Corriere della Sera, 14 marzo 2024
L’autobiografia del Papa
Ecco l’attesissima autobiografia del Papa. Si intitola Life. La mia storia nella Storia, uscirà in America e in Europa con HarperCollins. L’ha scritta papa Francesco con Fabio Marchese Ragona, vaticanista Mediaset e suo amico personale. È il racconto di ottantotto anni di vita di Jorge Mario Bergoglio, intrecciati alle grandi vicende della storia, da Hiroshima alla pandemia. Il Corriere della Sera è il primo quotidiano al mondo a poterne anticipare i passi salienti.
Monna Rosa, la mia nonna paterna, è stata una figura fondamentale per la mia formazione. I nonni parlavano piemontese; per questo il piemontese è stata la mia prima lingua madre». Nonno Giovanni aveva fatto la prima guerra mondiale. Nelle lettere dei parenti rimasti a Portacomaro, nell’Astigiano, arrivavano in casa Bergoglio a Buenos Aires le cronache della seconda guerra mondiale: gli uomini non erano andati al fronte, erano rimasti nei campi a lavorare, e le donne vigilavano sull’arrivo delle ispezioni militari: «Se avessero indossato qualcosa di rosso, gli uomini sarebbero dovuti scappare via per nascondersi. Indumenti bianchi invece segnalavano che non c’erano pattuglie e quindi si poteva continuare a lavorare».
Scampati al naufragio
Nonna Rosa e nonno Giovanni, con il figlio Mario – il padre del Papa —, sarebbero dovuti partire per l’Argentina nell’ottobre 1927, dal porto di Genova, sulla nave Principessa Mafalda. Ma il nonno non riuscì a procurarsi in tempo i soldi per i biglietti, e dovette rimandare il viaggio. La Principessa Mafalda affondò al largo delle coste del Brasile: trecento emigranti annegarono. I Bergoglio partirono poi nel febbraio 1929, con la Giulio Cesare. «Dopo due settimane arrivarono in Argentina e furono accolti all’Hotel de Inmigrantes, un centro d’accoglienza per migranti non troppo diverso da quelli di cui sentiamo parlare oggi».
Film e canzoni italiani
«I genitori ci portavano nel cinema di quartiere a vedere i film del dopoguerra. Li ho visti tutti. Ricordo in particolare “Roma città aperta” di Rossellini: un capolavoro. Ma anche “Paisà” o “Germania anno zero”, o ancora “I bambini ci guardano” di Vittorio De Sica. Altra cosa invece è “La strada”, il film che ho amato di più e che ho visto quando ero già più grande: non c’entra con la guerra, ma mi piace citarlo perché Federico Fellini ha saputo puntare i riflettori sugli ultimi». Tra le canzoni, il piccolo Jorge amava in particolare «O sole mio» e «Dove sta Zazà».
Hiroshima e Nagasaki
«Le persone al bar o in oratorio dai salesiani dicevano che gli americani – li chiamavano los gringos – avevano lanciato questi ordigni micidiali… L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è un crimine contro l’uomo, contro la sua dignità e contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. È qualcosa di immorale! Come possiamo ergerci a paladini della pace e della giustizia se poi nel frattempo costruiamo nuove armi da guerra?». E poi Bergoglio rivela, rifilando una stoccata alla Curia: «Una volta adulto, da gesuita, avrei voluto fare il missionario in Giappone, ma non mi fu dato il permesso di andarci a causa della mia salute, all’epoca un po’ precaria. Chissà! Se mi avessero mandato in quella terra di missione, la mia vita avrebbe imboccato una strada diversa; e magari qualcuno in Vaticano sarebbe stato meglio di adesso».
L’insegnante comunista
Molto importante per la formazione dello studente Bergoglio fu il suo capo in laboratorio, Esther, «una donna formidabile, le devo davvero tanto. Era una comunista di quelle vere, atea ma rispettosa: pur avendo le sue idee, non attaccava mai la fede. E mi ha insegnato tanto di politica: mi dava da leggere delle pubblicazioni tra cui quella del partito comunista, Nuestra Palabra... Qualcuno, dopo la mia elezione a Papa, ha detto che parlo spesso dei poveri perché anche io sarei un comunista o un marxista. Anche un cardinale amico mi ha raccontato che una signora, una buona cattolica, gli ha detto di esser convinta che Papa Francesco fosse l’antipapa. La motivazione? Perché non uso le scarpe rosse! Ma parlare dei poveri non significa automaticamente essere comunisti: i poveri sono la bandiera del Vangelo e sono nel cuore di Gesù!... Nelle comunità cristiane si condivideva la proprietà: questo non è comunismo, questo è cristianesimo allo stato puro!».
