Corriere della Sera, 13 marzo 2024
Floris, il giornalista che vuole diventare allenatore di pallone
«Dico solo che è vero. È il mio sogno, ma non aggiungo altro». Giovanni Floris tra una pausa e l’altra della diretta del suo diMartedì in onda su La7, conferma: si è iscritto al corso dell’Associazione italiana allenatori calcio del Lazio. C’è anche una foto che lo testimonia, lui al banco, come a scuola, che prende appunti su un quaderno da bravo alunno. Del resto non ha mai nascosto di essere sempre stato un «secchione» («è vero, a scuola studiavo tantissimo»).
Floris non vuole commentare oltre. Ma qualcosa aveva già detto qualche tempo fa in una lunga intervista a Elvira Serra proprio sul Corriere. Parlava dei figli che giocano entrambi a calcio e del fatto che alle loro partite lui è sempre quello che deve calmare le acque tra genitori e arbitro («non posso fare quello che urla, perché sono riconoscibile»). E aggiungeva: «Però fare l’allenatore mi piacerebbe: vorrei tanto seguire il corso a Coverciano, ma temo che sia impossibile, pare serva il tesseramento».
Non sappiamo esattamente cosa sia successo, fatto sta che ora l’impedimento è stato superato e il giornalista ha avuto il nulla osta all’iscrizione. «Il mio sogno, quando smetterò di fare questo lavoro, è diventare allenatore di una squadra di dilettanti e aprire una trattoria».
Calcio e cibo, due format molto italiani. Intanto il primo passo lo ha compiuto, da giornalista professionista a (quasi) allenatore dilettante, mestiere che in fondo tutti noi appassionati di calcio crediamo di saper fare anche meglio di un qualunque vero mister.
Nato a Roma 56 anni fa da mamma romana e papà nuorese (la sua seconda squadra è il Cagliari), Floris è – parole sue – un «romanista sfegatato». E in effetti c’è da credergli. Al suo matrimonio i tavoli erano «brandizzati» con i nomi dei calciatori giallorossi. Il suo si chiamava – ovviamente – «Totti» mentre per un gruppo di laziali aveva scelto con perfidia il nome di «Paolo Negro» che con un autogol aveva permesso alla Roma di vincere un derby. La moglie («è tifosa quanto me») non aveva nulla da eccepire. Anzi: «Era il 2001, l’anno dello scudetto, indossavamo entrambi la maglia numero 11 di Emerson che ci eravamo regalati per i nostri undici anni insieme».
Tempo fa (al Fatto) aveva anche raccontato di non aver mai conosciuto l’ex capitano giallorosso: «Però una volta gli ho chiesto un selfie e quando si è dimesso dalla Roma sono andato, di nascosto, alla conferenza stampa. Per fortuna non mi hanno riconosciuto». Possibile mister Floris?