Corriere della Sera, 14 marzo 2024
Intervista a Vincenzo Spadafora
Vincenzo Spadafora, ex sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed ex ministro per le Politiche giovanili e per lo Sport. L’altro ieri ha compiuto 50 anni.Il bilancio ?
«Ho vissuto esperienze umane e professionali che mai avrei sognato. Sono partito da Cardito, periferia di Napoli, poco più che adolescente e non mi sono più fermato».
Tranne che per la brusca interruzione del 25 settembre 2022, quando alle elezioni politiche anticipate non è stato rieletto. Qual era lo stato d’animo in quei giorni?
«Sono decaduto da parlamentare il 17 ottobre: ricordo un forte calo di adrenalina, «curato» subito con un viaggio in Colombia ed Ecuador per Terres des Hommes, con cui collaboro ancora oggi. A dicembre ho realizzato il sogno di un Capodanno a New York. Solo a gennaio ho detto: e ora? Ricordo i pomeriggi sdraiato a fissare il soffitto».
Quando la nave affonda i topi scappano?
«Lo avevo pronosticato già nel mio libro Senza Riserve: c’è un 40 per cento di persone che spariscono, un 30 che continua a farsi vivo perché “non si sa mai”, un 30 che per fortuna rimane».
Riavvolgiamo il nastro. Da dove è partito?
«Padre ferroviere, mamma casalinga. Sono il terzo di tre figli, mio padre mi ha avuto a 50 anni e questo ha pesato sulla nostra comunicazione. Mi diceva: “ma da dove te ne sei uscito”. Non capiva il mio impegno: mentre frequentavo il Liceo classico organizzavo i convegni per l’Unicef, raccoglievo le firme. Lui mi chiedeva: “fai tutto in cambio di niente?”. Era un uomo perbene, ma aveva la fissazione del posto fisso. Quando l’Unicef mi ha chiesto di trasferirmi a Roma era contrario».
Roma l’ha accolta.
«Decisi che non l’avrei lasciata mai, anche quando il presidente della Regione Campania Andrea Losco mi volle con sé. Si iniziava alle 7, davanti al Palazzo c’era ogni tipo di manifestazione. Più che una vetrina, fu una palestra.
Poi Roma l’ha richiamata.
«Nel 2006 Francesco Rutelli, all’epoca Ministro della Cultura, mi ha voluto a capo dello staff. Ho visto mio padre rincuorato. Con Rutelli ho capito che per governare bisogna essere un amministratore: leggeva tutte le carte».
Nel 2008 è diventato presidente dell’Unicef.
«Ho toccato la sofferenza di un genitore che non può dare ai figli quello che vorrebbe: sono stato nominato primo Garante per l’infanzia e l’adolescenza, ma nel 2016 Laura Boldrini ha deciso che ci voleva una donna. All’epoca la vidi come un’ingiustizia, invece ora la ringrazio: il giorno dopo mi chiamò Di Maio».
Luigi Di Maio.
«È di Pomigliano d’Arco, un’uscita di autostrada prima di casa mia. Riuscimmo subito a stabilire un legame: l’idea originaria era che i Cinque Stelle dovevano essere un movimento di protesta e non di governo. Luigi aveva visto più lungo e mi chiese aiuto».
Era il suo spin doctor?
«Avevamo stima reciproca: lo convinsi a fare il ministro degli Esteri anziché del Lavoro, aveva i numeri giusti. Abbiamo fatto coppia fissa fino al limite delle illazioni di Vittorio Sgarbi, che poi si scusò».
Che voto si dà come Ministro dello sport?
«Senza presunzione 8. Ho fatto approvare una riforma che avrebbe dato più diritti e tutele a migliaia di lavoratori ma i miei successori l’hanno annacquata».
Cosa ha significato essere un grillino?
«Una grande opportunità: il Movimento ha riportato il Paese alla partecipazione attiva alla politica. Un valore e un limite: molti non erano preparati. E io, con la mia esperienza, ero visto come non puro».
Il potere logora chi non ce l’ha?
«Sì, se per potere si intende la possibilità di fare cose. Non certo per i privilegi: ho fatto la gavetta, ho lavorato fino a 14 ore al giorno rinunciando alla vita privata. A 49 anni ho trovato tempo di prendere la patente».
Da cosa è ripartito?
«Mi sono arrivate proposte del privato. Ma la passione per la politica è prevalsa: dopo le Europee lancerò un network, a cui ho lavorato in questi mesi, di persone e associazioni che operano con successo nei loro territori in vari campi. Insieme, daremo al centrosinistra il nostro contributo per definire un’identità comune».
Sta creando un partito?
«No, faccio quello che mi è più congeniale: metto insieme le persone, soprattutto su temi come il volontariato, il sud, le periferie, i diritti. Fuori dal Palazzo ho incontrato realtà che si riconoscono nei valori progressisti ma che non trovano interlocutori nel centro sinistra. Anche le recenti elezioni in Abruzzo e persino quelle in Sardegna esprimono l’urgenza di riuscire a mobilitare maggior partecipazione, soprattutto dei giovani».
Come si concretizzerà questo progetto?
«Da qui al 2027 abbiamo tutto il tempo che ci serve per provare ad alzare il livello delle proposte, senza rincorrere le polemiche del giorno. Già dai primi incontri che faremo a Napoli, Roma e Milano vogliamo portare idee che tengano in conto il presente ma guardino al futuro: l’entità delle crisi in atto su ogni fronte – dal lavoro alle tecnologie, dalla crisi climatica alle disuguaglianze – è tale che occorrono proposte dirompenti».
Elly Schlein apprezzerà?
«Spero di sì. In questo progetto porto me stesso: l’essere gay ma cattolico praticante, che non vuol dire frequentare i cardinali. La vita mi ha portato ad essere più cose insieme».
Il suo coming out da Fazio.
«Dopo la trasmissione mi arrivò un fiume di messaggi, mi scrisse anche Tiziano Ferro: volevo sentirmi libero da quel brusio di sottofondo che mi aveva accompagnato in Parlamento. Mi sono accettato tardi, il primo vero compagno l’ho avuto a 35 anni: prima scappavo».
I suoi l’hanno mai saputo?
«Credo che mia madre a un certo punto abbia intuito. Ha smesso di chiedermi quando mi sarei sposato».
Si sposerebbe?
«Certo. A 50 anni aspetto ancora la persona giusta».
La relazione più assurda che le hanno affibbiato?
«Quella con Alberto Matano: alcuni hanno pensato si sposasse con me».
Il network si occuperà di coppie arcobaleno?
«Vorrei portare avanti l’adozione per i single perché è una cosa incomprensibile che non si possa fare».
La maternità surrogata.
«Non critico chi lo fa, anzi. Ma adotterei un adolescente».
Matteo Renzi.
«Apprezzo il suo attivismo, ma non ha più il consenso».
Giuseppe Conte.
«Fa parte della storia d’amore finita con il Movimento. Ci siamo scritti quando è scomparso suo padre, in modo affettuoso».
Mario Draghi.
«Non mi ha voluto al Governo: con il senno di poi non mi dispiace tanto. Condividiamo però il legame con i gesuiti e padre Ottavio, il cappellano della Sapienza».
A chi vuole dire grazie?
«A mia zia Nina. Era una sensitiva, aveva capito per prima tante cose di me, dalla politica all’omosessualità. Molti ragazzi rinunciano ai sogni perché nessuno crede in loro: lei mi ha sempre spronato, anche prima di morire. Vedremo se aveva ancora ragione».