il Fatto Quotidiano, 9 marzo 2024
il fascismo non è mai morto
Luciano Canfora, in libreria con Il Fascismo non è mai morto, inizia il suo libro con le parole del ministro dell’Economia del neo-atlantico governo finlandese, Wille Rydman (Corriere della Sera, 31 luglio 2023), riferite agli ebrei: “Questa spazzatura non piace a noi nazisti”. E allora, prima di arrivare al “nòcciolo del Fascismo perdurante”, cominciamo da qui.
Professore, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina c’è stato un furibondo scontro anche sul Battaglione Azov, d’ispirazione nazista. Ci sono dei nazismi accettabili?
Negli anni 50 il segretario di Stato americano John Foster Dulles andò a Madrid e strinse la mano a Francisco Franco. Il Senato approvò una mozione in cui si diceva che il regime del generale era “un pilastro dell’Occidente”. Credo sia difficile negare che il regime era fascistico e che Franco fosse stato aiutato dall’Italia fascista e dalla Germania nazista. Però ebbe la benedizione degli americani, a cui diede in cambio la possibilità di installare basi Usa in Spagna. Oggi la Finlandia, dove i ministri dicono queste belle cose, è intoccabile perché è entrata nella Nato. Quando Zelensky si è presentato in Vaticano aveva la felpa con i simboli runici… Si tratta di forme esteriori, urtanti e sintomatiche dell’orizzonte culturale. Il campionario è molto più vasto. Il quotidiano Haaretz definiva apertamente “fascista” Netanyahu. E quello che sta accadendo ora è impressionante: in Cisgiordania i palestinesi si trovano in una condizione simile a quella dell’apartheid sudafricano; a Gaza vengono ammazzate migliaia di persone in quanto palestinesi, bambini, donne inermi: non saranno tutti terroristi, no?
Lei dice: il Fascismo non è solo un fenomeno storico che appartiene al passato, ma esiste ancora, pur in forme diverse.
Diciamo che quello di oggi è un prodotto geneticamente derivato. In Italia abbiamo una prospettiva privilegiata: quando nasce l’Msi si chiama così con esplicito riferimento all’esperienza della Rsi. Gli uomini che danno vita a quel movimento avevano militato nella Repubblica sociale. Questi signori hanno avuto un ruolo significativo nella storia italiana: il governo Tambroni, nel 1960, nasce con il supporto decisivo del Movimento sociale, che in cambio ebbe l’autorizzazione a celebrare il congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, sotto la presidenza del prefetto Basile, un massacratore repubblichino. La cosa suscitò un’ondata di sdegno: ricordo i cortei di protesta capeggiati da Parri, La Malfa, Pertini. La protesta fu repressa nel sangue, con diversi morti, non solo a Reggio Emilia. È un fenomeno che attraversa il Novecento alla grande. Giorgio Almirante nel 1987 a Sorrento dice “Il nostro traguardo resta il fascismo”.
Che effetto le fa che il presidente del Senato sia stato un militante del Movimento sociale?
Le rispondo con la frase finale de Il sospetto di Maselli: “L’ho sempre saputo”. Lui stesso l’ha più volte rivendicato.
La storia non ci ha insegnato nulla? O non abbiamo fatto i conti con il Ventennio?
Il Fascismo è stato un pezzo della storia d’Italia che ha conquistato strati larghissimi della popolazione, dando vita a una ricetta che viene ripresa altrove. Qual è la ricetta? Intercettare il disagio, alimentarlo accentuando il rancore contro coloro che vengono additati come colpevoli e proporre una soluzione nazionalista. Questi sono gli ingredienti. C’è una pubblicazione ufficiale del Pnf, del 1939, che si chiama Il primo libro del fascista dove si può leggere: “Tutta la politica sociale del regime fascista è pensata per salvaguardare la razza italiana dai pericoli che la minacciano”. In queste tre parole c’è il succo del Fascismo. È una cosa seria, alla quale ci si deve applicare cercando di togliere questa formidabile leva di potenziale popolarità.
Alla fine ci accontentiamo di dire che le colpe del Duce sono state l’entrata in guerra e le leggi razziali…
Gobetti, prima di essere ridotto in fin di vita e poi morire, ha espresso la felice formula del Fascismo come “autobiografia della nazione”. La leggenda dell’Italia partigiana e antifascista ha il fiato corto, come tutte le propagande. Furono coraggiose minoranze a combattere la resistenza. L’attesismo, come si chiamava ai tempi, era l’atteggiamento più diffuso: stiamo a vedere come va a finire. Il 25 aprile è sempre stato percepito come una festa di parte. Quando iniziò la vita dell’Italia postbellica, di difficoltà e miseria, gli attesisti cominciarono a dire “si stava meglio prima”. È qui che si inizia a parlare dell’errore di andare in guerra. Lei ha generosamente aggiunto il capitolo delle leggi razziali, ma perché adesso non si può non citare. Però non è sempre stato così. Ricordo ancora, perché li avevo in casa, i volantini del primo congresso del Cln, nel 1944 a Bari: tra le colpe del regime non veniva citata la persecuzione antiebraica. Anche per loro, che erano in buonissima fede, c’era l’Ovra, la guerra, la soppressione delle libertà, lo scioglimento dei partiti, il delitto Matteotti…