Robinson, 14 marzo 2024
Su Grazia Cherchi
Grazia Cherchi, fondatrice con Bellocchio dei Quaderni piacentini, editor generosa, critica militante affilatae indipendente, fustigatrice dei vizi e vezzi dell’industria culturale e anche autrice in proprio.È stata una editor che sapeva tutto degli scrittori mentre di lei si sa davvero poco. Ha “fiutato il talento” di Maggiani e Baricco, Benni e Carlotto e poi ha scritto il romanzo di una generazione. Raccontandone fallimenti e delusioni ma anche la grande ambizione di costruire il mondo insiemediEmanuela Giampaoli«Di noi sapeva tutto, quasi tutto; niente, quasi niente noi si sapeva di lei. In fondo ci faceva comodo pensare a un’intelligenza senza problemi» scrisse il poeta Giovanni Giudici di Grazia Cherchi.E ancora oggi, a quasi trent’anni dalla sua morte, di lei si sa poco.Se ne favoleggia tra gli addetti ai lavori: scrittori, editori, librai, agenti. Prima editor freelance in Italia, ne ha dettato le regole, fissato i paletti, codificato un metodo fatto di puntiglio, rigore, essenzialità. Bandita la ridondanza di aggettivi, messi all’indice gli avverbi in “-mente”, smascherati gli artifici. La ricerca dello stile prima di tutto, senza omologare, appiattire. Cercando l’indole narrativa dell’autore che a lei si affidava. Li convocava per leggere loro ad alta voce le parti in cui riteneva fosse necessario intervenire. «Perché succedeva che la lettura ad alta voce ti metteva di fronte alla tua scrittura. Suonare una partitura non è la stessa cosa che leggerla. Se suonava male l’effetto erastridente. Non c’era bisogno che Grazia segnalasse, l’errore emergeva in tutta la sua nudità» ha ricordato Claudio Piersanti. «L’editing è un lavoro che richiede una forte dose di masochismo. Bisogna infatti tuffarsi nell’altrui personalità ( anche stilistica) abdicando alla propria» diceva invece lei. Fiutò il talento di Maurizio Maggiani, Alessandro Baricco, Dario Voltolini, Massimo Carlotto e Stefano Benni. Quest’ultimo le dedicò i versi: «Grazia ha telefonato:/ “Finalmente mi hai mandato / un vero romanzo / asciutto e stringato”./ Grazia, da mesi di dirtelo tento/ era la lettera di accompagnamento». Ma poi quelle correzioni precise, accurate, venivano accompagnate con gesti premurosi: regalini, dolcetti, persino vitamine. Un’immagine contrastante con l’aria austera, l’eleganza sobria, l’eterno caschetto nero. Amava la solitudine e le sigarette, tante. Anche nell’unico romanzo che scrisse, Pene d’amor perdute, uscito nel 1993, due anni prima della sua morte, che minimum fax l’estate scorsa ha rimandato inlibreria, di sé rivelò poco.Nonostante l’alter ego Grazia, che nell’incipit scrive a nove amici di gioventù, complici in passato di aver fondato una rivista indipendente, per invitarli a ritrovarsi, dopo 25 anni, in una villa nel piacentino.Un ritorno alle origini per Cherchi, nata a Piacenza nell’estate del 1937, ideatrice insieme a Piergiorgio Bellocchio dei Quaderni piacentini, rivista «a cura dei giovani della Sinistra», che passò dalle 250 copie ciclostilate del primo numero, uscito nel marzo del 1962, alle 14.000 degli anni Settanta. Tra le firme Fofi, Fortini, Vittorio Foa, lo stesso Giudici.«Sparavamo a zero su tutti. Su Strehler, su Moravia, su Pasolini. Mostri sacri dell’intellighenzia di sinistra» scriverà Cherchi anni dopo.Fu in quella fucina che apprese quella che per Baricco era «un certo modo di stare al mondo». E, in fondo, è di questo che scelse di narrare nel romanzo, rimettendo i suoi compagni di viaggio in pieni anni Novanta di fronte a fallimenti e delusioni di un’Italia reduce dagli anni Ottanta, testimone della caduta del muro di Berlino, prossima alla discesa in campo di Berlusconi. Ma ai sodali ritrovati, Grazia, nel romanzo e forse nella vita vera, pone una domanda, che diventa ontologica. «È ancora possibile fare qualcosa insieme, magari un’unica cosa e magari per l’ultima volta? E se sì, che cosa? Propongo di discutere anzitutto di questo». Per poi aggiungere. «Ho appena finito di parlare e già mi sto chiedendo: Ma io ho ancora voglia di fare qualcosa con loro?». In cerca della risposta, tra le pieghe delle conversazioni – ironiche, allegre quanto malinconiche, crepuscolari – Cherchi fotografa la sua generazione, la perdita non tanto di ideali e ideologie, ma del “noi”, di quegli anni bellissimi di battaglie e sconfitte. Sempre collettive però.Nelle ultime pagine uno dei personaggi issa una bandiera rossa sul tetto della villa, prima che Rosa, la più taciturna della nostalgica combriccola, annunci che è in attesa di conoscere la natura del tumore diagnosticatole. Due anni dopo, nel 1995, Cherchi muore, il 22 agosto in una clinica milanese, a soli 58 anni.L’altra sua prova narrativa furono i racconti Basta poco per sentirsi, cronaca romanzata delle sue giornate da editor e gli incontri con intellettuali e scrittori tra lampi di genio e crisi. «“Che si dice in giro?” Questa è una delle domande che mi lasciano sempre interdetta. In giro dove? E da parte di chi? E su che cosa? Io, poi, non vado in giro» chiarisce.Il suo lavoro di lettrice, critica, giornalista è raccolto poi in Scompartimento per lettori taciturni (minimum fax), a cura di Roberto Rossi, con testi introduttivi di Giovanni Giudici e Piergiorgio Bellocchio, e i suoi articoli usciti su l’Unità, Panorama, Linus, il manifesto con le sue analisi profetiche sul mondo editoriale, le storture, le distorsioni del mercato, tra «mafie e mischie». Insieme a proposte irriverenti. Come quella di inserire negli inserti culturali, accanto alle classifiche dei libri più venduti, una sorta di hit parade dei titoli meritevoli che non vendono. Oppure quella, per arginare il proliferare di scrittori senza qualità. «Quindi il tassista come il cardiologo, il commercialista come il portiere prima o poi un romanzo rischiano di scriverlo». E non sapeva quanti altri ancora.