Corriere della Sera, 10 marzo 2024
«Barbecue», il gangster che vuole fare a Haiti la rivoluzione proletaria
Dicono che il soprannome Babekyou, barbecue in creolo, se lo sia guadagnato carbonizzando le sue vittime. Lui assicura che viene dall’infanzia, quando accompagnava la mamma a vendere pollo fritto in strada. Sia come sia, Jimmy Chérizier, 46 anni, ex poliziotto ed ex braccio armato del presidente Juvenel Moïse, assassinato tre anni fa, è oggi l’uomo più temuto e forse più potente di Haiti. Il capo di un’inedita alleanza di gang criminali, Viv Ansanm (vivere insieme), che venerdì notte ha preso d’assalto il ministero degli Interni e la Corte Suprema e ha promesso una «guerra civile» se il premier Ariel Henri, al momento bloccato a Portorico sotto la protezione degli Usa, non si dimetterà.
Babekyou è ricercato per un lungo elenco di reati. Non si nasconde, però. Anzi, convoca periodicamente conferenze stampa dove non mancano mai frasi ad effetto e l’ombra della sua milizia, che arruola parecchi bambini-soldato in nome della «rivoluzione proletaria». C’è questo omone sempre in giubbotto antiproiettile dietro l’escalation di violenza che sta devastando Haiti. Una violenza esplosa una settimana fa con una serie di attacchi mirati contro aeroporti, commissariati e carceri, da cui sono evasi 4.000 detenuti, mentre Henri si trovava in Kenya. «O Haiti diventa un paradiso per tutti, oppure un inferno per tutti», minaccia l’autoproclamato «Robin Hood haitiano», che dice di ispirarsi all’ex dittatore François Duvalier ma sui muri delle bidonville che controlla è ritratto come Che Guevara. Contraddizioni caraibiche.
In realtà, Chérizier assomiglia più ad un sanguinario Signore della guerra che ad un rivoluzionario. Sarebbe stato lui, nel 2018, un anno dopo l’uscita da Haiti dei Caschi blu dell’Onu, a pianificare il massacro nella bidonville di La Saline: vennero assassinate più di 70 persone, tra cui donne e bambini. A quei tempi, era ufficiale in una forza d’élite incaricata di lottare contro le gang. Espulso dalla polizia, in seguito venne però reclutato da Moïse, che gli diede soldi e armi, per controllare i quartieri poveri ed evitare rivolte antigovernative.
Dopo l’assassinio di Moïse, avvenuto in circostanze ancora misteriose, la nuova élite al potere ha tolto l’appoggio a Chérizier, che ha reagito mettendosi alla guida delle nove bande più potenti della capitale: l’alleanza «Famiglia G9». Sono perlopiù ex agenti di polizia e bambini di strada; commettono omicidi, furti, estorsioni, stupri, rapimenti e secondo l’Onu controllano le bidonville di Port-au-Prince, ossia l’80% di una città di 10 milioni di abitanti. Distribuiscono anche cibo e beni di prima necessità, però, garantendo alle organizzazioni non governative – che spesso forniscono i servizi di base al posto dello Stato – il permesso di operare all’interno. Altra contraddizione caraibica.
Sanzionato da Usa e Nazioni Unite, Chérizier ha continuato a «minacciare la pace e la stabilità di Haiti», secondo l’Onu. Il premier Henri, che avrebbe dovuto dimettersi a febbraio e governa senza un Parlamento in funzione, ha così chiesto l’invio di una forza multinazionale. Il Kenya ha offerto un migliaio di uomini. E a quel punto, Chérizier è uscito dall’ombra: «Se la comunità internazionale continua a sostenere Henri, andremo dritti verso una guerra civile che porterà al genocidio».
«Si ammazzano tra fratelli, Haiti è un Paese fantasma», racconta Maria Vittoria Rava della Fondazione Rava, che gestisce due ospedali nel Paese, dove la notte scorsa si sono presentate «centinaia di persone, tra cui molti bimbi, in cerca di soccorso e rifugio».