la Repubblica, 17 marzo 2024
Dare agli ucraini missili a lungo raggio?
Il disgelo sprigiona paure e allarmi su tutto il fronte orientale. Negli scorsi anni la stagione delle piogge e del fango è stata più corta, testimoniando come il riscaldamento globale condizioni ormai anche le guerre: tra poco più di un mese il terreno in Ucraina tornerà perfetto per una grande offensiva. Nei comandi della Nato e di ogni Paese occidentale gli stati maggiori si dedicano a complessi wargame, chiedendo agli algoritmi lumi su quelle che saranno le sorti del conflitto. L’incognita da decifrare sono le intenzioni di Vladimir Putin. Il punto fermo invece sono le debolezze dell’Ucraina.Da settimane le truppe di Kiev arretrano ovunque ma lo fanno combattendo: le linee non vengono sfondate, nonostante la carenza di munizioni per l’artiglieria e la stanchezza dei soldati. Questa resistenza ostinata fa pagare caro ai russi ogni passo in avanti. La domanda è una sola: quanto riusciranno a tenere gli ucraini? Oggi tutti i quartier generali danno l’identica risposta: un tempo limitato, non superiore a tre mesi. Anche perché l’intelligence vede i segnali dell’inizio di un nuovo accumulo di tank e fanti, spediti dal Cremlino in prossimità della frontiera. Sono riserve consistenti, finora tenute fuori dagli scontri ed equipaggiate in maniera valida. Gli analisti tentano di interpretare le informazioni raccolte dai satelliti, simulando gli sviluppi da qui all’estate. Può trattarsi solo dell’ennesima prova di forza, esibendo altri arsenali per cercare di convincere gli ucraini e la Nato alla trattativa. Finora però queste pressioni sono finite per cementare il sostegno contro la Russia. E allora, a cosa mirano?Mosca non ha più la capacità di scatenare assalti lampo, come quelli che nella primavera 2022 si sono infranti nella periferia di Kiev, ma può comunque condurre attacchi lenti su vasta scala. La possibilità che puntino su Odessa appare remota, poiché i droni ucraini hanno spezzato la superiorità della Flotta del Mar Nero e attraversare il Dnipro resta difficile. I bersagli più probabili sono in prossimità dei confini: Kharkiv o Sumy, metropoli che continuano a vivere l’incubo dei raid.C’è però la convinzione che la marcia corazzata non avrebbe come obiettivo l’occupazione di altre regioni, quanto provocare una crisi che sgretoli la difesa ucraina: i generali russi sognano una Caporetto che getti nel caos esercito e istituzioni nemiche, obbligandole a venire a patti. Kiev infatti non ha abbastanza soldati per fronteggiare la massa russa. Il governo è stato compatto con Zelensky nel respingere la mobilitazione di mezzo milione di uomini chiesta a ottobre dal generale Zaluzhny, l’allora capo dell’armata poi rimosso, e ora gli organici hanno buchi paurosi. Se anche il presidente ci ripensasse, ormai è troppo tardi: le reclute avrebbero bisogno di almeno tre mesi di addestramento. In più, il nuovo comandante Syrsky ha annunciato una rotazione delle brigate dalla prima linea, per dare fiato a chi combatte: una decisione presa per placare il malumore di reparti senza rimpiazzi, che però rischia di indebolire lo schieramento.Dal canto loro, anche senza aspettare l’eventuale “offensiva di maggio”, i russi stanno attaccando con ostinazione in tre punti chiave, forti del sostegno dell’aviazione e di un’artiglieria che spara cinque volte più di quella ucraina.Le cancellerie occidentali si chiedono cosa si può fare per evitare un tracollo. L’unica ipotesi praticabile è fornire agli ucraini armi tecnologiche superiori a quelle russe, da utilizzare con precisione contro obiettivi strategici lontanissimi dal fronte. Il modello è quello che è stato realizzato con i missili francesi e britannici Storm Shadow-Scalp: hanno messo fuori uso navi e basi della Crimea neutralizzandoli con una manciata di ordigni. O con i missili anti-radar Harm che hanno aperto varchi nella contraerea russa. Ora la Casa Bianca sembra disposta a consegnare gli Atacms con raggio di 300 km, sempre negati in passato, mentre Parigi e Londra sono pronti a incrementare i doni di cruise. L’idea è sottoporre i depositi di munizioni e carburante a un tiro incrociato che azzeri i rifornimentirussi. Il problema è che questi sistemi sofisticati hanno bisogno di tecnici specializzati e non bastano un paio mesi per formarli. L’unica maniera di renderli operativi in fretta è mandare in Ucraina sia le armi sia il personale: un dilemma emerso con chiarezza tra le righe dello scontro tra Scholz e Macron sui missili Taurus, che Berlino non vuole consegnare anche per questo motivo. Stiamo infatti parlando di ordigni che finora hanno colpito soprattutto in Crimea – terra formalmente ucraina -, ma che adesso verrebbero usati centinaia di chilometri oltre i confini russi. Il timore è che azioni del genere aprano la strada a un confronto diretto con la Nato e possano essere considerate da Mosca una “minaccia alla sovranità”, a cui rispondere con ogni mezzo, armi nucleari incluse. È la vera posta in gioco di una partita sempre più pericolosa e sempre più fuori controllo.