Corriere della Sera, 11 marzo 2024
È salpata la nave Usa Il porto galleggiante pronto fra due mesi
La nave americana Frank S. Besson ha lasciato la sua base in Virginia diretta verso il Mediterraneo orientale, prima mossa dell’operazione che dovrà realizzare un porto galleggiante a Gaza. Tempo stimato per completare i lavori due mesi. Un’eternità, con tutti gli imprevisti possibili di una regione mai avara di sorprese. A bordo dell’unità il materiale logistico necessario al progetto affidato dal Pentagono alla Seventh Transportation Brigade, con la partecipazione di almeno mille soldati. Non è chiaro se in questo numero è inclusa una scorta, necessaria visto il teatro altamente instabile.
Una volta arrivati in zona i genieri dovranno creare – secondo le indiscrezioni – un molo «mobile» lungo circa 500 metri attraverso il quale passeranno gli aiuti umanitari destinati alla terra ferma. Sarà il terminale di carichi provenienti da Cipro, dove saranno sottoposti a controlli preventivi, prima di essere spediti via nave in direzione della Striscia assediata. Un percorso di circa 400 chilometri che dovrebbe permettere di assistere una popolazione a corto di tutto.
La soluzione varata dalla Casa Bianca è stata però criticata da fonti diplomatiche e associazioni umanitarie in quanto ritenuta poco agevole e non comparabile a un corridoio garantito da grandi camion. Ma certamente è meglio dei viveri paracadutati a più riprese da alcune aviazioni militari. La costruzione della grande «passerella» ricorda lo sforzo degli alleati durante lo sbarco in Normandia, anche se qui parliamo non di un assalto alle spiagge sotto il fuoco, bensì di un intervento umanitario. Eppure, non mancano i timori sollevati da alcuni esperti.
Il primo concerne i possibili ostacoli rappresentati da condizioni meteo sfavorevoli. La costa non presenta ampie baie o «golfi» in grado di proteggere la struttura. Dunque, il mare potrebbe creare problemi. Il secondo aspetto, invece, riguarda la sicurezza generale. Ci può essere chi, in cerca di un’azione destabilizzante quanto eclatante, possa tentare di danneggiare il «porto» o di colpire il personale. È vero che si tratta di una presenza destinata ad alleggerire (non a risolvere) il dramma dei civili ma il Medio Oriente – come in altre crisi – non offre garanzie di immunità a nessuno. Tanto più se i pontoni sono gestiti da forze statunitensi, osteggiate da diverse milizie sciite.
Sarà fondamentale uno stretto coordinamento, con il coinvolgimento di tutti gli attori interessati. Gli Stati Uniti, Israele, i molti mediatori, le autorità cipriote e le fazioni palestinesi. La strage avvenuta qualche settimana fa all’arrivo di un convoglio di Tir, con decine di vittime uccise nella calca e dal fuoco dei soldati israeliani – anche su questo episodio c’è guerra di versioni – è un avvertimento duro sui pericoli, sul caos, sulla disperazione di chi non ha più nulla.