nostre strade si sarebbero dovute dividersi.
Lei è arrivato in Europa da vicepresidente della Regione Lazio, al tempo di Zingaretti.
Prima di candidarmi in Europa mi sono dimesso da consigliere regionale. Nessun paracadute ho voluto.
Se fosse rimasto nel Pd avrebbe goduto di una probabile rielezione.
Un partito che dimentica la sua storia, che vota, quasi senza aprir bocca, l’equiparazione tra fascismo e comunismo, dimenticando che in Italia il Pci è stato baluardo dei diritti, comunione di libertà e non di oppressione.
Lei era del Pci?
No, sempre stato a sinistra del Pci. Però è inqualificabile questa distrazione verso la propria storia.
È per il campo largo o stretto?
La politica ha questa cattiva abitudine di fare le cose all’ultimo minuto e preferibilmente male. Il campo largo è il traguardo di un cammino comune, un percorso condiviso e non la soluzione d’emergenza per vincere.
Perché i suoi colleghi parlano male e scrivono peggio? Non è una necessità per chi fa politica di usare con adeguatezza la lingua? Farsi capire bene?
Si usa il frasario consueto, una sorta di vocabolario dell’apartheid politicista. Anche i calciatori a fine partita usano le solite duecento parole del loro mondo. È ignoranza, purtroppo.
Lei stato finalista con un altro libro (Suk ovest, banditi a Roma) del premio Scerbanenco, la sua amicizia con le parole è conosciuta e consacrata.
Il dato drammatico è che non c’è un intellettuale che spenda il suo volto, la propria reputazione per un’idea, un partito. Esiste questo muro divisorio che alimenta la politica dell’istinto isolazionista, non la nutre con le idee, non con i progetti visionari, men che meno con i sogni.
Voi politici non parlate mai del diritto alla felicità. Di come esercitarlo, di come arrivarci almeno vicino. La radice del buon vivere è dopo tutto il buon governo.
La politica non parla di troppe cose, non conosce il linguaggio di chi amministra, non lo intercetta.
Lei si ricandida a Strasburgo.
Sono giunto in Europa con la Nato che era la riserva indiana di militari politicamente avariati, come quei prodotti scaduti che si rinvengono in frigo. Adesso è divenuta un soggetto così influente da gestire incontri programmatici con gli eurodeputati. La Nato che ci dà la linea politica, capisce? Ecco, da questo piccolo dettaglio, la radice del mio malessere e il senso del mio abbandono del Pd.
Il suo romanzo è forte, la sua ricandidatura a Strasburgo è invece debole?
Invece c’è una bella aria, vedrà che riusciremo a superare la soglia del 4 per cento.