la Repubblica, 16 marzo 2024
La techno patrimonio Unesco quella rivoluzione sotterranea che anticipò la caduta del Muro
“Qua e di là del muro, l’Europa persa in trance/ In Alexander Platz, come in Piazza del Duomo”: mentre l’estetica stile DDR già affascinava, a Reggio Emilia, band come i CCCP, che le dedicavano provocatoriamente canzoni come questa Live in Pankow, la caduta del Muro, “Der Mauerfall”, il 9 novembre del 1989, apriva una prospettiva completamente nuova per le giovani generazioni. La riunificazione portava finalmente a conoscersi ragazzi cresciuti in situazioni diverse ma già uniti da quella voglia di libertà che ancora oggi rende Berlino una città differente dalle altre. Non stupisce dunque che l’Unesco abbia decretato uno dei prodotti culturali sviluppatisi dalla sua particolare situazione – la techno – “patrimonio immateriale dell’umanità”.
Berlino Ovest era già diventata infatti il luogo di rifugio per tutti quelli che, per qualche motivo, si sentivano diversi. Nascono così, in zone come Kreuzberg, case occupate e diversi tipi di controculture: punk, hippie, freak, rasta e gay che qui sono lontani da qualsiasi tipo di discriminazione. Quando cade il muro si liberano altre nuove, fortissime energie e, mentre prima i ragazzi dell’Est guardavano l’Ovest, adesso comincia ad avvenire il contrario. Gli “Ossi”, come venivano chiamati gli abitanti di Berlino Est, in maniera anche naïf, iniziano una febbricitante produzione artistica a più livelli che trova il culmine con l’occupazione nel 1990 del Tacheles, un centro sociale in Oranienburgerstrasse. Il Tacheles diventa un vero polo di arte contemporanea all’insegna della più assoluta libertà contro ogni tipo di censura, quella censura che in DDR l’arte metodicamente subiva. Non a caso il nome viene da una parola yiddish che significa appunto “parlare in modo chiaro e schietto”.
La grande quantità di edifici militari abbandonati crea un grande fenomeno di occupazioni. Si realizzano insomma quelle che uno dei vati della controcultura, Hakim Bey, chiamava T.A.Z. ovvero “Zone Temporaneamente Autonome”, dove si può vivere in un modo alternativo, sia da quello irregimentato e oppressivo comunista che dalla ferocia competitiva capitalista. Le radio che trasmettevano dall’Ovest potevano essere captate all’Est e la techno nella DDR viene tollerata più del rock o del punk perché, essendo senza parole, non viene giudicata “sovversiva”. Ecco perché, alla caduta del muro, la techno diventa il primo linguaggio comune ai giovani delle due parti. Umidi scantinati ed edifici in disuso come il Berghain e il Tresor ne diventano i luoghi sacri.
La storia del Berghain inizia alla fine degli anni Novanta. I fondatori, Michael Teufele e Norbert Thormann, che gestivano il club gay Snax, nel 1998 si trasferiscono in un vasto lotto industriale nel quartiere di Friedrichshain, nell’ex Berlino Est, vicino alle rive del fiume Sprea. Era un edificio grigio e anonimo usato in precedenza per le riparazioni dei treni che loro ribattezzano “Ostgut”, aprendolo a un pubblico sia gay che etero. All’inizio non aveva neppure un indirizzo: sulle mappe appariva come un grande lotto vuoto. Non era illuminato: bisognava avvicinarsi aiutati da qualcuno che conosceva il luogo finché non vedevi apparire delle persone che gestivano l’entrata. Nel tempo si è espanso: il livello superiore è stato trasformato in un’altra pista da ballo. Nel 2003, però, viene chiuso e i vecchi edifici industriali rasi al suolo per lasciare spazio alla sfarzosa O2 World Arena da 17.000 posti. Su un terreno non troppo lontano, il 15 ottobre2004, una vecchia centrale elettrica diventa il Berghain, un nome che deriva dall’incrocio dei due quartieri che fiancheggiano il club: Kreuzberg e Friedrichshain. Soffitti altissimi e atmosfera industriale sono perfetti per ospitare i suoni ipnotici della techno e nasce così il club più famoso del mondo (gli unici italiani che hanno avuto l’onore di suonare lì sono stati i Gaznevada nel 2023), tanto che nel 2016 è stato designato come istituzione culturale mentre, durante la pandemia, è stato trasformato in una galleria d’arte effimera. L’altro club leggendario, il Tresor, nasce nel seminterrato di un grande magazzino in disuso dell’Est nel marzo del 1991 vicino a Potsdamer Platz, sulle ceneri dell’Ufo, il primo acid house club di Berlino aperto dai fondatori dell’etichetta musicale Interfisch. Presto diventa uno dei luoghi dove bisogna assolutamente andare: è un locale enorme a più piani, in continua espansione anche all’esterno, fino alla sua chiusura nel 2005. Che però dura poco: nel 2007 viene riaperto in una centrale termoelettrica dismessa in Köpenicker Strasse. E se dunque il fatto che l’Unesco abbia inserito la scena techno di Berlino nell’elenco dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità, includendo non solo la musica in sé ma l’intera rete di club, rave e street parade che animano la capitale della Germania è sicuramente una buona notizia, la speranza è che la cosa non si fermi lì. Perché anche in Italia esiste qualcosa di analogo: la rete dei Centri sociali che dagli anni Settanta ha costituito un luogo di aggregazione culturale, musicale e politica per tutti coloro che vogliono qualcosa di più di una serata in discoteca. Forse un giorno arriverà un riconoscimento analogo anche per loro.