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 2024  marzo 16 Sabato calendario

Intervista ad Anna Bonaiuto

«Finché si tratta di teatro, di cinema, di libri, non mi risparmio. Sul resto, non ci conti troppo».
Anna Bonaiuto, il riserbo è sempre quello della ex ragazza friulana.
«Sì, padre napoletano, lo dico perché la doppia cultura, la bastardaggine, è stata fondamentale. Io mi sentivo felice solo sul palcoscenico, questo è certo. Ma non vorrà farmi una di quelle interviste tutta sentimenti e corna che oggi piacciono tanto, vero?».
Lei ama poco anche quelle tradizionali.
«Lo ammetto. Vedo pure che il genere “vuota il sacco e scappa” viene declinato di più con le attrici, le cantanti, che con i maschi.
Sbaglio?».
Lo sguardo ironico, la battuta fulminante. A casa sua, la terrazza ancora spoglia aspetta la primavera e ti mostra il Palatino, per cupole e tetti. Lei, casco biondo platino, attrice prediletta dai più grandi del cinema e del teatro non solo italiano, ha stipato il David di Donatello, i Nastri, la Grolla, il premio Ubu, la Coppa Volpi senza troppa solennità in una nicchia nel salotto: da tempo è la nostra Meryl Streep. E con la formidabile collega americana ha in comune anche il personaggio irresistibile e spietato di Violet, dal dramma Agosto a Osage County, trionfale tournée appena chiusa per la regia di Filippo Dini con un pregiato cast, del premio Pulitzer Tracy Lett. La prossima valigia la porta invece al teatro Grassi di Milano, dal 6 aprile, conDurante di Pascal Rambert, secondo atto di un trittico intenso immerso nella vita degli attori. Ed è al cinema nei panni di Mariolina, l’agentedell’incontenibile Margherita Buy, che firma la sua prima regia, Volare.
Suo padre, a conti fatti, ha un merito: chiudendo la porta, l’ha costretta a scappare a Roma, in Accademia.
«Noi quattro sorelle, le Alcott: e lui, Giovanni, abituato all’Esercito. Meno male che almeno non fece Salò. Era un ufficiale laureato, divenne preside. Ne ho sempre detto un po’ peste e corna perché per lui il lavoro dell’attrice era riprovevole, in realtà gli devo molto, la prima scintilla…».
Per l’arte?
«La sera ci leggeva l’Odissea, ci mostrava le illustrazioni. Ci ha fatto viaggiare. Ricordo lui che guida, tutto stremato, nella Loira e dopo varie tappe, fa sottovoce a mia mamma: speriamo che Anna dorma, là c’era un altro castello. Io salto su come un grillo: vai, gira, gira, lo voglio vedere! Avevo 12 anni».
Dall’Accademia alle scene, con maestri insuperabili. Da Ronconi a Missiroli, da Cecchi a Moretti.
«Luca Ronconi è stato il primo a togliermi di dosso il sentimentalismo, il pathos. Per me cominciava il divertimento assoluto, scoprire quell’altra faccia del teatro. Poi è stato un lento sottrarre, ma per anni e anni. Cerchi di rubare alle tue esperienze, alla vita, mica solo ai copioni».
Il paradosso di Otomar Krej?a, prima di andare in scena: io ho fatto la regia, voi ora fate il teatro.
«È il regista che aderì alla primavera di Praga, uno dei 100 intellettuali contro la Russia.
Mentre cercavo di impegnarmi in una scena d’amore, mi dice: ma no no, la bellezza è nella verità, non nella recita dell’innamoramento.
Come Ingmar Bergman, inDopo la prova, a un’attrice che voleva conquistarlo: conservate la seduzione per quando siete in scena, non sprecatela nella vita. Alla fine c’è un solo motivo per cui fai l’attore: il piacere.
Parola nobilissima».
Lo stesso piacere che ha provato facendo Violet nello spettacolo di Dini: un’impasticcata, una tagliente madredell’Oklahoma.
«Beh, goduria. La prima battuta dal fondo, nitidamente, era: vaf-fan-cu-lo. Immagini la liberazione. E quando mi ricapita? Con Dini una compagnia fantastica. Ci siamo molto divertiti».
Ma per lei arrivò il grande cinema, con Martone. Poi Sorrentino la trasformò nella splendida Livia Danese, moglie di Andreotti nel “Divo”.
«Sì, personaggio che ho amato. Ma la prima esplosione fu L’Amore molesto. Un successo su cui ci siamo interrogati a lungo. Credo abbia avuto un peso il fatto che né io, né Peppe (Lanzetta), né Licia (Maglietta) fossimo volti così popolari: è come quando io vado a vedermi un film giapponese, o finlandese.
