Corriere della Sera, 16 marzo 2024
Lady Gucci e l’eredità: a processo l’amica di cella
Milano A processo l’ex amica conosciuta in cella a San Vittore da Patrizia Reggiani, quando scontava i 26 anni per aver fatto uccidere l’ex marito Maurizio Gucci, assolto invece l’avvocato nominato sul letto di morte dalla madre Silvana Barbieri come esecutore dell’eredità familiare in una Fondazione ad hoc: con tre rinvii a giudizio tra cui appunto quello di Loredana Canò, con il proscioglimento del presidente di Coni Lombardia Marco Riva, e con l’assoluzione dell’avvocato Maurizio Enrico Carlo Giani – principale imputato visto che il patrimonio della Fondazione di cui è presidente a vita è stimato 18 milioni più 950.000 euro l’anno dagli affitti di 120 appartamenti – la telenovela della famiglia di Lady Gucci aggiunge un altro sequel giudiziario ai già tanti film girati in questi anni.
Stavolta madre (morta) e figlia (oggi in amministrazione di sostegno) figuravano nel ruolo di donne ricche ma indebolite dal proprio stato di infermità, e perciò «spolpate» – nell’ipotesi del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e del pm Michela Bordieri – da una eterogenea compagnia di persone ingolosite dai loro patrimoni. Ma ieri l’avvocato Giani è stato del tutto assolto dal giudice Alberto Carboni in rito abbreviato dalla circonvenzione di incapace di Silvana Barbieri: e cioè dall’accusa di avere il 6 novembre 2018 «approfittato delle sue fragilità e debolezze fisiche-psichiche» per indurla, dal letto di ospedale prima della morte il 12 aprile 2019, a nominarlo esecutore (con compenso di 100.000 euro) di un testamento che fissava un lascito di 4 milioni di euro, e che incaricava Giani di costituire, scrivere lo statuto e indicare i dirigenti di una Fondazione che, presieduta a vita da Giani, ereditasse le quote della «Fernando e Silvana Reggiani srl». Giani, difeso dagli avvocati Manfredi Bontempelli e Antonietta Marino, è stato assolto in parte «perché il fatto non sussiste», e in parte «per non aver commesso il fatto».
La Procura ha invece ottenuto il rinvio a giudizio di Canò, l’ex amica di Patrizia Reggiani nella comune cella a San Vittore, che poi una volta fuori dal carcere ne avrebbe «sfruttato la fragilità psichica» per acquisire in casa una «sempre più ingombrante presenza» e installarvisi a titolo di «assistente» contrattualizzata e convivente, giungendo per le pm nel 2020-2021 a «condizionare pienamente il residuo di volontà che la malattia» al cervello «consentiva a Reggiani», attraverso una serie di condotte via via più intrusive: azzerarne i rapporti sociali, «convincerla che era necessario fare la guerra alle figlie» Allegra e Alessandra per poter gestire il vitalizio ottenuto, andare a vivere a casa sua e acquisire la gestione dei domestici, «rispondere al telefono o alle mail al posto suo, registrare di nascosto le conversazioni, predisporre copioni che Reggiani leggeva negli incontri con il giudice tutelare, farsi delegare sui conti e nelle assemblee». Più un’accusa di furto nel 2017 a casa Reggiani di due anelli, un braccialetto e una collana, fatti passare come rubati da qualche domestico; e una accusa di induzione indebita a dare o promettere utilità, per 15.000 euro in contanti chiesti al canale tv «Discovery+» per un’intervista di Reggiani nel 2020.
Canò per le pm aveva poi caldeggiato a Reggiani il consulente finanziario Marco Chiesa e un altro avvocato allora amministratore di sostegno (già uscito con un patteggiamento a 2 anni) per la gestione delle società, come per la stipula di una polizza vita da 6,6 milioni a beneficio di Canò, della compagna del padre di Chiesa (la quale già aveva patteggiato 10 mesi), e del testimone di nozze dell’allora amministratore di sostegno, Riva. Chiesa è stato rinviato a giudizio, mentre per Riva (difeso da Stefano Toniolo e Daniela Mainini) il giudice ha disposto il non luogo a procedere «perché il fatto non costituisce reato».