La Stampa, 8 marzo 2024
Voci, sigarette e poesia Laura Morante ci guida nel rifugio di Alda Merini
«Alda, questa è per te», dice lo psichiatra Enzo Gabrici (Giorgio Marchesi), consegnando ad Alda Merini (Laura Morante) una macchina da scrivere all’uscita del manicomio. «È la miglior terapia che posso prescriverti». Il percorso umano e artistico della poetessa scomparsa nel 2009, rivive nel film tv Folle d’amore diretto da Roberto Faenza, in onda il 14 marzo su Rai 1. Non era facile ricostruire la storia complessa e dolorosa di una donna speciale, che ha parlato a milioni di persone con i suoi versi: la direttrice di RaiFiction Anna Maria Ammirati sottolinea la vicinanza delle quattro figlie di Merini e delle tante nipoti. Faenza, che ha scritto il film insieme a Lea Tafuri (con la consulenza di Arnoldo Mosca Mondadori), Ambrogio Borsani e al professor Paolo Milone, lo fa seguendo il filo degli incontri di Merini con il giovane Mosca Mondadori (Federico Cesari), che la a va trovare, nella sua casa sui Navigli. Gli detta le sue parole, gli confida ferite e intuizioni. Quindi va indietro nel tempo, la conosciamo studentessa (Sofia D’Elia) che si rifugia nella poesia, poi donna adulta (Rosa Diletta Rossi), il legame con Giorgio Manganelli, le nozze con Ettore Carniti. Certo non è la classica madre/moglie. Finisce in manicomio. Tra un ricovero e l’altro, undici anni di inferno. «È il racconto meno conosciuto – spiega Rossi – Non era semplice immaginare il suo strazio, è stato utile leggere le sue poesie». Mariano Rigillo interpreta il poeta Michele Pierri, l’ultimo marito.
La sigaretta tra le dita, le unghie smaltate di rosso, la bigiotteria vistosa, Morante, che la interpreta nell’età matura, ha cercato l’essenza. «All’inizio avevo un po’ paura perché non solo è un personaggio reale, ma è una persona che tutti ricordano, molto presente in televisione. La somiglianza fisica non è evidente, come imitatrice faccio abbastanza schifo e in più sono toscana, non milanese. E però Roberto mi ha detto: cerco un’interpretazione, troveremo una strada. Mi aveva colpito che aveva un modo particolare di parlare, come se stesse sempre ascoltando una voce. È talmente vero questo che ci sono interviste che ti rimangono impresse, e in altre è una donna banale. Quando non era ispirata, non sentiva la voce, improvvisamente quello che diceva non era così interessante. Prima di entrare in scena – continua – ascoltavo le interviste. E poi ho cercato di evocarla più che imitarla. Se l’interpretazione è riuscita, vuol dire che Alda Merini mi ha dato una mano. Avrà detto: “Aiutiamola ‘sta poverina”».
«Il film coincide con una ricorrenza importante, si celebra il centenario della nascita del professor Franco Basaglia», dice Elda Ferri, che ha prodotto il film con Rai Fiction «la chiusura dei manicomi ha permesso a tante persone di esprimere la propria personalità». Merini è fragile ma si aggrappa a parole potenti, è una poetessa amata. «Per questo» dice Faenza «sono convinto che il film avrà un’ottima accoglienza. Vive nel cuore dei giovani, insegno all’università e vedo che tanti sono interessati a lei». Sarebbe stato più facile fare un film per il cinema? «I ragazzi non vanno al cinema», taglia corto il regista, «ci trovi solo gli anziani. E infatti io non ci vado perché non li voglio incontrare».