Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  marzo 14 Giovedì calendario

Prezzolini e Montanelli a confronto. Le due «Voci» di maestro e allievo

Giuseppe Prezzolini in una lettera a Piero Gobetti pubblicata su «La Rivoluzione Liberale» del 28 settembre 1922 scriveva: «Il compito dell’intellettuale è quello di chiarire delle idee, di far risaltare dei valori, di salvare – sopra le lotte – un patrimonio ideale perché possa tornare a dare frutti nei tempi futuri. A ognuno il suo lavoro». Le precise parole di Prezzolini riecheggiano la distinzione di Benedetto Croce tra cultura e politica e toccano un tema capitale del Novecento totalitario: il tradimento dei chierici.
Il direttore de «La Voce» tenne fede al «compito dell’intellettuale» e con il suo moderno e anti-retorico settimanale, fondato insieme con Giovanni Papini nel 1908, è stato un modello di indipendenza, realismo e anticonformismo che nella seconda parte del secolo trovò il suo erede: Indro Montanelli. Anche il giornalista di Fucecchio fondò, sul finire della sua splendida giornata di lavoro, una testata vociana e nel primo numero del quotidiano «La Voce», uscito il 22 marzo 1994, nell’editoriale si richiamava direttamente a Prezzolini, che considerava il primo dei suoi maestri – l’altro fu Leo Longanesi – e scriveva: «“La Voce” fu agl’inizi del secolo e grazie al suo fondatore Prezzolini, un’arena non solo di grande cultura, ma anche di grande civiltà giornalistica. Noi non speriamo di raggiungerne il livello ma siamo ad onorarne, soprattutto nello stile, il nome».
Così Alberto e Giancarlo Mazzuca, che con Montanelli hanno lavorato, hanno avuto una felice intuizione mettendo insieme le «voci» del maestro e dell’allievo con il libro Le due «Voci». Il pensiero conservatore di Prezzolini e Montanelli (in libreria dal 19 marzo per Baldini+Castoldi).
I due toscanacci – in realtà Prezzolini nacque a Perugia ma si sentì sempre toscano d’adozione e vicino al suo ser Niccolò – erano due anarco-conservatori, come sono stati da più parti definiti e come si definivano loro stessi. Il parallelismo tra i due sta in piedi se si considera non solo il confronto tra le testate ma anche e soprattutto tra le teste. Entrambi scettici. Entrambi pessimisti. Entrambi disincantati nei confronti degli italiani. Montanelli diceva che noi italiani non crediamo in nulla, tantomeno nelle virtù che qualche sprovveduto ci attribuisce: «Ma tra di esse ce ne è una nella quale riponiamo una fede incrollabile: quella della nostra capacità di corrompere tutto». Prezzolini avrebbe sottoscritto. In fondo, era stato lui a dettare in modo chirurgico il Codice della vita italiana: «I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi». E l’Italia va avanti «perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono».
I due anarco-conservatori o, più semplicemente, i due liberali conservatori, furbi non lo sono stati per nulla. Prezzolini, che fu amico e direttore di Mussolini e scrisse per «Il Popolo d’Italia», avrebbe potuto chiedere la luna quando l’amico divenne Duce; invece, se ne andò per trent’anni in «esilio» negli Stati Uniti e disse: «Il fascismo? È un bolscevismo alla rovescia, che dominerà per tutta una generazione e dal quale non ci libererà altro che un disastro nazionale». Mutatis mutandis, quando Silvio Berlusconi fondò Forza Italia, Montanelli avrebbe potuto fare il «furbo» e invece si comportò prezzolinianamente da «fesso». Lo disse lui stesso: «Nessuno tra coloro che mi hanno maledetto e giudicato si è chiesto se io, uscendo dal “Giornale” facessi i miei interessi o no. Era mio interesse restare in via Negri: il Cavaliere era disposto a chissà quali premi se accettavo di essere il direttore di un giornale berlusconiano; probabilmente mi avrebbe promosso al Quirinale».
Tuttavia, il parallelismo tra le due «Voci» – come osserva Marco Vitale nella Postfazione – regge se per «La Voce» di Montanelli s’intende non solo il quotidiano del 1994 ma anche quello fondato vent’anni prima: «il Giornale». Anzi, la vera «voce» di Montanelli fu proprio quella del 1974 quando nel primo «fondo», il 25 aprile, scrisse che aspirava ad essere riconosciuto come «il volto e la voce di quell’Italia laboriosa e produttiva» che non è solo Milano e solo la Lombardia «ma che in Milano e in Lombardia ha la sua roccaforte e la sua guida». È proprio su questo piano, al di là delle differenze inevitabili che pur ci sono, che i due liberali conservatori s’incontrano: «La Voce» di Prezzolini è un modello di cultura e filosofia, la «voce» di Montanelli un esempio di critica e giornalismo. Anarchici con il potere, conservatori con la libertà.