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 2024  marzo 15 Venerdì calendario

Intervista a Tananai

Dimenticateli, i maschi alfa. Quelli dannati e un po’ prepotenti. Quelli che mai direbbero: «Il primo a sentire le mie canzoni è mio padre, perché mi critica, ma dice cose giuste». E tanto meno: «Io non potrei fare niente senza la mia mamma».Ma dimenticate anche i ragazzi fragili, i giovani uomini viziati che non sanno cosa sia l’impegno e che del mondo intorno poco vogliono sapere. Ghali, Dargen D’Amico, Diodato, non sono soli. C’è una generazione che ha voglia di dire la sua e che la politica non può fermare con i «daspo» o i tentativi di censura. Ci ridono su, aspettano il prossimo giro. Come Tananai, che se fosse stato a Sanremo avrebbe chiesto pace, come loro: «Il mondo non puoi tenerlo fuori: entra nelle canzoni, vogliono vietare anche quelle?».Alberto Cotta Ramusino, classe 1995, in arte (appunto) Tananai, jeans bianchi, maglietta nera, sorriso e skateboard da fanciullo, è stato sulle montagne russe e a un certo punto ha detto: voglio scendere. Nel 2022 era a Sanremo con Sesso Occasionale, ultimo posto incassato con un gran sorriso e la sensazione di essere – comunque – lì dove non avrebbe mai sperato. L’anno dopo scrive Tango che diventa – anche – una canzone di resistenza. Archetipo sempre vivo: l’amore contro la guerra; l’amore che la guerra dilania e quasi distrugge. Torna a Sanremo, arriva quinto ed è sul podio, inanella dischi d’oro: «Ma a quel punto ho avuto bisogno di fermarmi, era tutto troppo veloce e io volevo capire cosa stava succedendo».Lo studio di registrazione di Milano è nuovo, somiglia agli studi dei cantanti come si vedono nei film: ci sono i dischi d’oro incorniciati ancora in terra, ma anche il disco di legno di un amico falegname. Dal computer arrivano le note di Veleno, il nuovo singolo. Un’altra ballad, molto bella, diversa da Tango.Quasi sei mesi lontano dai palchi, dalla tv, dai social. Perché?«Se vuoi scrivere bella musica devi estraniarti un po’, stare tranquillo. Ma c’è un altro motivo: Tango è una canzone a cui voglio bene, che voglio proteggere. La stavo cantando tantissime volte. Ovunque andassi, che non gliela fai Tango? E ho avuto paura che a un certo punto avrebbe smesso di farmi sentire come mi sentivo».Come?«In un altro posto. Fuori da me stesso. Come se stessi parlando a delle persone di una storia che non è la mia. Mi responsabilizzava, anche per il messaggio che porta. Per come vedevo le persone reagire. Non volevo perdere quell’emozione lì».Tango parla della guerra in Ucraina attraverso la storia d’amore di due persone che la guerra separa. Olga in Italia con la figlia, Maxim in trincea a combattere contro gli invasori russi. Qualcuno a Sanremo l’anno scorso disse: furbo Tananai.«Questa è una cosa che mi fa incazzare perché è esattamente il contrario. Non abbiamo detto da cos’era nata Tango fino alla fine e le persone lo hanno capito dopo, vedendo il video in cui ci sono proprio Olga e Maxim. Non la guerra, ma la loro quotidianità, i loro problemi di coppia costretta alla separazione, i loro tentativi di farsi forza».Li ha più sentiti?«Ho parlato con Olga due settimane fa. È tornata in Ucraina con la figlia, che ora ha sedici anni. Con Maxim si sono rivisti una volta, ma lui è ancora chissà dove a combattere».Non è cambiato niente.«No, non è cambiato niente».Veleno va da un’altra parte. Una canzone d’amore, senza ombra di politica, supposto che l’amore non sia politico.«Replicare quello che è successo con Tango penso sia impossibile, soprattutto se lo cerchi. Più tenti di innamorarti, più non ti innamori, a me è sempre successo così. E se hai la fortuna di fare musica l’unica cosa che devi davvero al pubblico è l’onestà. Metterti a cercare la formula che funziona ti ammazza».Quest’anno dopo Sanremo Sangiovanni, penultimo dopo essere stato ai primi posti l’anno prima, ha cancellato l’uscita del disco, il tour, ha detto “sto male” e si è fermato. Qualcuno la legge come la prova di una particolare fragilità di questa generazione.«I ritmi sono davvero difficili da tenere. Hai come la sensazione che se non fai tutto, se ti allontani un attimo, tu possa di colpo sparire. Non credo si possano applicare letture semplicistiche a quel che è successo a Sangio, ma ho apprezzato molto la sua sincerità: ha avuto il coraggio di dire “non sto bene” e non è una cosa da poco. Non so cosa sarebbe successo a me se la botta del primo Sanremo l’avessi presa non a 26 anni, ma a 20».Era più preparato?«C’era stata la pandemia, mi avevano cancellato un tour, che magari era un tour nei peggiori locali d’Italia, ma era il mio tour. Avevo già preso degli scappellotti, imparato delle cose, e mi sono detto: sono qui a cantare davanti a delle persone, chi avrebbe mai detto che ci sarei riuscito? Visto che già 90 su 100 la mia vita sarà una merda, perché rovinarmi questo momento?».Ha pensato: questo dolore mi sarà utile?