Corriere della Sera, 10 marzo 2024
Intervista a Adriano Panatta e Paolo Bertolucci
Adriano Panatta e Paolo Bertolucci, il mitico doppio azzurro del tennis che continua anche nella vita.
Adriano: «Eri parecchio bruttarello, già da ragazzino».
Paolo: «Tra noi fu antipatia a prima vista: tu fighetto romano dei Parioli, io di un paesetto della Toscana, era la prima volta che varcavo l’Appennino».
Adriano: «Sembravi uno di mezza età, ma in miniatura».
Paolo: «Rubavi le palle. Poi sei migliorato col tempo».
Adriano: «Sono 62 anni che dici stupidaggini».
Paolo: «Senti chi parla».
Cesenatico ‘62, torneo Under 13. Adriano Panatta posa per la prima volta gli occhi su Paolo Bertolucci, e viceversa. Ancora non sanno che quell’amicizia virile, a dispetto della falsa partenza, diventerà la più grande storia d’amore della loro esistenza. Tra alti e bassi, tennis e vita, passando da Santiago del Cile con la stessa maglietta rossa, Domenico Procacci li ha rimessi insieme nella strepitosa docu-serie «Una Squadra», e poi li ha costretti a sentirsi regolarmente («Purtroppo...», dicono all’unisono) per alimentare «La Telefonata», il podcast che spopola dalle Atp Finals di Sinner. Questa è la cronaca per niente seria di una telefonata fuori onda con la strana coppia: se Neil Simon li avesse incontrati, avrebbe scaricato Lemmon e Matthau.
L’intuizione del maestro «Il maestro Belardinelli ci mise in camera insieme a Formia» ricorda Paolo, 72 anni, che in questa storia passa per il gregario ma in realtà è un leader camuffato. «Venne da me – lo interrompe Adriano, 73 anni —, mi disse: c’è questo Bertolucci, gioca benino però non ha voglia di fare fatica, magari se te lo prendi in stanza gli viene...». Segue lungo battibecco condito da insulti plateali e particolari diffamatori («Paolo, tu eri uno che a merenda si mangiava quattro zeppole in pasticceria! Quando Belardinelli ci faceva correre in salita fino a Maranola, ti facevi dare un passaggio!»), promesse reciproche di non sentirsi mai più, rivendicazioni di antiche verità su cui la coppia è stata edificata («Gli altri, le pippe, dovevano allenarsi; noi sapevamo far scorrere la palla»). Tra le risate, un palpabile e felpato affetto rimbalza da una parte all’altra del campo.
C’è un episodio, nell’agiografia, che meglio di ogni altro racconta una relazione lunga oltre 12 lustri? «A Formia c’è un albero, attorno al quale ci costringevano a massacranti ripetute – racconta Paolo —. Sulla corteccia incidemmo un cuore, con la scritta: qui soffrirono Panatta e Bertolucci». L’indignazione di Adriano è autentica: «Escludo di aver mai disegnato un cuore con te!». «Non ti ricordi niente». «Può essere. Racconta come andavi a scuola...».
Le assenze a scuola Cambiare discorso è un diversivo vincente come il proverbiale colpo di ciuffo di Panatta («Bestiale – ricorda Bertolucci —, le donne impazzivano. Lui prima di colpire si spostava i capelli con la mano ma il punto lo avevo preparato io»). Paolo, come andavi a scuola? «Qui Adriano ha un po’ di ragione... Facevo spesso sega, in compenso ero un grande giocatore di flipper al bar. Le poche volte che mi presentavo in classe, non mi facevano entrare: non mi riconoscevano...».
Si passa alla ricca anedottica dei regali reciproci. Il cadeau di Adriano, un cavallo, per il primo matrimonio di Paolo è ormai leggenda. Che fine ha fatto? Panatta: «Se l’è magnato». Bertolucci: «Mi è costato una fortuna, 500 mila lire al mese in un maneggio fuori Firenze, mangiava come un porco, più tutto il resto. Me lo scaricarono davanti a casa: come scese dal camion, cagò. Ti ho odiato ferocemente». Storia nota. Il gatto di casa Bertolucci, invece, fa capolino solo adesso: «Paolo volò a Londra per comprarlo, pensa te – racconta Panatta letteralmente esilarato —, se andava a Roma glielo tiravano dietro. Quando uscivamo al ristorante con le mogli, veniva con noi. Paolo gli ordinava la sogliola alla mugnaia, che al gatto manco gli piaceva. La lasciava lì. Il gatto più stronzo del mondo». Paolo: «È vero. Mi ha disfatto tutti i divani».
Tre giorni di silenzio Una litigata epica? Adriano: «Solo in campo». Paolo: «Eravamo in America: come al solito, lui sbagliava e dava la colpa a me. Lo mandai a quel paese e gli tolsi la parola. Per tre giorni, in camera insieme, un silenzio tombale. La mattina del quarto giorno, a colazione, mi disse: o mi parli o quant’è vero Iddio, ti strangolo». Non potrebbero essere più diversi: Panatta di famiglia socialista, Bertolucci liberale, Adriano giocava a sinistra, Paolo a destra, uno non si dà mai pace, l’altro è pacioso. Alla fine, cosa vi lega? «Niente – risponde Paolo —, ma lui mi segue: prima in Toscana, in Veneto oggi che vive a Treviso con Anna. È uno stalker!». Per uscirne, come da uno scambio asfissiante, Panatta s’inventa una veronica: «Ma quella volta che Paolo morì in silenzio per la vergogna? Andammo al largo a fare il bagno col pattino, in Versilia. Eravamo ragazzi: per scherzo lo buttai in acqua. Lo vidi andare a fondo come un piombo: stava sotto, fermo, e mi guardava. Non sapeva nuotare, lui fortemarmino, ma non lo diceva! Moriva in silenzio, piuttosto...». «Morivo per non vederti mai più».
Si potrebbe andare avanti per ore. Ed è chiaro che questa litigiosa sintonia debba trovare uno sbocco tv, se non altro per far sapere a tutti che Bertolucci ha rimosso l’incontro con Andreotti di ritorno dal Cile con la Davis ma è l’unico a cui Panatta riconosca una competenza tennistica. Non giocano insieme dal ritiro (ma spesso sognano entrambi di ritrovarsi in campo con in mano una padella o una spazzola al posto della racchetta), non si sono mai abbracciati però si vogliono un bene dell’anima. Paolo: «So che per me ci sarai sempre». Adriano: «Ci puoi contare». Poi, di colpo, parte il fuoco amico incrociato delle insolenze. Irripetibili, grondanti affetto. Anzi, amore.