la Repubblica, 14 marzo 2024
Da Berlusconi al “pizzo” la passione della destra per gli slogan contro il Fisco
«Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani»: la passione della destra per gli slogan che ammiccano agli evasori sta tutta in uno dei memorabili richiami per le allodole di Silvio Berlusconi. Lui, il Cavaliere, l’uomo del “meno tasse per tutti” la cui parabola politica si è interrotta per una condanna per frode fiscale, è anche da defunto il portabandiera ideale di una campagna obliqua a favore di chi aggira l’obbligo di versare le imposte. C’è, in fondo, ancora la sagoma del tycoon scomparso a giugno dietro gli atteggiamenti dei leader di governo. Non ultimo quello di Giorgia Meloni, che ha avvertito sui rischi di un fisco che disturba chi produce ricchezza: «Non dirò mai che le tasse sono bellissime». Concetto estrapolato da ragionamento più ampio, va sempre così, però il messaggio passa in ogni caso. Ed è una rassicurazione per chi viola la legge, in un Paese che produce 80 miliardi di euro l’anno di evasione fiscale. La stessa premier, d’altronde, nel chiudere a maggio 2023 la campagna elettorale siciliana, andò abbastanza dritta: «Non puoi chiedere al piccolo commerciante il pizzo di Stato». Per l’opposizione, nella terra segnata dal marchio di Cosa nostra, non fu esattamente un’uscita felice. Ma quella fu.Che sia un tema di sicuro impatto popolare, quello dell’eccessiva pressione fiscale, è certo. E i condoni – fatti o annunciati, poco conta perché basta sfruttarne l’effetto – sono sempre stati un cavallo di battaglia del centrodestra. In realtà, il padre di tutti i condoni è considerato quello varato dal socialista Rino Formica nel 1982, in un’Italia ancora sotto sbornia per la vittoria al Mundial, che in due anni fruttò qualcosa come 11 mila miliardi di lire di allora. Nella Seconda repubblica, è stata indicata come un successone la sanatoria fiscale inserita nella Finanziaria 2002, premier Berlusconi e ministro Giulio Tremonti, che permetteva con il pagamento dell’imposta lorda dal 1996 al 2002, di chiudere una volta per tutte i conti con l’erario. Incassi record: 34 miliardi di euro. Poco conta che, cinque anni dopo, la Corte di giustizia europea condannò l’Italia per quella legge che «induce fortemente gli italiani a dichiarare solo una parte del debito dovuto… evitando qualsiasi accertamento o sanzione». Berlusconi prese atto e andò avanti. Rieletto nel 2008, il Cavaliere riapparve subito in alcuni video con la posa del buon padre di famiglia: dicendo che è «moralmente autorizzato a evadere» chi è soggetto un’elevata pressione fiscale.D’altronde, la letteratura elettorale del centrodestra è piena di attacchi alla sinistra che impone le tasse. E pazienza se anche Matteo Renzi, da premier e segretario del Pd, approvò una voluntary disclosure che ha in sé i caratteri del condono. Il modello rimane Silvio Berlusconi, quella sua promessa di «non mettere le mani nelle tasche degli italiani» che è stata ripresa, senza rossore, da Renzi medesimo e persino da Luigi Di Maio.C’è da stupirsi se un governo di centrodestra, oggi, strizza l’occhionuovamente agli evasori? La «pace fiscale» di Salvini, per esempio, è un tormentone che accompagna la vita dell’attuale esecutivo, e non ha mancato di creare frizioni nei rapporti mai felici con Meloni. La quale, come detto, evita la parola condono e i suoi tanti sinonimi – la pace, lo scudo, la voluntary disclosure – ma non esita nel rassicurare chi evade. Poi c’è chi si arrampica sui numeri. Come Armando Siri, consigliere economico di Salvini, che poco più di un anno fa arrivò a contestare le cifre sull’evasione fiscale contenute in una stima del Mef di Giorgetti (80 miliardi l’anno), definendole «totalmente inattendibili», minimizzando insommail fenomeno sulla base di numeri indicati in un libro di un docente universitario, Pietro Boria, ospite di alcune manifestazioni della Lega. Secondo Siri (e Boria) l’ammontare dell’evasione sarebbe cinque volte più basso, ma non sono mai stati pubblicati i dati su cui poggiano queste stime, non sottoposte a peer review, ovvero verificate da altri ricercatori del settore, e prive di dati pubblici di sostegno. Ma l’importanza è relativa: anche l’intemerata di Siri può servire a disincentivare chi intende pagare le tasse. E a rimpolpare l’ampia narrativa destrorsa di un fisco brutto e cattivo.