La fidanzata e l’amore
«Durante quell’anno in seminario ebbi anche una piccola sbandata: è normale, altrimenti non saremmo esseri umani. Avevo già avuto una fidanzata in passato, una ragazza molto dolce che lavorava nel mondo del cinema e che in seguito si è sposata e ha avuto dei figli. Questa volta invece mi trovavo al matrimonio di uno dei miei zii e rimasi abbagliato da una ragazza. Mi fece davvero girare la testa per quanto era bella e intelligente. Per una settimana ebbi la sua immagine sempre nella mente e mi fu difficile riuscire a pregare! Poi per fortuna passò, e dedicai anima e corpo alla mia vocazione».
Abortisti «killer prezzolati»
«Dobbiamo difendere sempre la vita umana, dal concepimento fino alla morte; non mi stancherò mai di dire che l’aborto è un omicidio, un atto criminale, non ci sono altre parole: significa scartare, eliminare una vita umana che non ha colpe. È una sconfitta per chi lo pratica e per chi si rende complice: dei killer prezzolati, dei sicari! Mai più aborti, per favore! È fondamentale difendere e promuovere sempre l’obiezione di coscienza». Il Papa condanna anche «la pratica dell’utero in affitto, una pratica inumana e sempre più diffusa che minaccia la dignità dell’uomo e della donna, con i bambini trattati come merce».
Il golpe in Argentina
Bergoglio nascose e protesse tre seminaristi legati a monsignor Angelelli, poi assassinato dalla dittatura. «Quei tre seminaristi mi aiutarono ad accogliere altri giovani a rischio come loro, almeno una ventina in due anni. I servizi segreti penso mi controllassero, per questo mi arrangiavo in qualche modo per depistarli quando ero al telefono o quando scrivevo qualche lettera… Mi presentarono il caso di un ragazzo che aveva necessità di fuggire dall’Argentina: notai che mi somigliava e così riuscii a farlo scappare vestito da prete e con la mia carta di identità. Quella volte rischiai molto: se l’avessero scoperto, senza alcun dubbio l’avrebbero ucciso, e poi sarebbero venuti a cercare me». Quanto ai due gesuiti espulsi dalla Compagnia e sequestrati dal regime, padre Yorio e padre Jalics, Bergoglio racconta di essersi battuto per la loro liberazione: per due volte va a trovare l’ammiraglio Massera; riesce a parlare con Videla, convincendo il suo cappellano a darsi malato e celebrando la messa al suo posto. Alla fine i due vengono liberati, e Bergoglio organizza la loro fuga dall’Argentina. Tenta anche di aiutare Esther, la sua insegnante comunista, nascondendo i suoi libri: ma non riesce a salvarla. Esther viene presa, torturata, gettata da un aereo. «Fu un genocidio generazionale» scrive il Papa, che aggiunge: «Le accuse contro di me sono continuate fino a poco tempo fa. È stata la vendetta di qualche sinistrino che invece sapeva quanto mi fossi opposto a quelle atrocità… L’8 novembre 2010 sono anche stato interrogato come persona informata dei fatti per il processo sui crimini commessi durante il regime. L’interrogatorio è durato quattro ore e dieci minuti: un fuoco di fila di domande… In seguito alcune persone mi hanno confidato che il governo argentino dell’epoca aveva provato in tutti i modi a mettermi il cappio intorno al collo, ma che alla fine non avevano trovato prove perché ero pulito». A capo del governo di allora c’era Cristina Kirchner: anche da qui la freddezza nei loro rapporti. Ora il nuovo presidente Javier Milei l’ha invitato in Argentina, ma Bergoglio spiega di non aver ancora deciso il viaggio.
