il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2024
Editoria, il potere che manca alle donne
Le donne leggono più degli uomini, scrivono più degli uomini, vendono più degli uomini, ma le donne – in editoria – contano un cavolo, e senza merenda: il potere è ancora saldamente in mani maschili, benché l’industria libraria macini profitti grazie alle quote rosa, in netta maggioranza anche tra le firme di best-seller, come certifica una ricerca dell’Associazione italiana editori (Aie), pubblicata ora sul suo Giornale della libreria online. Buon ott* marz* a tutt*.
Da sempre, le lettrici sono più “forti” dei lettori (44% contro 34%, ultimi dati Istat riferiti al 2022); oggi però le signore e signorine superano ulteriormente i colleghi nella scrittura, e soprattutto nella vendita, di libri. Stando allo studio di Rachele Marziolo e Alessandra Rotondo per Aie, quasi la metà – 48% – dei volumi comprati nel 2023 sono scritti da donne (34) con 4 milioni di copie vendute. Nella narrativa il girl power si fa anche più travolgente: considerando sia i titoli italiani sia quelli stranieri, l’anno scorso – nella classifica dei primi 100 venduti – sono 58 quelli scritti da donne, che portano a casa il 58,4% delle vendite totali e il 55,2% della spesa del pubblico.
La top ten di queste autrici “forti” incorona al primo posto Francesca Giannone con La portalettere (Nord), seguita da Tillie Cole (Dammi mille baci, Always Publishing) e Michela Murgia (Tre ciotole, Mondadori), presente pure in ottava posizione con Accabadora (Einaudi). Giù dal podio resta la compianta Ada D’Adamo (anche premio Strega postumo con Come d’aria, Elliot); poi Felicia Kingsley (Due cuori in affitto, Newton Compton), Isabel Allende (Il vento conosce il mio nome, Feltrinelli), Erin Doom (Fabbricante di lacrime, Salani), Lucinda Riley (Atlas con Harry Whittaker, Giunti) e Colleen Hoover (It starts with us, Sperling & Kupfer). Altro dettaglio interessante è che nel 2023 le italiane hanno venduto più delle colleghe straniere, nonostante si siano spesso camuffate sotto pseudonimi anglofoni (Kingsley e Doom) o siano morte anzitempo (Murgia e D’Adamo).
Eppure gli uomini restano i padroni della saggistica – vantano forse ricerche e opinioni migliori, dall’università al giornalismo? – e della letteratura per bambini e ragazzi: le madri cambiano i pannolini, loro prendono appunti. Ma è soprattutto in azienda (editoriale) che le donne vengono penalizzate, non per quantità ma per qualità: incarico, prestigio, potere e retribuzione. Il famigerato divario di genere (gender gap) non risparmia certo le professioni intellettuali, anzi, a dispetto dei tanti proclami sul patriarcat* dei radical chic da salotto culturale. Le ultime statistiche utili risalgono al 2018: le lavoratrici nell’editoria sono il 65%, ma occupano soltanto il 22,3% dei ruoli strategici o apicali contro il 77,7% di poltrone di peso maschili. Insomma, campionesse di bovarismo – come lettrici, non adultere –, finalmente padrone di una cameretta tutta per sé come scrittrici, le donne non riescono ad accedere alla stanza che davvero conta, quella dei bottoni. Epperò il settore librario le alleva e le coccola come galline, dalle uova d’oro beninteso.
Tuttavia, negli ultimi anni, è in corso una piccola rivoluzione rosa anche dalle parti degli intellò: oltre alle note amazzoni Marina Berlusconi (presidente del Gruppo di Mondadori) ed Elisabetta Sgarbi (direttrice generale della Nave di Teseo), oltre alle storiche fondatrici Emilia Lodigiani (Iperborea) e Sandra Ozzola (e/o col marito Sandro Ferri), si fa avanti sulla scena di carta delle Belle Lettere una nuova classe dirigente femminile, da Teresa Cremisi (presidente di Adelphi) ad Alessandra Carra (ceo del Gruppo Feltrinelli), da Federica Manzon a Paola Gallo, direttrici editoriali rispettivamente di Guanda ed Einaudi, fino alla neo-direttrice del Salone del Libro di Torino Annalena Benini. Nomi isolati e di facciata? Foglie di fico? Il sospetto di pink washing resta, a partire dal management dei quattro principali editori italiani e della stessa Aie.
Nella galassia Mondadori, che possiede Einaudi, Rizzoli ecc., il 63% dei dipendenti è femminile, ma ai vertici, su dieci manager, figura solo una donna: Francesca Rigolio, chief diversity officer. Più diversity di così. In Feltrinelli – con Marsilio, Donzelli… – il board è di 16 membri, di cui tre donne: la succitata Carra, Francesca Devescovi (consigliera delegata per l’Education) e Barbara Nardi (dg del polo commerciale). Giunti-Bompiani ha quattro uomini al comando. Stop. Gems invece sfoggia un nutrito e articolato organigramma che tiene assieme le tante sigle del gruppo, da Longanesi a Garzanti: 36 incarichi per 28 persone, di cui 10 donne, la più titolata delle quali è Cristina Foschini, direttrice dell’ufficio diritti. E infine l’Aie, la casa madre dell’editoria nostrana, è presieduta da Innocenzo Cipolletta più quattro vice, tra cui una donna (Renata Gorgani), ha nove tesorieri, di cui una donna (Annamaria Malato), e 43 consiglieri generali. Solo otto di questi sono signore: un misero 18,6%. Ma chissà quante segretarie.