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 2024  marzo 12 Martedì calendario

I modernisti nel mirino

Rafael Merry del Val nacque nel 1865 a Londra da padre spagnolo (segretario d’ambasciata) e madre irlandese. Dopo aver studiato in Inghilterra, in Belgio e poi ancora in Inghilterra, a vent’anni entrò, per volere di Leone XIII, nella Pontificia Accademia dei nobili ecclesiastici. Di lì ebbe un percorso fulminante come ben mette in evidenza Roberto de Mattei in Merry del Val. Un cardinale che servì quattro Papi (1865-1930) in uscita dopodomani per i tipi della Sugarco. I quattro Papi, di cui al sottotitolo del libro, sono Leone XIII, Pio X che molto lo valorizzò, Benedetto XV e Pio XI che, invece, nei suoi confronti furono più o meno diffidenti.
L’unica biografia che, quantomeno in Italia, gli è stata fin qui dedicata, fu, tre anni dopo la sua morte, quella di monsignor Pio Cenci. Biografia che Philippe Chenaux – in Pio XII diplomatico e pastore (Edizioni San Paolo) – definisce non del tutto «valida» sotto il profilo scientifico. Ma degna di attenzione se non altro per il breve saggio introduttivo di Eugenio Pacelli (futuro Papa Pio XII), il quale quasi rimproverava al libro di Cenci di non aver messo sufficientemente in evidenza quanto Merry del Val fosse stato «buono e fedele ministro» del pontefice Giuseppe Sarto, Pio X, passato alla storia per la guerra al «modernismo». Al quale sono state dedicate due monografie: quella di Gianpaolo Romanato, Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo (Lindau) e San Pio X. Vita del Papa che ha ordinato e riformato la Chiesa (Edizioni San Paolo) di Cristina Siccardi. Che ovviamente si occupano ampiamente di Merry del Val.
Papa Leone XIII, dicevamo, era stato il primo ad apprezzarne doti e personalità. Ma si trattava di un apprezzamento ricambiato fino ad un certo punto: Merry del Val non ne condivise la politica di riavvicinamento e riconciliazione con la Terza Repubblica francese che lo stesso Leone XIII aveva annunciato in un’inaspettata intervista al «Petit Journal» del 17 febbraio 1892. Merry del Val, però, secondo de Mattei, all’epoca era «troppo giovane e rispettoso dell’autorità pontificia per assumere una posizione di dissenso su questo punto delicato». Preferì raccontare a sé stesso che la «colpa» di quel passo avventato del Pontefice era da ricondursi all’allora segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro.
Leone XIII morì il 20 luglio 1903. Quattro giorni prima era stato colpito da apoplessia monsignor Alessandro Volpini, appena nominato segretario del Sacro Collegio. Toccò così a Merry del Val, scelto anche perché poliglotta, fungere da segretario del conclave. Qualche giornale (ad esempio l’Illustrazione italiana) lo classificò come «rampolliano». Era vero il contrario. La sua nomina fu un’impercettibile sconfitta per Rampolla e un successo, invece, del cardinale «antirampolliano» Luigi Oreglia di Santo Stefano.
Di lì iniziò un conclave passato alla storia per essere stato l’ultimo in cui fu concesso all’Impero austro-ungarico di pronunciare il proprio veto contro un candidato: Rampolla, appunto. In realtà, come ben ricostruisce de Mattei, i giochi a svantaggio di Rampolla erano almeno in parte già stati fatti quando quel veto fu annunciato dal cardinale Jan Pawel Puzyna, arcivescovo di Cracovia. A quel punto la candidatura del cardinale Giuseppe Sarto – che, come da tradizione, si mostrava riluttante – prese gradualmente il sopravvento attraverso tortuosità ben ricostruite da Carlo Snider nel libro I tempi di Pio X (Neri Pozza). E alla fine toccò appunto a Merry del Val «convincerlo». Rampolla si ostinò fino all’ultimo a mantenere la sua candidatura, ma a poco a poco fu abbandonato dai cardinali francesi e nel settimo scrutinio la Chiesa ebbe un nuovo Papa.
Pio X, sottolinea Andrea Tornielli biografo di un suo importante successore — Pio XII. Eugenio Pacelli un uomo sul trono di Pietro (Mondadori) —, non nominò subito un segretario di Stato e scelse di affidare al giovane segretario del conclave, Merry del Val, allora trentottenne, l’incarico di «prosegretario». Un modo, prosegue Tornielli, «per prendere tempo e non decidere in fretta, dinanzi a molte pressioni e a qualche autocandidatura». Poco dopo gli conferì la nomina piena e nei panni di segretario di Stato Merry del Val conobbe una crescita di ruolo così impetuosa che, fa osservare de Mattei, nei due conclavi successivi, 1914 e 1922, «sfiorò egli stesso l’elezione a Pontefice».
Ma restiamo ai tempi di Pio X, passato alla storia soprattutto per l’enciclica Pascendi Dominici gregis dell’8 settembre 1907 con la quale (ma c’era già stato il decreto Lamentabili sane exitu) dichiarò guerra ai cosiddetti «modernisti». Come ha spiegato Giovanni Vian in Il modernismo. La Chiesa cattolica in conflitto con la modernità (Carocci) questo movimento nato in Francia a fine Ottocento su ispirazione dell’abbé Alfred Loisy, intendeva espressamente «adattare» la religione cattolica a «tutte le conquiste dell’epoca moderna nel dominio della cultura e del progresso sociale». In Italia si presenta a Firenze nel 1901 con la rivista «Studi religiosi» fondata e diretta per sette anni dal biblista don Salvatore Minnocchi a cui collaborarono il barnabita Giovanni Semeria, padre Giovanni Benocchi, don Umberto Fracassini (rettore, poi destituito, del seminario di Perugia) e dal 1904 don Ernesto Buonaiuti, destinato a diventarne la figura di maggior spicco. Oltreché lo scrittore Antonio Fogazzaro. Del Val fu, secondo Vian, il più «solerte promotore dell’antimodernismo».

