il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2024
Cinecittà si rialza, ma gli sceneggiatori sono in ginocchio
C’è ancora domani per il cinema italiano. Grazie, ma non solo, al blockbuster diretto e interpretato da Paola Cortellesi, trionfatore al box office nel 2023 con quasi 33 milioni d’incasso, che ha trainato il pubblico femminile (+77%). Il mercato nazionale ha ripreso fiato (+61,6% gli incassi, +58,6% le presenze su base annua) avvicinandosi ai livelli pre-Covid, anche se resta a -16,3% per incassi e a -23,2% per presenze dal triennio 2017-19. Ma non mancano temi caldi.
Benedetto Habib, presidente dell’Unione produttori di Anica, l’associazione delle imprese del cinema, spiega che “la produzione nazionale ha avuto 18,2 milioni di presenze e 120,7 di ricavi, il doppio del 2022, con una quota del 24,3% del botteghino totale che è stato di 495,7 milioni per 70,6 milioni di biglietti. Sono stati proiettati 356 film di produzione o co-produzione nazionale, 135 in più rispetto alla media 2017-19. I dati dei primi due mesi del 2024 sono in ulteriore crescita sul 2023: credo che quest’anno sarà migliore, anche se non so se torneremo a livelli pre-pandemici. Al box office la produzione italiana, dopo quella francese, ha la quota nazionale più rilevante nell’Europa continentale”. Quanto alle professionalità del settore, Habib spiega che “l’Unione produttori ha firmato il contratto di lavoro con gli attori, con attenzione specifica a questioni come i deep fake, il doppiaggio, le tutele per impedire eccessi nell’uso della tecnologia. Personalmente, credo che lo specifico creativo di scrittura non possa essere sostituito dall’Ai: la tecnologia sarà di grande supporto, ma lo human touch avrà sempre peso e valore”.
Tecnologia, reddito e occupazione preoccupano gli sceneggiatori italiani. Giorgio Glaviano, presidente di Writers guild Italia (Wgi), spiega che il sindacato degli scrittori di cinema tv e web “pone molta attenzione agli streamers, le piattaforme come Netflix. Dopo una grande crescita ora è in crisi il modello del basso costo di abbonamento per una grande scelta di prodotti. Le piattaforme blindano i propri cataloghi, si fanno guerra. Alcune continuano a investire nella produzione, ma tagliano i costi. Scompare il vecchio modello Usa di serie fatte di 24 episodi a stagione, gruppi di scrittura ampi, filiere che puntavano a raggiungere i 100 episodi per far scattare la syndication e sbarcare all’estero, con la ritrasmissione all’infinito. Ora le serie contano in media 6-8 episodi a stagione. In apparenza i titoli aumentano, ma calano le ore prodotte. Gli sceneggiatori italiani, una platea tra 600 e 800 professionisti operativi con continuità almeno triennale, guadagnano in media 24 mila euro l’anno lordi. Briciole a fronte di un business miliardario. Così vivere a Roma, dov’è il cuore dell’industria, costringe la maggior parte di noi a fare due o tre lavori”.
Dietro al calo del reddito c’è la contrazione della fiction nazionale: dopo l’epoca del ricco duopolio Rai-Mediaset, l’arrivo di Sky e poi di Netflix e altri streamers ha portato più prodotti esteri. “Sull’erosione del percepito lavoriamo di concerto con tutte le associazioni di categoria. La direttiva Ue sul diritto di autore cerca di risolvere l’annoso problema della mancata partecipazione agli utili: come Wgi chiediamo l’accesso ai residuals, diritti che in precedenza si negoziavano per ogni Stato, mentre ora che scriviamo per gli streamers prodotti trasmessi in 190 Paesi non riceviamo pressoché nulla”, dice Glaviano.
Poi c’è l’Ai. “Nella Ue ci siamo appena dotati di una direttiva che andrà recepita anche in Italia. Come Wgi abbiamo sottoscritto appelli e interagito in sede governativa per calmierare l’uso dell’Ai: vogliamo introdurre un ‘bollino 100% human made’ per garantire ai fruitori di scegliere consapevolmente cosa vedono. Ci preoccupa che gli algoritmi impongano in ogni Paese una visione culturale e valoriale omogenea, che appiattisce e cancella le specificità nazionali. Chiediamo di avere accesso al catalogo di opere coperte da diritto di autore che sono state usate per ‘istruire’ le Ai e di ottenere il diritto di opt-out per togliere dai dataset Ai le nostre opere che non vogliamo siano usate e plagiate”, conclude il presidente di Wgi. C’è ancora domani, ma la strada da percorrere resta lunga e in salita.