ItaliaOggi, 14 marzo 2024
Periscopio
Mentre in Kamcatka un giovane sogna le giraffe / in Messico una ragazza aspetta l’autobus nella bruma del mattino / mentre a New York una ragazzina a gira nel letto con un sorriso sulle labbra / a Roma un ragazzino strizza l’occhio ai primi raggi del sole che tingono i capitelli / su questa Terra da qualche parte un mattino ha sempre inizio. Tanikawa Shuntarõ, La staffetta del mattino (in Poeti giapponesi, Einaudi 2020).
Un attacco congegnato per creare confusione a tre giorni dall’inizio delle elezioni in Russia e mostrare la debolezza intrinseca al regime di Putin. «Vogliamo un voto democratico. Non la dittatura della paura», proclamano i legionari dei battaglioni di volontari russi rifugiati in Ucraina e decisi a liberare il loro paese con le armi. Le operazioni sono iniziate nella notte tra lunedì e martedì nelle zone di Belgorod, presso la regione ucraina di Kharkiv, e nell’oblast di Kursk, più a sud vicino al Mar Nero. Per lo più sono inquadrati nella Legione della Russia Libera e nel Battaglione Siberiano. (…) Sono circa un migliaio (i numeri precisi restano segreti), molti di loro dissidenti di lunga data, alcuni discendenti dei «russi bianchi» che si batterono contro la rivoluzione bolscevica, altri si sono rifugiati in Ucraina dopo l’invasione voluta da Putin nel 2014. Mostrano insegne con la bandiera russa e rivendicano una catena di comando autonoma. Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera.
C’è il grave rischio [di credere] che per il nostro quieto vivere ci convenga voltare la testa dall’altra parte e persino issare bandiera bianca e accordarci con i nuovi demoni del nostro tempo. È una pericolosa illusione, perché come ci aveva ammonito Primo Levi, il male nel mondo non accade mai in un’isola, ma ci riguarda tutti e prima o poi ci può sommergere se siamo distratti. Gabriele Nissim, il Foglio.
«Come possiamo parlare di colloqui di pace quando i nazisti ucraini stanno compiendo crimini di guerra?» Sapere che a pronunciare queste parole è stato Nikolai Dobyle, capo dell’ufficio regionale di Tver della Croce Rossa Russa (CRR), fa abbastanza impressione. Ma non è un unicum. (…) In base a quanto emerge dai documenti trapelati, ci sarebbero prove che dimostrerebbero come il 24 gennaio scorso sia stato firmato un accordo di cooperazione tra la Croce Rossa e il campo pioneristico di Artek, in Crimea. Lo stesso in cui si sarebbero deportati bambini ucraini prelevati dai territori occupati [per] rieducarli al patriottismo e addestrarli militarmente. Al momento della sottoscrizione, era presente anche Pavel Savchuck, presidente della CRR e membro a tutti gli effetti del Fronte Popolare Panrusso (ONF) istituito dal presidente Putin e detentore del marchio di fabbrica russo in Ucraina: la lettera Z. Lorenzo Santucci, HuffPost.
[Vilnius, Lituania]. Preso a martellate l’ex braccio destro di Navalny [Leonid Volkov]. Repubblica.
«In termini di repressione contro i tatari di Crimea, Putin sta concludendo la politica di Stalin. Ma il motto della Crimea senza tatari era già stato annunciato dall’imperatrice Caterina II». Così denuncia in un’intervista Refat Chubarov, il leader dei tatari di Crimea. Maurizio Stefanini, Linkiesta.
Chiedere la tregua spetta a chi sta perdendo e ha più da perdere, non a chi vince. Certo, pure i russi dovranno smettere di sparare: ma quando inizierà il negoziato. È stata la Nato (…) a dire che la guerra finirà solo con la riconquista delle cinque regioni annesse dai russi. Ora che ha perso, sarebbe bizzarro se dicesse a Putin: «Ok, ci hai sconfitti, quindi cessa il fuoco e ritirati». Marko Travaglioff 1, il Fattosky quotidiano.
Chi può incidere su una tregua di Israele [che vince mentre Hamas perde] a Gaza? Solo il popolo israeliano [può imporre una tregua al vincitore] con una pressione sempre maggiore. Marko Travaglioff 2, Tagadà.
Una politica del containment 2.0 [simile a quella impiegata per contenere l’URSS durante la guerra fredda] non può fare a meno di fissare la sopravvivenza di Kiev come priorità tra gli obiettivi lungo termine. Costringere la Russia ad abbandonare tutto o gran parte del territorio che ha occupato spingerà la minaccia russa più lontano dai confini dell’Europa, lasciando il Cremlino alle prese con le conseguenze d’una guerra d’aggressione fallita, proprio come accadde all’Unione Sovietica negli anni Ottanta dopo la débâcle in Afghanistan, e probabilmente incoraggerebbe altri Paesi a respingere l’influenza russa. Linkiesta.
Donald Trump è nello spirito del suo tempo, del nostro nuovo tempo, quando dice che Adolf Hitler ha fatto cose buone («Hitler did some good things»): risollevò l’economia e seppe tenere con saldezza l’esercito a sé. La grettezza dell’analisi non sorprende. Sorprende sempre meno la disinvoltura: mai, fino a pochi anni fa, un leader si sarebbe sognato di dire scempiaggini del genere, nemmeno se le avesse pensate. Mattia Feltri, La Stampa.
Una foto ritoccata, cioè nemmeno taroccata, della Principessa Sofferente con adorata prole, che scandalo è? Eppure tre giorni dopo «non si placa l’attenzione mediatica». Tutti a denunciare «un errore di comunicazione», «un piano di palazzo» sventato dall’occhio vispo delle agenzie e dei social. Maurizio Crippa, il Foglio.
Elly Schlein: «Pure dentro ar partito me ne stanno a fa de tutti i colori». Una deputata dem: «Sarà contenta l’armocromista». Osho, il Tempo.
La profezia del vecchio ministro leghista Roberto Castelli («Alle europee la Lega prenderà il 7 per cento») rischia di peccare per ottimismo. E sotto il 7 per cento è più che probabile che parta una clamorosa de-salvinizzazione con l’avanzata dei tre governatori, il triumvirato Zaia-Fedriga-Fontana che dovrebbe insignire come leader il presidente del Friuli-Venezia Giulia Fedriga, con gli altri due a garantirlo da eventuali riscosse salviniane. Il problema è come sta reagendo Salvini. Cioè, male. «Ormai non parla più con nessuno se non con due-tre persone fidatissime», è il lamento della maggior parte dei parlamentari, la stragrande maggioranza dei quali è, o era, salviniana. Siamo vicini al si salvi chi può. Mario Lavia, Linkiesta.
Se io non fossi Lega, mi presenterei come +Italia e -Europa. Matteo Salvini (Emanuele Lauria, Repubblica).
Un politico che crede in quel che dice non sa che cosa dice. Roberto Gervaso.