il Fatto Quotidiano, 14 marzo 2024
Gli ultimi colpi di Sergio prima di Rossi
Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi. La Rai briga per ascoltare questa cover a Sanremo 2025-26. Cantata da Amadeus, con profusione di violini. Peccato non sia (ancora) aria. La polpetta indigesta tirata fuori da Italia Oggi, che dava per sancito l’accordo fra l’autocrate della Riviera e Viale Mazzini ha maledettamente complicato i piani. “Voci totalmente infondate”, le ha bollate la dirigenza della tv pubblica. Manifesta indignazione l’ad Roberto Sergio: “Grave che simili notizie vengano date avventatamente e senza adeguate verifiche, rischiando di arrecare un danno gravissimo all’azienda”.
Di certo, il presunto ballon d’essai non giova a nessuno dei convenuti al tavolo: Sergio spera nel colpaccio prima di passare la mano, in giugno, al suo annunciatissimo successore (l’ipermeloniano Giampaolo Rossi), per incassare un credito in vista del rincantucciamento ai vertici di Radio Rai. Più defilato, assiste alle manovre il responsabile dell’intrattenimento Prime Time Marcello Ciannamea, in odore di rinsaldo al giro di valzer estivo come futuro dg. Strano destino, quello di Ama. Divenuto princeps del Festival grazie alle designazioni di dirigenti sempre in bilico o in scadenza. Da Teresa De Santis a Carlo Fuortes, rinnovi su rinnovi fino al minuetto dello scorso anno: la destra sembrava volerlo segar via e oggi lo corteggia appassionatamente, chissà se invano.
La soffiata intossicante a mezzo stampa, se non è fondata, è in ogni caso prematura. Una firma sulla conduzione per i prossimi due anni non c’è. I ponti d’oro riguardano Affari Tuoi, I Soliti Ignoti, lo show in autunno con Fiorello, un non scandaloso adeguamento economico. Quel che è ovvio, nelle intenzioni di Sergio & C., l’incarico è spendibile solo per l’autocrate. Dopo il bacio della morte degli ascolti della finale scorsa (74,1 per cento) Sanremo è una poltrona per uno, una trattativa da vicolo cieco. Potrebbe mattarellianamente cedere, Amadeus, “per spirito di servizio?”. Qui conta la volontà dell’uomo, ma pure il cerchio degli interessi che gravitano attorno a un evento che è, of course, molto di più di una rassegna canzonettara. Grazie al Festival la Rai ripiana i bilanci (più di 60 milioni di euro di indotto, nelle ultime tornate), tuttavia gli inserzionisti pretendono tutele: sotto un certo share gli esborsi pubblicitari non sono più garantiti. Mettiamoci poi la pressione dei discografici: Ama si smazza pazientemente centinaia di proposte e decide in autonomia, però da insider di lungo corso sa cencellianamente come accontentare la filiera. Trenta concorrenti, una chance di mercato (e in vista dei live) anche per gli sconosciuti, i brani invadono le radio e funzionano, le multinazionali si fregano le mani: quest’anno la parte del leone l’ha fatta la Warner, il prossimo tocca a Sony o Universal.
Infine, Amadeus si è sganciato dall’ingombrante Lucio Presta: avrebbe spazi di pensiero ancor più liberi presso i potentati del management musicale. Insomma, resta il candidato perfetto. Peccato sia l’unico. E i rumors, che hanno indispettito non poco pure lui, creano un’automatica minusvalenza su tutte le alternative.
Se la Rai lo pressa vuol dire che non crede fino in fondo ad altre soluzioni. Quali, comunque? Alessandro Cattelan è invecchiato nel ruolo, è troppo Sky, i suoi risultati sono da 4 per cento. Da solo naufragherebbe nel definitivo flop generalista. Antonella Clerici si è sfilata dopo l’endorsement naif- ma-non-troppo di Fiorello, Milly Carlucci è felice tra i suoi ballerini, Mara Venier si stancherebbe dell’impegno dopo mezza serata. Lorella Cuccarini? Pedina sovranamente affidabile, però ancora non ci siamo con il puzzle. Alberto Matano ha fatto sapere di “non essere un mitomane”, e ha ragione: un pur valido giornalista pop l’Ariston lo schiaccia in un amen. Stefano De Martino studia con zelo, ma da qui alla laurea ce ne corre. Allora chi?
La destra trionfante in Rai è davvero costretta a guardare in casa Mediaset, magari per un gentlemen’s agreement politico? Paolo Bonolis è prestiano, abbiamo già dato. L’unico da prendere sarebbe Gerry Scotti, con un patto da mille clausole. Non Michelle Hunziker, che affonda con il Michelle Impossible su Canale5. Quanto a Barbara D’Urso, il requiem dopo l’ospitata a Domenica In è definitivo. Restano i cantanti-timonieri, già sperimentati via Claudio Baglioni e Gianni Morandi. Il ticket Laura Pausini-Paola Cortellesi, per sopraggiunti incagli di agenda, non pare più praticabile. Morgan è l’antiSanremo, forse l’antiTutto. Dio ce ne scampi e liberi, anche nel Risorgimento dell’Arte. Uno spunto può venire dalla terza stagione (ora in lavorazione) di Vita da Carlo, dove Verdone si toglie lo sfizio per fiction di diventare direttore artistico del Festival. Al suo fianco sul set la radio personality Ema Stokholma, un’intrigante, possibile wild card nei progetti Rai. Ema accanto a? Be’, non accadrà mai, ma la quadratura del cerchio sarebbe Fiorello stavolta sul palco e l’autocrate a fungere da battitore libero-provocatore in platea. Invertendo i ruoli, senza rinunciare all’Amadeus ex machina.