Perché non guarda la tv
Nel libro il Papa parla di Maradona, Messi e della passione per il calcio, ma spiega perché non guarda in tv le partite dell’Argentina. «Era il 15 luglio 1990. Mentre con i confratelli stavamo guardando la televisione nella sala di ricreazione, vennero trasmesse delle scene poco delicate, per usare un eufemismo, qualcosa che non faceva di certo bene al cuore. Niente di osé, per carità, ma una volta tornato in stanza dissi tra me e me: “Un prete non può guardare queste cose”. E così l’indomani, alla messa per la festa della Madonna del Carmelo, feci il voto di non guardare più la tv!».
In esilio per punizione
Giovanissimo capo dei gesuiti argentini, Bergoglio cade in disgrazia e viene mandato a Cordoba en destierro, in esilio per punizione. Sveglia alle quattro e mezza, preghiera, bagno in comune, una piccola cella, la numero 5. Si occupa dei confratelli ammalati, li lava, dorme al loro fianco, aiuta in lavanderia: «Mettersi al servizio dei più fragili, dei più poveri, degli ultimi è ciò che ogni uomo di Dio, soprattutto se sta ai vertici della Chiesa, dovrebbe fare: essere pastori con addosso l’odore delle pecore». Un giorno si offre di cucinare per il matrimonio della nipote di Ricardo, il tuttofare del convento: fa bollire la carne in due pentoloni, pela le patate, prepara un timballo di riso. Alcuni gesuiti mormorano: «Bergoglio è pazzo». In realtà, Bergoglio riflette sugli errori «commessi per via del mio atteggiamento autoritario, tanto da esser stato accusato di essere ultraconservatore. Fu un periodo di purificazione. Ero molto chiuso in me stesso, un po’ depresso».
Papa Ratzinger
Finita la punizione, comincia l’ascesa: vescovo ausiliare di Buenos Aires, arcivescovo, cardinale. Quando Papa Benedetto si dimette, Bergoglio è convocato con gli altri a Roma. Ratzinger incontra i cardinali e promette «incondizionata reverenza e obbedienza al nuovo Papa che sarebbe stato eletto in conclave, e che era tra noi. Mi ha invece addolorato vedere, negli anni, come la sua figura di Papa emerito sia stata strumentalizzata con scopi ideologici e politici da gente senza scrupoli che, non avendo accettato la sua rinuncia, ha pensato al proprio tornaconto e al proprio orticello da coltivare, sottovalutando la drammatica possibilità di una frattura dentro la Chiesa».
Per evitare questa deriva, Francesco va subito a trovare Benedetto a Castel Gandolfo. «Decidemmo insieme che sarebbe stato meglio che non vivesse nel nascondimento, come aveva inizialmente ipotizzato, ma che vedesse gente e partecipasse alla vita della Chiesa. Purtroppo servì a poco, perché le polemiche in dieci anni non son mancate e hanno fatto male a entrambi».
Il conclave
Da qualche battuta – «hai preparato il discorso?» – Bergoglio intuisce che stanno pensando a lui come Papa. Ma il segnale vero arriva quando il cardinale Santos Abril y Castellò gli chiede: «Eminenza, scusi per la domanda, ma è vero che a lei manca un polmone?». Bergoglio risponde di no, che gli manca solo il lobo superiore del polmone destro, asportato quando aveva ventun anni. Il cardinale si fa serio e con fare scocciato afferma: «Queste manovre dell’ultimo momento…». È allora che Bergoglio capisce che potrebbe davvero toccare a lui.
Nel libro rivela di aver avuto già molti voti fin dall’inizio. «Alla prima votazione fui quasi eletto, e a quel punto si avvicinò il cardinale brasiliano Claudio Hummes e mi disse: “Non aver paura, eh! Così fa lo Spirito Santo!”. Poi, alla terza votazione di quel pomeriggio, al settantasettesimo voto, quando il mio nome raggiunse i due terzi delle preferenze, tutti fecero un lungo applauso. Mentre lo scrutinio continuava, Hummes si avvicinò di nuovo, mi baciò e mi disse: “Non dimenticarti dei poveri…”. E lì ho scelto il nome che avrei avuto da Papa: Francesco».
La pandemia
«Quando in Vaticano arrivò la prima dose, io mi prenotai subito e poi feci anche i richiami e, grazie a Dio, non fui mai contagiato». Il Papa quindi non ha mai fatto il Covid. È stato però ricoverato in ospedale più volte per altri motivi, e ha notato che «qualcuno era più interessato alla politica, a fare campagna elettorale, pensando quasi a un nuovo conclave. State tranquilli, è umano, non c’è da scandalizzarsi! Quando il Papa è in ospedale, di pensieri se ne fanno molti, e c’è anche chi specula per proprio tornaconto o per guadagno sui giornali. Per fortuna, nonostante i momenti di difficoltà, non ho mai pensato alle dimissioni».
