Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  marzo 10 Domenica calendario

Gli autori latini perduti

Gran parte della letteratura di Roma è scomparsa. Sono stati identificati 772 autori dell’antica cultura latina; di questi 144 sono quelli conservati: è il 20 per cento. Di 352 restano soltanto dei frammenti, ma 276 di essi non sono altro che nomi. Interi generi si sono smarriti, qua e là è magari sopravvissuta una riga sospetta. Sono dati che dobbiamo al latinista Pierre Laurens, uno dei maestri della Sorbona.
Occorre poi tener conto che la perdita delle opere di taluni autori, anche noti, è stata enorme. Tito Livio, per esempio: dei 142 libri che scrisse, ne sono giunti 35. Dante conosceva soltanto i primi dieci (influenzarono la sua Monarchia), perché la terza decade la scoprì Petrarca. Questi fu il primo a riunire quasi quanto noi conosciamo dello storico romano. Un altro esempio: nel Medioevo era ignota la Cena di Trimalcione, giacché si leggevano soltanto due episodi del Satyricon di Petronio Arbitro. Sarà Poggio Bracciolini, vissuto tra il XIV e il XV secolo, a portare una prima parte della Cena dall’Inghilterra. Tutta, come la leggiamo noi, si conoscerà soltanto nel secolo XVII, al tempo di Pascal e Galileo.
Pierre Vesperini per Les Belles Lettres ha scritto un libro colto e divertente, vagando tra le raccolte di poeti e letterati della Roma antica per ridare voce ai dimenticati. Lo ha fatto forse per perdersi, giocando con la filologia, magari per sognare. Ne è nata una galleria di ritratti o “medaglioni letterari”, con l’obiettivo di ridare voce ad alcuni dei Fragmenta poetarum Romanorum. Ha scritto, per ciascuno di essi, un profilo che cerca di riportarlo in vita; si è mosso senza mai inventare, attenendosi strettamente alle testimonianze, rimanendo fedele ai testi superstiti. Poligrafi, storici, grammatici hanno lasciato cenni o semplici indicazioni della prima epopea latina (il caso di Ennio); ci sono magri resti dell’elegia amorosa di Gallo. Un altro capitolo sono le tragedie perdute: per esempio, del Tieste di Vario o della Medea di Ovidio, basata sull’omonima di Euripide, restano miserabili frammenti.
Vesperini offre oltre una trentina di profili lavorando su lacerti. Rivivono figure quali il poeta Porcio Licino o Furio Anziate, il quale narrò la guerra cimbrica: Macrobio nei Saturnalia ricorda alcuni suoi versi che sarebbero serviti da modello a Virgilio. E che dire di Gaio Asinio Pollione, che per primo aprì a Roma una biblioteca pubblica, corrispondente di Cicerone, amico e collaboratore di Cesare (è con lui a Farsalo, Tapso, Munda), autore di Storie che non abbiamo più?
Riflettere sulle opere dimenticate è un esercizio che aiuta qualche anima rara a sopportare la produzione letteraria di oggi.