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 2024  marzo 16 Sabato calendario

Intervista a Oliver Bearman


Mal che vada, il neopatentato più veloce del mondo ha un futuro da influencer. Oliver Bearman, il più giovane pilota che abbia mai guidato la Ferrari in un Gp di Formula 1, su Youtube insegna a preparare i tortellini, si fa accompagnare a fare shopping in profumeria e discute di musica: «La mia playlist è un disastro – racconta -, ma adoro Andrea Bocelli e se sapessi meglio l’italiano canterei La noia di Angelina Mango che ha vinto Sanremo. Non ho una canzone particolare per le gare, cerco di tenere la superstizione al minimo perché fa male alla salute». L’appendicite di Carlos Sainz gli ha cambiato la vita, scaraventandolo all’improvviso sulla Rossa: non solo non ha sbagliato nulla, ma il suo 7° posto a 18 anni, 10 mesi e un giorno ha spinto Damon Hill a dire: «È nata una stella». Facile come bere un caffè, all’apparenza. Di certo più semplice che prendere la patente per lui che fu respinto al primo tentativo. Colpa di un semaforo. «Guidare in strada è un’altra storia – ammette l’inglesino -, ci sono un sacco di cose extra a cui pensare. Ho dovuto fare pratica».
Bearman, non vorrà dire che la F1 invece è una passeggiata...
«Beh nemmeno guidare la SF-24, specie a Gedda, è stato un compito facile. Ma ora che ci ripenso ho amato ogni momento».
Come ci si sente da più giovane ferrarista di sempre?
«Come un bambino che ha realizzato un sogno. Avere il mio nome su quella statistica è incredibile, spero che duri a lungo perché debuttare con la Ferrari non capita a tutti. Sono anche il più giovane inglese e il terzo all time (dopo Max Verstappen e Lance Stroll, ndr)».
La cosa più difficile?
«Ho sofferto fisicamente, soprattutto al collo. Lewis Hamilton mi ha praticamente tirato fuori dalla macchina».
Aver battuto lui e Lando Norris cosa significa?
«Sono cresciuto guardandoli. Sì, è stato bello. Come ricevere i loro complimenti».
Lewis è il suo idolo?
«Lui e Jenson Button sono stati gli idoli di casa. Ma ho sempre avuto un debole per Sebastian Vettel».
Le ha scritto?
«Due volte. Prima della gara mi ha detto di godermela, dopo si è congratulato. Gli ho risposto che sono un suo grande fan. Mi ha scritto anche Stefano Domenicali (il boss della F1, ndr). Incredibile ricevere certi riconoscimenti».
Il suo collega preferito?
«Charles Leclerc. Lo era già, ma adesso ancora di più dopo aver visto come lavora e quanto è gentile».
L’ha aiutata?
«Molto, prima di qualifiche e gara. Anche Sainz mi ha dato una grande mano durante il Gp».
Non è che a Melbourne la rivediamo sulla monoposto dello spagnolo?
«Ho sentito che per fortuna Carlos sta molto meglio. Il mio focus è la F2».
La descrivono come sempre «calmo»: davvero non si è mai agitato?
«Onestamente no. Ma in passato non ero così, ho imparato a restare freddo».
Come ha festeggiato con famiglia e amici?
«Papà è dovuto partire appena finita la gara, non l’ho più visto. Tornato a Modena ho fatto una bella cena con tutti quelli della Ferrari, poi di nuovo al lavoro».
Vive in Italia da quando a fine 2021 è entrato nell’Academy della Rossa?
«Sì. Prima più vicino a Maranello, ora a Modena. Ho fatto un upgrade».
La sua giornata tipo?
«Lunghe sessioni in palestra e al simulatore, fondamentale in uno sport che non dà la possibilità di allenarsi».
In Italia sta bene?
«Mi piace il cibo, pasta o pizza nel weekend se il peso lo permette e gli allenatori non guardano... E il clima, anche se quest’inverno è stato freddo».
I suoi hobby?
«Penso di essere piuttosto noioso. Guardo tutte le corse, anche mio fratello Thomas nei kart. Adoro andare in pista con lui, pure con la Ferrari organizziamo giornate di kart per tenerci in forma nelle pause».
Suo padre, David, è stato un enfant prodige come lei: a 18 anni ha fondato Aventum Group, multinazionale nel ramo assicurativo. È vero che ha fatto anche il pilota come suo nonno?
«In un certo periodo hanno corso l’uno contro l’altro, ma non a livello professionale. Ricordo quando da bambino andavo a vederli: l’odore delle gomme e della benzina, mi sono innamorato subito».
La sua prima volta su un kart?
«Buckmore Park, sei anni. Anche allora pensavo che avrei fatto il pilota, lo pensano tutti, ma solo con i primi test in F4 si vede se hai talento».
Sua madre, Terri, avrebbe preferito che studiasse.
«Sarà sempre un po’ triste per il fatto che ho rinunciato all’università, non voleva che lasciassi gli studi nemmeno quando la Ferrari è diventata un’ipotesi concreta. Ma non ero disposto a perdere questa chance unica e sono andato all-in: nel caso peggiore, avrei potuto ripensarci».
Andava bene a scuola?
«Buoni voti alle superiori, predisposizione per le lingue: tedesco, un po’ di francese».
E l’italiano?
«Me la cavo meglio di quanto si potrebbe pensare, mi serve anche in Prema (il team di F2, ndr)».
Potrà insegnarlo a Hamilton.
«Esattamente, spero di arrivare a parlarlo bene».
Sua madre si agita mentre lei corre?
«Più le macchine diventano veloci e meno ha paura, ai tempi dei kart si tormentava le unghie».
La F1 è più vicina?
«Mi sento come se ci avessi messo un piede, sono più conosciuto di prima ed è grandioso. Ora so cosa mi sto perdendo: è una grande motivazione per il futuro».
Un consiglio ai suoi coetanei?
«Non arrendetevi mai, puntate in alto e provateci. Tutto è possibile».