Corriere della Sera, 16 marzo 2024
Preti sugli sci: «Fratelli sì, ma meglio vincere». Il campionato di Courmayeur
Sulle nevi immacolate di Courmayeur, sotto un cielo che qualcuno lassù deve aver lavato a secchiate, svolazza una tonaca. È quella lunga e nera di padre Jean, stretta sopra da una fascia bianca: il pettorale numero 26. Padre Jean è in gara e scia veloce. Dopo aver aperto di slancio il cancelletto di partenza, piega, curva e serpeggia con grinta fra le porte dello slalom gigante. Quando taglia il traguardo alza una nuvola che t’imbianca: «Pas parfait», scuote la testa. Non perfetto. «Ho fatto un errore sul muro finale...». Chi lo ascolta si stupisce perché non è andata per niente male a don Jean-Yves Urvoy, atletico e occhialuto parroco di una cittadina della Provenza: ha vinto. Si è cioè aggiudicato i campionati internazionali dei preti dell’arco alpino disputati sulle piste valdostane della Val Veny e della Val Ferret, al cospetto di sua maestà il Monte Bianco. Due giornate di sole dopo le intense nevicate: «Un dono di Dio ai suoi dipendenti», chiarisce don Gregorio che neppure lo starter chiama per cognome, Mrowczynski, origini polacche, parroco di Courmayeur e organizzatore dell’evento sportivo.
È il Challenge Delavay, giunto alla 62esima edizione, capace di portare nella perla italiana delle Alpi di Nord Ovest una quarantina di religiosi sciatori per sfidarsi in tre gare: fondo, gigante e combinata. Ci sono sacerdoti, diaconi, canonici di congregazioni, pure un vescovo, arrivano da varie province italiane, dalla Francia, dalla Svizzera, uno dalla Germania.
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Da sinistra padre Claude, don Gregorio e monsignor Ambrosio (foto: LaPresse)
«Venderò cara la pelle»
Un variegato mondo di uomini di Chiesa, una galleria di storie e di insospettabili passioni. Come quella che anima proprio don Gregorio: «Non vincerò ma venderò cara la pelle», aveva lanciato la sfida, agguerrito.
Perché c’è sì la fraternità, ci sono la preghiera, la montagna evocativa e monsieur de Coubertin. Ma c’è anche il cronometro e, dopo aver recitato l’Ave Maria, lo spirito del parroco qui entra in modalità competitiva: «Purtroppo sì – mugugna a fine gara –. Sono deluso dalla mia prestazione, non ho anticipato le porte, troppo largo, mi sono messo a uovo sul falsopiano... devo mangiare meno, mettere più muscoli, aggiustare la tecnica». Sotto l’abito talare batte forte il cuore di un ardente uomo di sport, che fonde fede e discipline anche estreme: «Faccio arrampicata, scialpinismo... Mi piace la fatica della salita e la bellezza della discesa sui pendii incontaminati. Il silenzio delle vette è distensivo e poi devo dire che facendo sport si incontrano molte persone, che se le aspetto in chiesa le vedo solo ai funerali...».
Dai 29 agli 84 anni
I concorrenti hanno un’età che copre oltre mezzo secolo. Si va dai 29 anni del «novizio» don Valentin giunto pimpante dalle vallate svizzere di Sion agli 84 di padre Claude del Gran San Bernardo, che gira da solo con la sua Pandina e porta gli sci in spalla come un ragazzino. Padre Claude, laureato in agraria, è minuto ma ha l’energia di un alpino. Partecipa alla gara dal 1980, con un buco di 14 anni, quando è stato in missione in Senegal: «Ero andato lì quando c’era Craxi che finanziava il progetto, perché il governo senegalese era socialista, e sono tornato quando Craxi è caduto. Oh, quando avevo qualche anno in meno sono arrivato anche secondo in gigante». Ora naturalmente è sceso di classifica ma ne ha comunque lasciati dietro tre, fra cui uno che ha la metà dei suoi anni.
Siamo a Courmayeur ma il nome glam non inganni. Gli «atleti» non soggiornano al Gran Hotel Royal: albergo la Madonnina dei padri Somaschi. «Non è un albergo! – correggono gli stessi padri all’ingresso —. È una casa vacanze: menù fisso, nessun cambio asciugamani, non si conservano alimenti in frigorifero». Non serve, la temperatura aiuta. La casa è comunque pulita, semplice e dignitosa ma soprattutto ha un panorama unico, con il Monte Bianco che in questi giorni sembra una spumiglia.
