Robinson, 8 marzo 2024
Biografia di Giuseppe Bonaviri
Segnalo il candidato al Nobel per la Letteratura Giuseppe Bonaviri. Ho contribuito alla messa a puntodel suo archivio, riconosciuto di notevole interesse storico dalla Soprintendenza del LazioNato nella siciliana Mineo che diventa la sua isola-mondo come la contea di William Faulkner inclina decisamente verso il fantastico, il fiabesco, il “real maravilloso” La sua visione è simile a quella del “Cristo” di Carlo Levi e Calvino la riconosce nel suo capolavoro “La divina foresta”diFilippo La PortaMedico, scrittore formatosi in ambito verista e neorealista, da metà degli anni ’ 60 Bonaviri inclina decisamente verso il fantastico, il fiabesco, il “real maravilloso”, e ci dà alcune perle della letteratura italiana novecentesca. La sua immersione nel mondo arcaico contadino, entro un sentimento panico e una visione animistica della natura, potrebbe essere accostata al Carlo Levi delCristo si è fermato a Eboli. Anche per una prosa referenziale, da resoconto antropologico, e insieme lirica, intensamente metaforica. Ma le differenze non sono da poco. Anzitutto Bonaviri è nato ed è vissuto dentro quel mondo: Mineo, il piccolo borgo natale su un monte vicino Catania – luogo reale e mitico come la contea di Faulkner o Macondo di Garcia Marquez – resta per lui un microcosmo semovente, che si porta sempre dietro. In questa isola-cosmo, misteriosamente coesistono gli opposti: logos e mito, razionalità e magia, civiltà e caos originario (come osserva un suo attento studioso,Andrea Gialloreto). Mentre Levi quel mondo lo ha scoperto fuori di sé. Ma soprattutto: per Bonaviri, che si iscrisse nel 1944 al Partito Comunista, e che nei suoi primi libri si impegna nella risentita denuncia di una arretratezza che non ha nulla di fatale ( in ciò vicino a scrittori come Alvaro, Jovine, Fiore, all’idea di un meridione non condannato all’immobilismo), la possibile salvezza si trova fuori della Storia e della politica, entro un tempo ciclico, sferico, dove gli uomini hanno piccolissima parte.Bonaviri nasce a Mineo l’ 11 luglio 1924, primo di cinque figli del sarto don Nanè e di donna Giuseppina Casaccio, e si laurea in medicina a Catania nel 1949, poi frequenta il corso allievi ufficiali a Firenze: è ufficiale medico nel Monferrato, poi di nuovo a Mineo, dove svolge la professione di medico e ufficiale sanitario, e infine dal 1957 a Frosinone come cardiologo, e dove sposa Lina Osario, maestra e poetessa. Comincia presto a scrivere, e nel 1954 esordisce nella collana dei Gettoni di Vittorini con Il sarto della stradalunga,eccentrico romanzo realistico- visionario, due anni prima delleParrocchie di Regalpetra, altro testo inclassificabile, di Sciascia. Pubblicherà innumerevoli libri molti dei quali in forma di prosimetri composti cioè di prosa e versi (capostipite è laVita nova di Dante), oltre a favole e commedie. Dopo aver segnalato leNovelle saracene, che ci ricordano – in tempi di “scontro di civiltà” – la comune radice di cristianesimo, ebraismo e islamismo, soffermiamoci su tre titoli, in qualche modo decisivi. Il commosso diario-epopea del medico – Un enorme tempo(1961) – da leggere accanto al reportage del medico Cechov sulla colonia penale di Sachalin. L’incominciamento ( 1983), puntuale introduzione al paese natale scritta quasi in dormiveglia: tra il racconto dei terremoti, quando le pietre grigie, spaventatissime, «ritraendosi lasciano sfuggire i lumi stellari di cui si nutrono» e quegli esseri strani intravisti «nel primissimo svampante pomeriggio», nati da atti di bestialità, provengono da leggende ancestrali.La divina foresta, primo titolo di un trittico che comprende Notti sull’altura eL’isola amorosa, è il suo capolavoro. In una lettera a Bonaviri del 1969, a proposito della Divina foresta, Calvino gli scrive che con lui «la letteratura italiana ritrova quella che era la sua vocazione specifica nei suoi primi secoli: letteratura come “filosofia naturale”». Il romanzo è ispirato tra l’altro a un frammento di Empedocle: «un tempo fui fanciullo e fanciulla, arbusto e uccello e muto pesce del mare…», anticipazione presocratica della filosofia queer. Chi narra abita un universo metamorfico, dove tutto si trasmuta in altro, entro una «sconfinata materia generativa»: quasi Ovidio riletto da un autore barocco (immaginifico e mai lezioso). Si ritrova qui l’idea, tipica del Sud del mondo, del fallimento, della ontologica incompletezza, di ogni essere singolo: l’eros come «amorosa inchiesta» (Ariosto) di un cavaliere errante – tramutato in avvoltoio – per raggiungere l’amata. Entro la siderale indifferenza del cosmo si infiltra poi un motivo stilnovista: «Fiordimaggio mi sorrideva con un vibrante movimento dei petali».Gli opposti dentro l’opera di Bonaviri coesistono senza conciliarsi: discendono, almeno in parte, dal contrappunto delle due culture separate tra loro nella modernità: magico-umanistica e scientifica. Comemedico condivide la ulcerante sofferenza dei suoi malati, curando bambini, vecchie, caprai superstiziosi, “omini” obliqui e ritorti, tra profonda empatia e una distanza difensiva, che non è mai cinismo. Per concludere che la vita, unica “malattia” certamente mortale ( come aveva detto Svevo), non può essere curata. Dobbiamo però riuscire a re- immaginarla guardandola da prospettive stranianti, a immetterla in un sistema di simboli e analogie che la rendano accettabile. Qui allora ci soccorre la scrittura, come terapia possibile: il canto orfico- mediterraneo di Bonaviri, la sua parola lunare e pietosa, la sua lingua allucinata ed esatta come un endoscopio, piena di risonanze ( «il giorno si estingueva con un brivido di colori da arcobaleno» ), evoca i poeti contadini che in agosto affollavano Mineo, antichi aedi. Siano essi “ritmici” o “retorici”, musicali o meditativi, sono «pronti ad alterare il dato reale in un verso», in modo da strappare alla natura i suoi segreti più gelosi, entro un “ardore” estivo dove “tutto era fermo”