La Stampa, 11 marzo 2024
Il precipizio di Haiti
«Sono nato schiavo, ma la natura mi ha dato l’anima di un uomo libero». Sono parole di Toussaint Louverture, schiavo, leader della prima rivoluzione di schiavi neri della storia moderna, conosciuto come “Spartaco nero”. Il suo credo sintetizzato nella sua prosa grande per semplicità, da schiavo educato nella casa dei padroni, era: «Voi sapete, fratelli, che ho intrapreso la strada della vendetta e che desidero una Saint-Domingue in cui regnino libertà e uguaglianza. Sin dal principio mi sono impegnato affinché questo accadesse per la felicità di noi tutti».Un’altra nazione ha cominciato in questi giorni ad attrarre l’attenzione del mondo. Haiti, 11 milioni di abitanti, parte dell’Isola di Hispaniola nei Caraibi, è dal 29 febbraio dentro una spirale di violenza da parte di bande criminali che controllano ormai l’80 per cento del paese. Morti per le strade, roghi, attacco coordinato al Palazzo Presidenziale e quello del Ministero degli Interni, liberazione dalle carceri di 3800 detenuti arruolati per ingrossare le fila delle stesse bande armate. Non manca nulla, come si vede, per indicare il vicino baratro di una vera e propria guerra civile, inclusa la evacuazione in queste stesse ore degli americani, ambasciata inclusa, di notte a bordo di elicotteri. Come nelle migliori tradizioni Usa.
In epoca di conflitti che si moltiplicano, anche quello di questo piccolo paese è oggi guardato con preoccupazione. Proprio per le sue dimensioni, il nuovo focolaio di scontro non sarà probabilmente rilevante ai fini degli equilibri globali o anche solo di area – Caraibi e Nord America. Può però diventare, come si vede già in queste ore, un episodio sanguinoso destinato ad approfondire il già acceso dibattito politico in corso nel mondo su torti e ragioni della storia. Quella di Haiti è infatti forse la storia che meglio e più crudelmente definisce le radici del modello coloniale, i cui torti e ragioni sono diventate centrali nel dibattito politico contemporaneo.Per questo è valsa forse la pena di iniziare una nota su questa nazione partendo dalle sue radici, cioè dal suo essere la prima rivoluzione nera, ispirata da un gruppo di uomini, poi diventati “I Giacobini Neri” secondo il titolo del libro dedicatogli da Cyril Lionel Robert James (Feltrinelli), e su cui ha scritto di recente anche Sudhir Hazareesingh, storico anglo– mauriziano, nel saggio “Spartaco nero. Toussaint Louverture: vita leggendaria di uno schiavo ribelle” (Rizzoli) da cui abbiamo tratto la citazione iniziale.
Prima della rivoluzione francese Haiti era il «più grande produttore mondiale di zucchero e caffè, e poteva contare anche su quantità significative di cotone, indaco e cacao». Vi lavoravano cinquecentomila schiavi neri, in condizioni disumane e senza nessun diritto. Questo ricco e appetibile paese, in epoca in cui le spezie erano fonte di enorme ricchezza, si fece ispirare dalla ondata rivoluzionaria della Francia. Nel 1790 un ristretto gruppo di schiavi si ribellò e nel 1791, ai mulatti e a tutte le persone di colore nate libere, furono concessi i diritti politici. Nel 1794 il commissario francese dell’isola proclamò l’emancipazione di tutti gli schiavi di Haiti. E i giacobini neri divennero leggenda anche in Francia. Fino a che nel 1802 Napoleone tradì Haiti inviandovi un nuovo esercito per riprendere il controllo dell’isola. Toussaint morirà in una prigione francese. Ma Haiti nel 1804 ottenne comunque l’indipendenza dalla Francia, diventando la prima repubblica nera indipendente, caso unico nella storia. A caro costo tuttavia – in senso letterale: la Francia nel 1825 gli impone 150 milioni di franchi d’oro (il bilancio annuale della Francia al momento) per compensare i vecchi colonizzatori. Il pagamento è rinegoziato tredici anni dopo, nel 1838, a 90 milioni. Ma dal debito, pagato per generazioni, Haiti non riuscirà mai a risollevarsi. Oggi è fra i più poveri del mondo.
La sua è stata una storia di quasi due secoli di instabilità e estrema miseria. Di fatto parte della costellazione Usa nel mondo caraibico. Una guida, quella americana, gestita in maniera piuttosto occasionale, se non sciatta, che va dalla occupazione dei marine dal 1815 al 1934 (fu la prima missione dei marine all’estero) all’intervento delle Nazioni Unite, dal 2004 al 2017, che finisce rovinosamente con uno scandalo di abusi sessuali proprio da parte dei “caschi bianchi” dell’Onu. La storia di Haiti è quella di una mancanza di vera assunzione di responsabilità da parte delle potenze occidentali, che ha generato una classe dirigente locale fatta da piccoli dittatori e tanta corruzione. Il caso di Papa Doc (Francois Duvalier) e delle sue milizie, i Tonton Macoutes, Presidente dal 1957 al 1971, reso famoso dal libro del 1966 di Graham Green “I commedianti”; e del figlio Baby Doc, fuggito da Haiti cacciato dalla ennesima rivolta nel 1986 insieme alla moglie e una montagna di valigie Louis Vuitton piene di denaro e gioielli. Lasciandosi alle spalle 50. 000 morti, e, come stabilito nel 1988 da un tribunale di Miami, avendo «sottratto più di 504 milioni di dollari di denaro pubblico».
La più recente ondata di violenza, affidata stavolta alle bande criminali, nasce con l’uccisione del penultimo presidente, Jovenel Moise, assassinato nella sua casa sulle colline di Port-au-Prince nel luglio 2021. Mandanti oscuri, ma di recente è stata arrestata la moglie come sospetta. E sospetto è anche l’attuale Presidente ad interim, e primo ministro, Ariel Henry, insediato pochi giorni dopo quel delitto con il compito di organizzare nuove elezioni. Ovviamente non è successo nulla: non sono servite le sanzioni imposte lo scorso dicembre dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu a carico di quattro capi di bande criminali attive ad Haiti. Che probabilmente lavorano in accordo con i trafficanti di droga Usa. Né è stato fermato il flusso di gente in fuga da Haiti – secondo l’Agenzia dominicana per le migrazioni nel 2023 mezzo milione di haitiani privi di documenti sono stati espulsi dalla Repubblica Dominicana. Uomini e donne che vanno a ingrossare le fila dell’immigrazione illegale in Usa. Come si vede, anche questa crisi pare ricalcare le orme di tante altre prima.