Spunta Maurice Sessou, africano del Benin, sorriso costante e una certa instabilità sugli sci. Sessou fa il canonico animatore del liceo dell’abbazia di Saint Maurice ed è il cuore giocoso di questo singolare circo bianco. Incarna davvero lo spirito decoubertiano: ultimo e felice. «Sì, di non essere caduto… ho visto per la prima volta la neve nel 2017, quando sono arrivato a Saint Maurice ed è stata una meravigliosa scoperta: l’ho abbracciata e ho detto ma cos’è questa farina, mi piaceva il contrasto, io nero e la neve bianca… e la neve che è rimasta bianca – ride – Adoro la montagna perché ti scopri piccolo... e adoro la gente che di notte ci prepara le piste».
Il prete da battere
Non mancano gli incidenti. Durante la gara di fondo, aperta da un Padre Nostro e dall’ex campione Marco Albarello in versione aiutante e un po’ infermiere, don Gregorio ha raggiunto in discesa il silenzioso padre Olivier. «Dammi pista dammi pistaaa», gli ha urlato. Ma l’altro, che ha qualche difficoltà a uscire di binari, non è riuscito a spostarsi. Morale: travolto. Groviglio di sci, racchette, croci, neve e imprecazioni. «Che succede?», è intervenuto in aiuto Albarello. Si accende la discussione. «Hai sbagliato tu, dovevi lasciarmi passare», gli ha puntato il dito il parroco. «Ma senti questo! – è insorto padre Olivier – Arriva da dietro, mi butta giù e ha pure ragione!».
L’uomo più temuto nel gigante è don Gianluca Dei Cas, massiccio parroco di Livigno e Trepalle che ospita la chiesa più alta d’Europa. Un osso duro. Cinquant’anni, un metro e ottantacinque, sciatore da una vita. Dei Cas è originario di Valfurva ed è fratello di Romina, ex discesista della nazionale. Punta a vincere, se la gioca con padre Jean e don Paolo Viganò. «Quando c’è Viganò si fa dura». Perché questo trentaquattrenne parroco di Morgex, La Salle e Derby, con alle spalle studi classici e filosofici, un tempo faceva il maestro di sci. «Poi ho mollato tutto per il sacerdozio, ho detto “o da una parte o dall’altra”». Quando cala gli occhialoni si risveglia il maestro. «Scia da Dio», fanno la battuta. Il miglior tempo assoluto è infatti il suo. Ma siccome in questa competizione vige la regola della «bonifica dell’età», vengono cioè tolti venti centesimi per ogni anno di anzianità, si è visto superare dal cinquantaseienne padre Jean e anche da Dei Cas, cinquantenne, che si è aggiudicato così la seconda piazza. «Se il tracciato fosse stato più lungo potevo anche vincere ma vabbè», sospira il parroco.
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Il vescovo teologo
Per la cronaca sportiva, padre Jean ha vinto tutte le gare, fondo, gigante e combinata. La Coppa delle Nazioni è andata alla Francia, quella delle diocesi a Como, guidata dal giovane, atletico e tecnologico viceparroco di Livigno Stefano Ferrari, tutina attillata dell’Italia.
Infine, l’alto prelato dei giochi, monsignor Gianni Ambrosio, 81 anni, vescovo emerito di Piacenza, francese fluente e docenza di teologia alla Cattolica. Prima di lanciarsi in pista, messa e benedizione: «Il Signore sia con voi». «Ha detto sia o scia?», sorride un giovane prelato. Il suo amore per la montagna ha radici profonde: «Da bambino m’incantava il Monte Rosa, quando la giornata era limpida lo vedevo da casa mia a Santhià. Il monte è luogo della tradizione biblica, ci si stacca dalla pianura e si è più vicini al Signore». Era al suo esordio ai campionati, penultimo tempo: «Puntavo a salvare la ghirba. Sono felice di aver condiviso l’amicizia con gli altri sacerdoti».
Arriva padre Jean, che parla solo francese. Monsignor Ambrosio traduce la filosofia sportiva del campione: «Jean dice che ha preso la cosa molto sul serio… che si è preso una settimana per allenarsi in Alta Savoia e che è soddisfatto solo quando sa di aver dato il massimo. Dice proprio così».
Ma chi è il mito? Tomba? Thoeni? Stenmark?
Don Gregorio evita rischi: «Gesù».