il Fatto Quotidiano, 9 marzo 2024
Sulla vendita di Tim
Un miliardo di euro. È la perdita di Borsa in soldi subita da Tim giovedì (-23,8%), seguita ieri da un modesto rimbalzo (+4,8%): lo spettacoloso tonfo è avvenuto mentre i vertici dell’ex monopolista pubblico presentavano al mercato il loro piano industriale al 2026, il primo che incorpora la cessione della rete al fondo statunitense Kkr e soci. Eufemizzando, non proprio un’apertura di credito. La Consob, l’Autorità che vigila su Piazza Affari, sta indagando sulla vicenda e a breve si dovrebbe sapere se al crollo delle azioni ha dato una mano, liberandosi di parte dei suoi titoli, il primo azionista di Tim, la francese Vivendi, contraria alla cessione della rete e che proprio giovedì aveva annunciato la svalutazione della sua partecipazione per 1,3 miliardi. Anche fosse un dispettuccio di Bolloré, resta che gli analisti sono – per così dire – prudenti sul piano: troppi dipendenti di cui ci si dovrà liberare, stime di crescita “ambiziose” (3% annuo i ricavi, 8% il margine lordo) e soprattutto debito più alto del previsto a fine piano. Problema: se la futura Tim senza rete non genera cassa in un orizzonte di tempo accettabile saremo vicini a dove dicono che finiremo due ex Ad della fu Telecom. “Lo scorporo della rete significa fare a fette l’incumbent italiano e vendere gli asset” (Vito Gamberale); “Il gruppo sarà venduto un pezzo alla volta” (Franco Bernabè). A quel punto sarà finalmente finito il funerale trentennale di un’azienda che, prima della privatizzazione, era una potenza finanziaria e tecnologica. Allora, senza dimenticare nessuno dei protagonisti del passato (da Prodi in giù), bisognerà ricordare che l’ultimo atto – la cessione della rete infrastrutturale a un fondo avvoltoio con pagamento di fees milionarie ai soliti noti – è stata realizzata con l’assenso, e qualcosa di più, della Presidenza del Consiglio sovrana, in particolare del duo “tecno-meloniano” composto dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari e dal capo di gabinetto Gaetano Caputi. Questo mentre l’inconsapevole Giorgia Meloni annuiva e lasciava fare al “più intelligente” dei Fratelli d’Italia (che pare sia Fazzolari…) e Giancarlo Giorgetti, come al solito, potava le sue rose fischiettando. È così che finisce Tim: Not with a bang but a whimper.