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 2024  marzo 13 Mercoledì calendario

Intervista a Stefano Bonaccini


La strategia unitaria è giusta, la sconfitta in Abruzzo da questo punto di vista non deve far cambiare la linea del Pd, ma bisogna unire «tutte le opposizioni», centristi compresi e il Pd non deve limitarsi a guardare a sinistra ma avere «l’ambizione di parlare a tutto il Paese». Stefano Bonaccini riconosce che non è ancora iniziata la parabola discendente di Giorgia Meloni, «nessuno può negare che la destra abbia consenso e radicamento», ma respinge una lettura tutta negativa del voto abruzzese: «Si è giocata fino in fondo una partita che, solo qualche mese fa, sembrava perduta in partenza e con venti punti di distacco». Anche lui, come Elly Schlein, sottolinea che «il Pd è cresciuto molto» e ci è riuscito «anche perché si è speso e impegnato ad unire. È la strada giusta, fare passi indietro adesso sarebbe folle».
Però in Abruzzo eravate in coalizione con tutti gli alleati possibili – da M5s a Renzi – eppure non è bastato. Forse la formula degli accordi solo “sui temi” non basta più? Per convincere gli elettori bisogna presentarsi come una vera coalizione e non solo come compagni di strada occasionali?
«Siamo d’accordo sulla difesa della scuola e della sanità pubbliche, che il Governo sta smantellando. Siamo d’accordo sulla difesa del lavoro, dei diritti e sulla necessità di sbloccare gli stipendi, fermi da anni ed erosi dall’inflazione. E siamo d’accordo sul fatto che serva una politica industriale. Sono però d’accordo sul fatto che serva uno scatto: tante proposte, prese in sé una ad una, non fanno un progetto forte e alternativo per l’Italia. Che è invece quello che serve per tornare a vincere a tutti i livelli. Suggerisco di costruire un’alternativa seria e credibile per l’Italia, non contro qualcuno, ma dando risposte alle persone»».
Schlein continua a dire che il Pd non può “rappresentare tutti”, perché altrimenti rischia di non “rappresentare nessuno”. Ma Calenda e Renzi dicono no a un’alleanza con i 5stelle e continuano a lavorare a un altro progetto. Se il Pd si sposta a sinistra dov’è la “Margherita” degli anni 2020? Non è che toccherà proprio a voi lavorare per coprire uno spazio più ampio?
«Il Pd deve avere l’ambizione di parlare a tutto il Paese con i propri valori e il proprio progetto di società. Io sono contro la decrescita felice e a favore della crescita sostenibile. Senza crescita e sviluppo non si crea lavoro, non si redistribuisce ricchezza. Un partito della sinistra europea deve battersi certamente per i diritti civili, ma mai disgiunti da quelli sociali. Serve una politica industriale, il sostegno a chi deve affrontare la transizione ecologica e digitale. Dobbiamo stare accanto a chi crea lavoro, investire su formazione, ricerca e innovazione per avere lavoro di qualità e non precario, meglio pagato».
Peraltro, in Abruzzo il M5s è andato molto male e Conte sembra pensare che l’errore sia stato proprio fare un’alleanza anche con i centristi. È una missione impossibile tenere tutti dentro?
«Potrei dire che in Sardegna i centristi non erano in alleanza con noi e la lista dei 5 Stelle non è andata bene. Ma per la prima volta quel Movimento ha eletto una presidente alla guida di una Regione. Noi dobbiamo rivolgerci a tutte le forze di opposizione al Governo, che – visti i numeri in Parlamento – non ha certo bisogno di stampelle. Il Pd deve crescere e allargare la sua base elettorale per essere il perno di un centrosinistra largo e aperto alle migliori esperienze civiche. Il nostro risultato è stato positivo in Sardegna, dove abbiamo vinto sostenendo con generosità la candidatura autorevole di Alessandra Todde dei 5 Stelle. E, se possibile, il Pd è andato ancora meglio in Abruzzo, sapendo unire tutte le forze di centrosinistra. Unire il nostro campo e crescere come Pd sono due cose che vanno insieme, non sono in contraddizione».
Siete alla vigilia delle Europee, dalla sua area – “Energia popolare” – è arrivato un invito a fare presto le liste. Lei si candiderà? E la segretaria sarà in campo?
«Di liste e candidature parleremo a breve. Il nostro obiettivo deve essere quello di mettere in campo donne e uomini che raccolgano molti voti e portare al Parlamento europeo persone capaci e competenti. L’ultimo dei problemi è cosa farò io e credo che per Elly valga lo stesso».
L’assemblea dei parlamentari ha ribadito che voterà no al terzo mandato, che a lei non dispiace. È deluso? E non teme sia un argomento impopolare?
«La destra ha prodotto un pasticcio: sindaci ricandidabili a vita, altri per tre mandati, alcuni solo per due. Sfido qualsiasi cittadino a capirci qualcosa. La direzione del Pd ha aperto all’idea di avanzare una proposta organica di riordino della materia, tenendo insieme il numero dei mandati con un conseguente bilanciamento dei poteri delle assemblee elettive. Un partito di opposizione che vuole essere alternativa di governo deve avanzare una controproposta in Parlamento. Permettere ai cittadini di scegliere non mi pare impopolare. Certo, in forme e modi che vedano un bilanciamento dei poteri. Ed è irresponsabile manomettere le istituzioni per decreto a ridosso delle elezioni».
Giorgia Meloni punta molto sul premierato, che la Lega accetta malvolentieri in cambio dell’autonomia. Non pensa però che lo slogan: “Scegli tu il premier” sia efficace?
«Le riforme di cui parla la destra servono solo a non parlare dei problemi degli italiani. Uno scambio scellerato, quello tra premierato e autonomia di Calderoli. Il primo colpisce le prerogative della Presidenza della Repubblica, l’istituzione più autorevole e meglio funzionante del nostro ordinamento. La seconda mette a rischio l’unità del Paese senza migliorare il funzionamento di Regioni e Comuni. Noi pensiamo che si possa rafforzare la governabilità senza colpire Parlamento e capo dello Stato: penso al cancellierato alla tedesca. E siamo autonomisti nel senso che bisogna far funzionare meglio Regioni e Comuni a vantaggio dei cittadini: bisogna sburocratizzare e semplificare».