«In realtà no. Non è che non siano stati giorni bui, tostissimi. Non è che il rischio di fallire ti faccia sentire bene, ti faccia pensare: mi servirà. Ho cantato male e me ne sono reso conto. Solo, non mi ha annientato».E ha capito perché?«Credo che quando sei molto giovane tu abbia bisogno di vivere fino in fondo i momenti bui. Quando sei più grande e sai qual è il tuo posto nel mondo, la tua sfiga del momento, la tua insicurezza, la tua infelicità riesci a vederla come qualcosa che non riguarda solo te. Ma quando sei un ragazzino nella sua cameretta, quella solitudine, quel dolore che provi è tutto, è assoluto. Devi attraversarlo per tirartene fuori».Ha raccontato di aver subito atti di bullismo, di aver avuto problemi di obesità. Adesso il rapporto col corpo è risolto?«No no. Va meglio, ma non è risolto. Ho la faccia di bronzo, ci gioco su, sembro supersicuro, ma in realtà ci sono tante cose che non mi piacciono di me e il rapporto con il mio corpo è una di quelle. Però, bisogna mettere tutto in prospettiva. Una canzone che non ho mai capito era quella di Tricarico: voglio una vita tranquilla. Ma chi la vuole?».Cosa vuole Tananai?«Sai la maledizione cinese, che tu possa vivere tempi interessanti? Ecco, quello».Da cosa viene questo rapporto complicato con la propria fisicità? Sono i social, Instagram, crescere abituati a vedersi riflessi e a cercare l’approvazione di un like?«Anche in questo caso non credo sia così semplice. Io con la mia immagine sui social gioco. Anzi, faccio apposta a demolirla. È quando sei solo in cameretta che ti guardi allo specchio, vedi quel che non ti piace e cominciano i problemi».Ha lasciato anche i social negli ultimi sei mesi. Entrava per guardare?«Quasi per niente. E sono stato benissimo».Cosa le fa paura?«Le filter bubble».Il fatto che si riesca a interagire senza aggressività solo con chi si è già d’accordo?«Quando non prendi in considerazione le idee opposte alle tue, non hai più i mezzi perché hai disimparato. Il mignolo lo perderemo perché non lo usiamo più. E così perderemo la capacità di difendere la bontà delle idee che riteniamo giuste davanti a chi non la pensa come noi».A ventotto anni il mondo virtuale è un destino?«Direi di no. Un film bello devo vederlo al cinema. Quando parlo d’amore, parlo di corpi: ho bisogno di toccare le cose che mi piacciono. C’è stato un sovraccarico delle informazioni che si possono avere nel virtuale, delle relazioni che si possono intrattenere, ma credo si stia ricominciando a volere un contatto fisico. Basta vedere quanta gente va ai concerti adesso».Ultimo film visto?«Povere creature. Bellissimo. Il penultimo Perfect Days di Wenders».Libri?«Sto finendo Rumore bianco di Don De Lillo. Sono un grande appassionato di Houellebecq, che mi piace perché è controverso, mi fa arrabbiare».Quale?«L’ultimo che ho letto è Annientare. Prima, La carta e il territorio. E ho pianto su Piattaforma. Nel centro del mondo. Mi ha proprio spaccato».Fosse stato a Sanremo quest’anno, avrebbe fatto come Ghali, come Dargen? Sarebbe salito sul palco a dire quello che pensa del Medio Oriente come ha fatto, cantando, sull’Ucraina?«Credo di sì. E penso anche che dire: i cantanti pensino a cantare, se parlano di cose che non li riguardano li daspiamo, come allo stadio, sia soprattutto inutile. Quando hai l’urgenza di dire qualcosa e sei un musicista, lo fai con la musica. Vogliono fermare la musica? Mettere mano alle canzoni?».Cos’ha pensato quando ha visto le manifestazioni di studenti pacifisti finire con i manganelli?«L’ho trovato scandaloso, che su ragazzi pacifici che vogliono dire cose giustissime come ‘basta guerra’ si usi violenza. Ho pensato quel che ha detto Mattarella, che è un fallimento. E mi ha fatto tristezza più che rabbia, ma non so neanche se sia l’atteggiamento giusto perché la tristezza ti porta alla disillusione e la disillusione al nichilismo. Invece vorrei che questi ragazzi avessero ancora più voglia di scendere in piazza a esprimere il loro dissenso».L’avranno?«Credo di sì. Anche se il fatto che nessuno si sia scusato, dimostra che qualcuno vorrebbe non tornassero».Un amico nel mondo della musica?«Lorenzo, Jovanotti. Uno dei ricordi più belli del tour dell’anno scorso è a Cortona, con lui che faceva free style su Baby Goddam. Abbiamo cantato insieme Le tasche piene di sassi, che è nella mia cinquina dei brani più belli di sempre. Vorrei fare quel che fa lui: le ballad che ti strappano il cuore fuori dal petto. E le canzoni che ti fanno ballare fino a toglierti il respiro. E poi».Poi cosa?«È un po’ strano dirlo. Ma vorrei pensare che la mia musica possa cambiare qualcosa nella vita delle persone. Farle sentire meglio nei momenti difficili».Con lei lo ha fatto?«Con me sì. Ma essere dall’altra parte è tutta un’altra storia».