Quella contro il «modernismo» fu una guerra spietata e Merry del Val, scrive de Mattei, «non ebbe timore di scendere apertamente in campo a fianco del Papa». Nel maggio del 1906 scriveva all’amico Denis Florence Sheil: «Non sarei affatto sorpreso se, prima o poi, il Santo Padre denunciasse le eresie moderne, che stanno facendo danni incalcolabili e distruggono completamente la fede a destra e a manca». Segno che già era al corrente dell’enciclica che sarebbe stata resa pubblica nel settembre dell’anno successivo. Nel dicembre di quello stesso 1906 si rivolgeva a un altro amico, Joe Broadhead, con queste parole: «Siamo venuti ai ferri corti con l’incredulità e la blasfemia, dobbiamo combatterla».
Recentemente monsignor Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio Apostolico Vaticano – in uno straordinario libro di Massimo Franco Secretum (Solferino) – ricostruisce come fu monsignor Umberto Benigni che per conto di Pio X si assunse l’onere di «dare la caccia sistematicamente a tutti i modernisti, veri e presunti, soprattutto preti». Li «denunciava al Papa» e «finiva per perseguitarli, ritenendoli eretici o fautori di eresie». La verità che emerge dagli archivi pontifici, a più di un secolo di distanza dai fatti, è che alcuni dei perseguitati «potevano anche essere considerati tali», ma «molti non lo erano affatto». L’effetto fu che, secondo monsignor Pagano, la Chiesa fu travolta da un «maccartismo ante litteram».
La «mentalità spionistica di Benigni» – secondo Pagano – lo indusse a creare un codice tutto particolare. Ad esempio, diceva: «Se io voglio parlare male di un vescovo perché è sospetto, ne dirò tutto il bene esagerando; ma voi dovete capire che sotto questa mia esagerazione c’è invece una lettura negativa del suo operato». I nomi delle persone venivano poi cambiati artificialmente con un vero e proprio cifrario. Gli «avvertiti» sapevano ad esempio che «don Romano» era in realtà Romolo Murri. Risultato? «Sono stati repressi crudelmente i fermenti migliori… anche con sofferenze personali perché ai sospettati facevano perdere le cattedre, i sacerdoti venivano allontanati dalle loro parrocchie, molti di essi non avevano più sostegno economico, venivano isolati; alcuni erano addirittura sospesi a divinis, non potevano più celebrare la messa e i sacramenti; erano persone che soffrivano moltissimo».

