la Repubblica, 16 marzo 2024
L’ultima intervista a Kurt Cobain
Quella dei Nirvana è diventata la “Grande Rock Story”, ma la parte più importante di quella storia sembra essere ancora la musica. La vostra musica offre quel brivido semplice, potente, del rock che sembra così difficile da ottenere per molti altri gruppi. Quanto vai fiero del lavoro dei Nirvana?
«È interessante perché, per quanto ci sia una dose di gratificazione nel fatto che un tot di gente compra i tuoi dischi e viene a sentirti suonare, niente regge il confronto con la sensazione che mi dà sentire un gruppo che suona un pezzo scritto da me. Non parlo di radio o di Mtv. È proprio che mi piace tantissimo suonare quelle canzoni con un bassista e un batterista bravi. Oltre a mia moglie e mia figlia, non c’è nient’altro che mi dia più piacere. Sono estremamente fiero di quello che abbiamo fatto insieme. Detto questo però non so quanto a lungo possiamo andare avanti coi Nirvana se non facciamo un drastico cambio di rotta. Ho molte idee e ambizioni musicali che non hanno niente a che vedere con il “grunge” inteso come genere di massa, quello che è stato propinato a forza al pubblico pagante negli ultimi anni. Resta davedere se riuscirò a fare tutto quello che voglio fare insieme ai Nirvana. A essere onesto, so che anche Krist e Dave hanno idee musicali che potrebbero non essere in linea col contesto dei Nirvana. Siamo tutti stanchi di essere etichettati. Non puoi immaginare quanto è ingabbiante».
Hai messo in chiaro di non essere particolarmente a tuo agio con l’identità di rockstar, ma una delle cose che emergono chiaramente da pezzi come “Heart-Shaped Box” e “Pennyroyal Tea” di “In Utero”è che senza dubbio hai talento come autore. Magari a volte fai fatica, ma per te il processo di scrittura è rimasto piacevole e appagante?
«Credo che diventi meno piacevole quando inizio a considerarlo il mio “lavoro”. Scrivere è l’unica parte che non è un lavoro, è una forma di espressione. Servizi fotografici, interviste... Quello è il lavoro».
Tu metti sempre molta passione nelle performance.
Quando sei sul palco ti capita di risentire la tenerezza e la rabbia delle canzoni che hai scritto?
«È difficile, perché quello che c’è al cuore della tenerezza e della rabbia di una canzone viene consumata nel momento in cui la scrivo. In un certo senso, ogni volta che suono una canzone sto solo ricreando la purezza di quella particolare emozione. Pian piano, con l’esperienza, diventa più facile rievocare quelle emozioni, ma è una cosa quasi disonesta, perché inrealtà non puoi mai ricatturare pienamente l’emozione di una canzone ogni volta che la suoni. La vera “performance” implica una sorta di recita, che io ho sempre cercato di evitare».
Deve essere una sensazione stranissima per i Nirvana suonare nei palazzetti. Che rapporto avete con le grandi folle che ormai attirate?
«Adesso molto migliore, rispetto ai primi tempi. Quando abbiamo iniziato ad avere successo, io ero molto critico nei confronti del tipo di pubblico che veniva a sentirci. Pretendevo che fossero conformi a una specie di ethos del punk. Mi infastidiva il fatto che attirassimo proprio quelle persone contro le quali la mia musica voleva ribellarsi. Ma poi sono diventato più bravo ad accettare le persone per quello che sono. A prescindere da chi siano quelle persone prima di venire al concerto, io ho a disposizione un paio d’ore per cercare di cambiare il loro modo di vedere il mondo. Non è che cerco di imporgli cosa pensare, però ho a disposizione una piattaforma dalla quale esprimere le mie idee.
Quantomeno, ho sempre l’ultima parola».
C’è sempre una grande maestria nei tuoi pezzi, ma sembra sempre che ti piaccia anche il semplice brivido di suonare la chitarra elettrica.
Suonare la chitarra è un piacere per te, o devi dare battaglia allo strumento?
«Il piacere è proprio la battaglia. Io sono l’anti-guitar-hero. A stento posso dire di saper suonare. Sono il primo ad ammettere che non sono un virtuoso. Non so suonare come Segovia. Ma probabilmente Segovia non saprebbe mai suonare come me».
Nel disco “In Utero” e in concerto, suoni alcuni dei più potenti “anti-assolo” mai usciti da una chitarra. Cosa c’è nella tua mente quando arriva il momento di dare sfogo alla chitarra?
«Meno di quanto immagini».
Krist e Dave contribuisconobenissimo a fare prendere vita ai tuoi pezzi. Come descrivi il ruolo di ogni musicista, te incluso, nel sound dei Nirvana?
«Io posso armeggiare quanto voglio col mio amplificatore, ma è Dave che porta davvero la fisicità nella dinamica delle canzoni. Krist è bravissimo a tenere insieme tutto insieme. Io sono solo il cantante folk che sta in mezzo a loro due».
A parte le interviste, quale è la cosa che ti pesa di più in questo periodo?
«Stare lontano dalla mia famiglia. Il fatto che mi danno da mangiare raffinato cibo francese quando io voglio solo mac-and-cheese. Il fatto che dicono che sono inavvicinabile, quando un tempo dicevano che ero timido. Le interviste le ho dette?».
“Nevermind” ti ha cambiato la vita in modo radicale, ma il fatto che accanto a te c’erano Courtney e Frances deve averti aiutato a tenere le cose in prospettiva.
Quanto ti piace fare il padre di famiglia?
«È più importante di qualsiasi altra cosa al mondo. La mia musica è quello che faccio; la mia famiglia è quello che sono. Quando tutti avranno dimenticato i Nirvana, e io sarò in un tour nostalgico ad aprire per i Temptations e i Four Tops, Frances sarà ancora mia figlia e Courtney sarà ancora mia moglie.
Questo per me conta più di qualsiasi altra cosa».
© Chuck Crisafulli, 1994.