la Repubblica, 9 marzo 2024
Ciajkovskij, il compositore fragile
Piotr Ilic Ciajkovskij è tra i più affascinanti e drammatici protagonisti della storia musicale. Per la fragilità d’un temperamento fortemente nevrotico; per le circostanze della vita che sfiorano l’assurdo; per la tragica conclusione d’una esistenza rispecchiata in modo lancinante nelle sue composizioni. Infine, per la qualità di quella stessa musica caratterizzata da una vena melodica di eccezionale abbondanzae bellezza. La vita fu breve, 53 anni appena, dal 1840 al 1893. La Russia è attraversata da qualche fermento sociopolitico ma lo è soprattutto la vita musicale dove non di politica si tratta bensì del modo di comporre. Nella seconda metà dell’Ottocento era diventato molto influente il gruppo detto de “I cinque” (ne facevano parte tra gli altri Musorgskij, Borodin, Rimskij-Korsakov). Volevano dare nuova vita alla tradizione popolare sganciando le loro composizioni dalle forme dell’Occidente. Ciajkovskij si sentiva nello stesso tempo dentro e fuori. Fuori perché componeva sinfonie in uno stile che guardava maggiormente all’Europa. Dentro perché la sua musica rimane spesso innegabilmente, profondamente, russa. Ai cinque, comunque, il suo modo di comporre non piaceva, gli avevano affibbiato il nomignolo di Sadyk Pascià sfruttando l’assonanza del nome Ciajkovskij con quella di un ufficiale polacco convertito all’Islam.Piotr Ilic era un bell’uomo: alto, occhi azzurri, una corta barba ben curata, elegante, modi impeccabili. Aspetto, talento musicale, ampi riconoscimenti in Europa e negli Stati Uniti, non bastarono però a rassicurarlo. Pesavano ragioni intime che quasi non osava confessare nemmeno a sé stesso: era omosessuale, peggio: era un omosessuale represso (refoulé ).L’omosessualità era un reato, se provata, veniva punita con la Siberia. Si può però avanzare l’ipotesi che, più della possibile punizione, lo affliggesse un intimo cruccio. Era nato da genitori benestanti. Bambino precoce ma non nella musica. A 7anni scriveva poesie in francese, lingua dell’alta borghesia e della nobiltà come ben sa chi ha letto Guerra e pace che apre appunto con un lungo dialogo in francese. A 19 anni s’impiega al ministero della Giustizia. Solo un paio d’anni più tardi comincia a studiare al Conservatorio di San Pietroburgo. Il direttore, Anton Rubinstein, ne coglie le capacità, pensa d’indirizzarlo anche verso la direzione, però deve rinunciare, davanti a un’Orchestra era terrorizzato. Del resto, era terrorizzato anche nei rapporti umani. Annota nel diario: «Ogni nuovo contatto, ogni nuovo incontro con persone sconosciute mi faceva soffrire...».Nel 1877, ha la cattiva idea di sposarsi. Lei è una bella ragazza conosciuta al Conservatorio, Antonina Ivanovna Miliukova, che manifestava nei suoi confronti autentica venerazione. Che cosa lo spinse non sappiamo, forse la ricerca di una riconosciuta rispettabilità, ipotesi banale ma non inverosimile. Il matrimonio durò solo nove settimane. Antonina Ivanovna era una ragazza di forte carnalità, c’è addirittura chi la descrive come una ninfomane. L’unione con un omosessuale non era ilmassimo. Dopo la separazione, comunque, il maestro continuò a mantenerla e così fece per 19 anni fino a quando, nel 1896, la povera Antonina fu ricoverata in manicomio dove morì nel 1917, l’anno della Rivoluzione d’ottobre. Ma il fatale anno 1877 fu importante anche per un altro incontro. Entra nella sua vita madame Nadezna von Meck, ricchissima vedova quasi cinquantenne con 7 figli. Amava la sua musica e si offrì di sovvenzionarlo ma alla condizione che non si sarebbero mai incontrati. Lo strano non-rapporto andò avanti per 14 anni. Ogni mese il maestro riceveva l’assegno della sua ammiratrice. Tra i due ci fu un epistolario, ma niente di più. Lei scrisse in una delle prime lettere: «C’è stato un tempo in cui ho desiderato moltissimo fare la vostra conoscenza. Adesso invece, quanto più mi affascinate tanto più temo d’incontrarvi. Preferisco pensarvi da lontano».Perché questo rifiuto? Forse ci aiuta la frase di Proust che scrive inContre Saint-Beuve : «L’uomo che scrive versi e quello che chiacchiera in un salotto non sono la stessa persona». È quasi certo – e del resto il maestro l’aveva intuito – che Nadejda temeva di restare delusa dall’incontro diretto con un uomo di cui amava così intensamente la musica. Per dire il livello di nevrosi di questa mancata coppia basta ricordare che una sera s’incontrarono per caso nel foyer d’un teatro. Il maestro d’istinto si tolse il cappello, lei si agitò senza sapere come rispondere, arrossirono entrambi e fuggirono in direzioni opposte. Poi, nel 1890, Nadejda smise di mandare i suoi assegni. Ciajkovskij ne fu umiliato, non tanto per il denaro, ma perché sorpreso dal comportamento capriccioso della donna. Finì lì.La sua musica è molto significativa sia dell’arte sia della vita. I tre famosi balletti, Il lago dei cigni (1876),La bella addormentata (1889), Schiaccianoci (1892), appartengono alla maturità. Eppure, hanno una freschezza melodica e una grazia espressiva quasi che il maestro avesse ritrovato in quelle vicende fiabesche il pieno della sua ispirazione.Ma se si dovesse indicare una sola opera come sua distintiva, bisognerebbe credo citare la sua ultima sinfonia, laVI in Si minore, detta Patetica, non a caso la più celebre. La sinfonia è suddivisa nei classici quattro tempi. L’ordine però è inusuale perché il maestro inverte l’ordine degli ultimi due movimenti terminando l’opera, per la prima volta nella storia di questa forma sinfonica, non con un “allegro” ma con un tempo lento da lui stesso definito “Adagio lamentoso”. Confidò d’aver pianto «spesso e amaramente» mentre andava componendola anche se era felice della rapidità con la quale il lavoro procedeva «m’accorgo che il mio tempo non è ancora finito», annotò. Quel tempo, purtroppo, finì subito dopo. La Patetica, da lui stesso diretta, fu eseguita il 28 ottobre 1893 a San Pietroburgo, ebbe un’accoglienza fredda. Meno di una settimana dopo il maestro moriva per aver bevuto un bicchiere d’acqua non bollita durante un’epidemia di colera. Fu un tragico incidente o un gesto voluto? Una risposta certa, a lungo cercata, non c’è.