Merry del Val ebbe un ruolo decisivo nella condanna di Alfred Loisy e di George Tyrrell. Restava in campo Ernesto Buonaiuti che, secondo la documentazione prodotta da de Mattei, commise l’errore di considerare il pontificato di Benedetto XV, successore di Pio X, come l’«antitesi perfetta» del precedente. Buonaiuti si espose e Merry del Val, dal Sant’Uffizio, lo infilzò, nel gennaio del 1921, con un decreto di scomunica.
Benedetto XV esce molto ridimensionato dal libro di de Mattei, che si sofferma sull’ingenuità del Pontefice nell’affidarsi – a dispetto dei tentativi di dissuasione da parte di Merry del Val – ad un collaboratore assai chiacchierato, monsignor Rudolf Gerlach, che, agli inizi della Prima guerra mondiale, si scoprì essere una spia al soldo della Germania. Ebbe poi il torto – agli occhi di Merry del Val – di nominare segretario di Stato, nel 1914, un suo grande avversario, il cardinale Pietro Gasparri. Merry del Val, con Pio X (e Giovanni Giolitti), era stato fautore del «patto Gentiloni» in virtù del quale nelle elezioni del 1913 entrarono in Parlamento esponenti dell’Unione elettorale cattolica italiana. Non vide invece di buon occhio la nascita nel gennaio del 1919 del Partito popolare italiano di don Luigi Sturzo. Fosse dipeso da lui, avrebbe mantenuto la formula: «Cattolici deputati, ma non deputati cattolici».
Nel gennaio del 1921, dopo l’improvvisa scomparsa di Benedetto XV, si tenne quello che Gasparri definì il «conclave più contrastato del secolo». Alla fine del quale venne eletto Achille Ratti che prese il nome di Pio XI e, a dispetto degli «integristi», confermò Gasparri alla segreteria di Stato. Ma Merry del Val come segretario del Sant’Uffizio poté continuare a combattere la sua battaglia.

La condanna nel 1926 dell’Action française – il giornale monarchico orleanista della destra cattolica francese – e delle opere di Charles Maurras portò i rapporti tra Pio XI e Merry del Val ai confini della rottura. Pio X aveva preso le distanze in modo, per così dire, silenzioso dai libri di Maurras, ma sostanzialmente aveva consentito che in Francia continuassero ad essere diffusi e apprezzati. Vent’anni dopo, Pio XI, in un contesto politico di pacificazione con la Terza Repubblica, condannò Maurras e i suoi seguaci, spingendosi a negare i sacramenti per chiunque fosse abbonato all’Action française o anche solo la leggesse. Il 23 febbraio 1927 il Pontefice concesse udienza a Merry del Val e fu quest’ultimo (in un resoconto di cinque pagine) a riferire che il confronto tra i due sul «tema Maurras» era stato piuttosto vivace. Il segretario del Sant’Uffizio ribadì al Pontefice la propria opinione secondo la quale era stata più confacente alla missione della Chiesa la condanna non esplicita di Maurras, alla maniera di Pio X. In seguito, Merry del Val fece conoscere riservatamente i propri dubbi sulla Conciliazione tra Stato e Chiesa (1929) non sulla sostanza, ma «per il modo con cui era stata condotta».
L’unica soddisfazione che il cardinale ebbe in quegli anni fu, agli inizi del Trenta, la sostituzione alla Segreteria di Stato di Gasparri con Eugenio Pacelli (futuro Papa Pio XII), del quale era un grande estimatore. Ma in quello stesso anno Merry del Val morì – mentre era nel pieno delle sue forze – a seguito di un intervento per una banalissima appendicite. Di qualche stranezza in merito a quell’intervento chirurgico parla un’informativa di polizia citata da de Mattei, secondo la quale «negli ambienti della Santa Sede» circolava la voce che «il valente chirurgo», Raffaele Bastianelli, aveva «ucciso» il cardinale. Non certo intenzionalmente, ma per via di una «somministrazione troppo abbondante di cloroformio». Tant’è che ancora venti, trent’anni dopo la morte del cardinale, ai suoi nipoti capitò di raccogliere – in Vaticano – un’autorevole voce secondo la quale Merry del Val era stato «assassinato».