Non conosco gli attori, tutto mi sembra autentico».
Premi ovunque. Intanto lei e Martone
Mondadori Portfolio/Archivio Mar/getty images / Marilla Sicilia
eravate una coppia, e l ’abito sottoveste rosso di Delia incantava anche Cannes.
«Io solo adesso la guardo un po’, quella lì, e dico: però non male. Pensare che ho fatto l’attrice di teatro perché pensavo d’essere bruttina».
Mario continua, con sua moglie, a venire a teatro ad applaudirla.
«Io non ho avuto tante storie, ma quelle lunghe e importanti sono due: e poiché c’era rispetto e sostegno vero, l’affetto resta. L’altro è stato Gianfranco Fiore».
L’autore e regista del suo monologo sulla Principessa di Belgioioso.
«Un uomo incantevole. Di un’intelligenza, di un acume fuori dal comune. Figlio di un aristocratico che aveva fatto il partigiano sulla Maiella, e di una contadina incontrata durante la Resistenza: per cui o aveva il registro del nobile, o ruspante. Coseordinarie, zero».
Non facile.
«Difatti, dopo, non è un caso che abbia scelto un uomo come Mario: autore determinato, puntuale, preciso. Come dire: non dovevo più fare io i biglietti. Gianfranco però è rimasto con me fino all’ultimo. Quando si è ammalato, gli ho aperto casa mia. Il tumore, le cure, i palliativi. L’ho portato in ospedale, eravamo in fase Covid, non me l’hanno più fatto vedere. Non perdono a nessuno di averlo fatto morire senza stringergli la mano».
Cinema o teatro, lei cita un solo ingrediente: l’attore deve avere l’aura.
«Perché cito Jouvet: la densità e l’aura. Però ormai di Jouvet parla solo il mio amico Toni».
Ecco. Il sodalizio con Toni Servillo, a teatro e al cinema.
«PerSabato, domenica e lunedì, Toni mi volle nel ruolo di Rosa Priore anche se non ero la moglie napoletana total. So che funzionava, abbiamo girato mezzo mondo. File lunghissime ai camerini, recensioni lusinghiere, indimenticabile».
Anche Luca de Filippo ne rimase colpito.
Tra voi due un’alchimia impareggiabile.
«Toni è la persona che mi fa ridere di più. Poi è un ossessionato, ma vero: le sfumature di ogni personaggio lo tenevano impegnato notte e giorno. Adoro gli ossessionati. Una sera, chissà perché, l’intonazione di Rosa era uscita perfetta. È un attimo: esco di scena, Toni mi vede, mi assesta un bacio in fronte ed entra. E poi c’è un’altra scena che mi porto con me».
Cosa?
«Isabella Quarantotti, la vedova De Filippo.Venne in camerino, mi abbracciò, con il suo timbro secco: a Eduardo saresti tanto piaciuta. Non c’é premio né applauso che valga quelle parole. Ricordo ancora dov’ero: al Valle».
Lei e Servillo farete insieme Filumena Marturano?
«C’era un’idea, in effetti. Ce lo siamo detti, tanto tempo fa, esisterebbe questo sogno.
Chissà».
Lei non ha timore dell’impegno civile. Era al G8 di Genova, quando morì Carlo Giuliani. Il paese ai tempi della destra-centro?
«Troppo assopito, per i miei gusti. Avvengono cose per cui dovremmo scendere in piazza a migliaia: anche dopo la vicenda dei manganelli. Invece: siamo in ipnosi. Per esempio, sono curiosa di sapere ora il governo come onorerà la figura di Matteotti: è il centenario della sua uccisione da parte dei fascisti. La Regione Lazio pare abbia “dimenticato” di finanziare le iniziative».
Anna Bonaiuto, è recidiva? Fu addirittura sospettata di gravitare intorno alle Br che uccisero Moro.
«Quella è una storia quasi comica. Negli anni Settanta, in piazza Navona, io trovo un volantino delle Br, lo leggo, lo rileggo, mi dico “ma questi perché scrivono così male? Lo devo mostrare a Gianfranco”. Invece dimentico il mio borsello con i documenti insieme al volantino. Passano tantissimi anni, e scopro che qualcuno ha fantasticato sui miei rapporti con le Br».
Pochi anni fa, lungo interrogatorio.
«Ore di verbalizzazione, domande un po’ astruse, risposi com’era mio dovere: non sapevo nulla. Mi guardavo da fuori, sembrava una pièce teatrale».
Le è pesato non aver avuto figli?
«I figli evidentemente non li ho cercati. No, non è stato un rovello».
E l’amore?
«Quello dei fidanzati? No, ora non mi manca. Tutti gli altri li ho. E si sta una favola. Meno fatica».