Corriere della Sera, 10 marzo 2024
Intervista a Mira Sorvino
«Vorrei avere il passaporto italiano, mio padre lo aveva e sto facendo di tutto per ottenerlo». Mira Sorvino, un Oscar a 29 anni per La dea dell’amore di Woody Allen, è orgogliosa delle sue origini italiane e vorrebbe ufficializzarle con un documento. «Napoli, Casacalenda, Santa Croce di Magliano, ho qualche parente anche a Campobasso. L’Italia è nel mio Dna e spero vivamente che anche i miei figli si innamorino del mio Paese d’origine così come è successo a mio padre e a me».
All’Istituto Italiano di Cultura a Los Angeles le è stato consegnato il «LA Italia – Donne del Cinema» award, nella serata conclusiva del Festival Los Angeles, Italia, dalle mani della produttrice Raffaella de Laurentiis, chairperson della manifestazione fondata da Pascal Vicedomini 19 anni fa.
«Ricordo l’emozione di papà quando sbarcammo per la prima volta a Napoli per andare al festival Capri, Hollywood. Fu un viaggio magico al punto da ispirarmi l’idea di sposarmi proprio a Capri» ha detto Mira Sorvino. Che ha presentato il suo ultimo film, The Goat, diretto dall’italiana Ilaria Borrelli, su un tema a lei molto caro: il traffico di esseri umani e il dramma delle spose bambine.
Nel film interpreta una ingegnera e madre single che si ritrova coinvolta negli abusi perpetrati nei confronti di una bambina – interpretata dalla bravissima Jessica Hosameldin – costretta a sposare a undici anni un uomo deciso a mettere le mani sulla preziosa sorgente d’acqua di famiglia ambita da un’avida corporazione occidentale. Saranno i suoi ragazzi, uno dei quali è interpretato proprio dal figlio della Sorvino, ad aprirle gli occhi.
Il suo personaggio di fronte al matrimonio di una bambina dice: «È un’altra cultura, noi non dobbiamo interferire».
«È una donna che appartiene a quel capitalismo estremo che cerca di fare soldi alle spalle dei Paesi in via di sviluppo. Non capisce che cosa sta facendo, che sta creando una situazione terribile per la gente del posto. Aprirà gli occhi soltanto quando i suoi due figli glieli faranno aprire».
The Goat racconta il contrasto fra la bellezza della natura e l’orrore dell’uomo.
«Ci sono nel mondo 50 milioni di bambine costrette a sposarsi a undici, dodici anni, violentate nella legalità di un matrimonio da uomini molto più grandi di loro. Non è solo un dramma umano incredibile. È anche un pericolo per la loro salute. Dieci milioni di loro infatti si ammalano perché il loro corpo, ancora troppo giovane, non riesce a sopportare il peso di una gravidanza».
Le spose bambine
In «The Goat», racconto il dramma delle mogli bambine: al mondo sono 50 milioni, costrette a sposarsi a 11, 12 anni
Questo è il suo quarto titolo sul tema degli abusi sulle bambine e del traffico di esseri umani.
«Il cinema ha per me un dovere civile, di denuncia. La prima volta che ho trattato questi temi è stato nel 2004, con la miniserie Human Trafficking – le schiave del sesso, con Donald Sutherland. Poi ho iniziato a lavorare con Amnesty International e ho scoperto che la schiavitù oggi è tutt’altro che morta. È la seconda più grande impresa criminale al mondo e ci sono più persone oggi in schiavitù di quante ce ne sono state nella intera storia dell’umanità. Solo l’1% di questi nuovi schiavi, riesce a liberarsi».
Tutta questa passione l’ha ereditata da suo padre?
«Direi proprio di sì, passione per il cinema come dovere civile».
Qual è stato il suo miglior consiglio dal punto di vista professionale?
«Datti la possibilità di fallire, perché se non lo farai non avrai mai la forza necessaria per volare. Il rischio è l’unica maniera per potersi approcciare all’arte».
Ma stanotte chi trionferà agli Oscar?
«Oppenheimer, senza dubbio».