L’Europa e Orbán
Nell’Unione europea «ogni popolo porta le sue ricchezze, la sua cultura, la sua filosofia e deve poterle mantenere, armonizzandosi nelle differenze. Ne ho parlato proprio a Budapest perché spero che quelle parole siano ascoltate sia dal primo ministro ungherese Viktor Orbán, perché capisca che c’è sempre tanto bisogno di unità, sia da Bruxelles – che sembra voler uniformare tutto – perché rispetti la singolarità ungherese».
Salvare il Pianeta
I l Papa nel libro si esprime più volte in difesa della pace, del lavoro, contro i mercanti di armi e gli eccessi della finanza. Lancia poi un appello a tutela del creato – «il tempo sta per scadere, non ci rimane molto per salvare il pianeta» —, invitando i giovani a «fare rumore», senza ricorrere a violenze e senza «deturpare le opere d’arte».
Gli omosessuali
«Immagino una Chiesa madre, che abbracci e accolga tutti, anche chi si sente sbagliato e chi in passato è stato giudicato da noi. Penso alle persone omosessuali o transessuali che cercano il Signore e che invece sono state respinte o cacciate». Il Papa conferma «le benedizioni alle coppie irregolari: voglio soltanto dire che Dio ama tutti, soprattutto i peccatori. E se dei fratelli vescovi decidono di non seguire questa strada, non significa che questa sia l’anticamera di uno scisma, perché la dottrina della Chiesa non viene messa in discussione». Il matrimonio omosessuale non è possibile, ma le unioni civili sì: «È giusto che queste persone che vivono il dono dell’amore possano avere una copertura legale come tutti. Gesù andava spesso incontro alle persone che vivevano ai margini, ed è quello che la Chiesa dovrebbe fare oggi con le persone della comunità LGBTQ+, che all’interno della Chiesa sono spesso marginalizzate: farle sentire a casa, soprattutto quelle che hanno ricevuto il battesimo e sono a tutti gli effetti parte del popolo di Dio. E chi non ha ricevuto il battesimo e desidera riceverlo, o chi desidera fare da padrino o madrina, per favore, che sia accolto».
Gli attacchi
Scrive il Papa che, se fosse andato dietro a tutte le cose dette e scritte su di lui, sarebbe dovuto andare dallo psicologo una volta la settimana. Ma l’ha ferito chi ha scritto che «Francesco sta distruggendo il papato». «Cosa posso dire? Che la mia vocazione è quella sacerdotale: prima di tutto sono un prete, sono un pastore, e i pastori devono stare in mezzo alle persone… È vero che quella del Vaticano è l’ultima monarchia assoluta d’Europa, e che spesso qui dentro si fanno ragionamenti e manovre di corte, ma questi schemi vanno definitivamente abbandonati». Nel conclave del 2013 «c’era una gran voglia di cambiare le cose, di abbandonare certi atteggiamenti che purtroppo ancora oggi fanno fatica a sparire. C’è sempre chi cerca di frenare la riforma, chi vorrebbe rimanere fermo ai tempi del Papa-re».
Le dimissioni
«Penso che il ministero petrino sia ad vitam e dunque non vedo condizioni per una rinuncia. Le cose cambierebbero se subentrasse un grave impedimento fisico, e in quel caso ho già firmato all’inizio del pontificato la lettera con la rinuncia che è depositata in Segreteria di Stato. Se questo dovesse succedere, non mi farei chiamare Papa emerito, ma semplicemente vescovo emerito di Roma, e mi trasferirei a Santa Maria Maggiore per tornare a fare il confessore e portare la comunione agli ammalati. Ma questa è un’ipotesi lontana, perché davvero non ho motivi talmente seri da farmi pensare a una rinuncia. Qualcuno negli anni forse ha sperato che prima o poi, magari dopo un ricovero, facessi un annuncio del genere, ma non c’è questo rischio: grazie al Signore, godo di buona salute e, a Dio piacendo, ci sono molti progetti ancora da realizzare».