Corriere della Sera, 15 marzo 2024
Storia di uomo andato in pensione a 45 anni ma che non se l’è goduta prima della terza età
Spesso capita di sentire chi si lamenta di essere andato in pensione, accusando quella sorta di vuoto che accompagna le giornate una volta occupate dal lavoro. Alcuni vanno in depressione. Per me è stato diverso. Ho iniziato a lavorare prima da funzionario dello Stato presso la Pubblica Istruzione e poi, per 30 anni, da magistrato. Dopo 45 anni sono stato collocato a riposo. Ho fatto il giudice, dedicando tempo e energie fisiche e mentali al delicato mestiere che avevo sognato di svolgere. Una sorta di etica calviniana del lavoro mi impediva di pensare che potessi distogliere anche solo qualche minuto ai fascicoli che dovevo studiare per la decisione. La mente era impegnata sulle carte, anche quando ero fisicamente lontano dalle stesse. Provavo ammirazione ed invidia per i colleghi che riuscivano a scrivere anche qualche libro! Con la terza età mi si è aperto un mondo nuovo! Ho potuto coltivare i miei interessi librari, arricchendo la biblioteca di cui vado orgoglioso, viaggiare per il mondo, andando più spesso nella mia Napoli, conoscere più gente, imparare a suonare il piano, dedicare più tempo alla famiglia, fare volontariato e un po’ di meditazione. Mi sono accorto, avvalendomi anche di quello che sul piano della crescita razionale e umana mi aveva offerto il mestiere, di essere ulteriormente cresciuto, con un’arricchita capacità di leggere e inquadrare la realtà e soprattutto me stesso. Ora il corpo comincia a dare segni di stanchezza e talvolta di sofferenza. Ma non mi sarei mai aspettato di poter affermare oggi che la terza età è stata per me il periodo più bello della vita.
Pietro Chiaro, Rovereto