Corriere della Sera, 7 marzo 2024
Tutti i governi recenti hanno gonfiato la spesa pubblica. Senza le dovute coperture
Pagherò non è solo un verbo al futuro ma anche un antico strumento contrattuale. Una cambiale. Ma qui non siamo nell’algido mondo del diritto commerciale bensì in quello più fluido della politica economica che, in Italia, non è priva di fantasia. Tanto immaginifica da aver inventato i non pagherò. Veronica De Romanis con Il pasto gratis (Mondadori) dimostra impietosamente che qualcuno poi alla fine il conto delle spese, apparentemente senza oneri, lo dovrà saldare. Sotto forma di debito pubblico, in carico alle prossime generazioni, o per l’effetto distorsivo, nell’impiego di capitali, di sussidi e incentivi privi di moltiplicatore economico ma straordinariamente efficaci nell’attrarre consenso.
Ugo La Malfa sosteneva che la spesa pubblica è il cemento della popolarità. Potremmo aggiornare questo aforisma dello storico leader repubblicano dicendo che i pasti gratis sono la droga sintetica della politica economica. Perché danno la sensazione che le risorse non siano mai scarse e non esista il costo delle migliori opportunità perdute. Anche il Pnrr, il cui ottenimento è parso essere una vittoria, quasi un premio, ha un costo. I prestiti vanno restituiti. De Romanis, che insegna alla Luiss e a Stanford, comincia citando una frase di Giuseppe Conte a proposito del bonus 110 per cento per la ristrutturazione delle abitazioni. «Il tutto, lo sapete, lo state facendo gratuitamente». Così parlava il leader Cinquestelle di quella che l’allora ministro dell’Economia, Daniele Franco, definì «la più grande truffa dell’Italia repubblicana», salvo poi, purtroppo, prorogare il bonus per non perdere l’appoggio dei grillini.
L’illusione dei pasti gratis è figlia di un altro inganno italico: la demonizzazione dell’austerità. Ma non c’è mai stata. Salvo nel periodo del governo Monti che se non l’avesse messa in pratica avremmo fatto la fine della Grecia. Austerità in Italia non fa rima con sobrietà bensì con crudeltà. Contenti noi… Il suo opposto sarebbe lo scialo, lo sperpero. Siamo del tutto certi che l’aver aumentato il nostro debito pubblico di un terzo negli ultimi dieci anni sia sinonimo di spesa sempre oculata? Nell’ultimo anno, comunque, nonostante la prudenza finanziaria del governo Meloni – che ha giustamente denunciato l’obbrobrio del superbonus – il debito è cresciuto di oltre 100 miliardi. Sono sembrati pasti gratis anche i soldi spesi per comprare i vaccini che ci hanno salvato, a caro prezzo, dal Covid. Erano giustamente gratuiti per i cittadini, ma non per i contribuenti. De Romanis ricorda una frase dell’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, secondo il quale la spesa sanitaria, per carità da incrementare, non è spesa pubblica. E che cos’è allora? Chi la paga, visto che la metà degli italiani non versa un euro di Irpef?
L’analisi di De Romanis porta alla luce un filo conduttore che lega governi di impronta politica diversa, molto diversa. Matteo Renzi (il capitolo della spesa facile) fu favorito dalla flessibilità di bilancio (altro non era che debito) accordataci dalla Commissione europea. Gli 80 euro vennero spacciati per una riduzione fiscale, in realtà erano semplicemente spesa pubblica. Si promise di tagliarla, nel suo complesso, cosa che avvenne solo apparentemente. Le clausole di salvaguardia, concepite già in epoca berlusconiana, poi rinnovate fino alla pandemia, furono il trionfo melodrammatico della spesa facile. Perché la si ampliava con l’impegno, più volte procrastinato, ad agire inasprendo in futuro l’Iva. La sensazione immediata fu che non vi fosse contropartita, che non costasse nulla. Una lunga opera di diseducazione finanziaria del pubblico. Un capolavoro di magia finanziaria. «Tra il 2015 e il 2020 – scrive De Romanis – l’85 per cento delle clausole è stato finanziato con maggiore indebitamento».
Il reddito di cittadinanza e la famigerata quota 100 sono stati i provvedimenti bandiera del Conte 1 (il capitolo della spesa miope). Anche allora si promise, in campagna elettorale, di compensare le uscite con una spending review di almeno 30 miliardi o con un fantomatico abbattimento di altri 40 delle tax expenditures. Illusorio il promesso effetto positivo sulla crescita. Domanda: perché ingannare così i contribuenti-elettori? Complice la pandemia e grazie alla sospensione delle regole europee di bilancio, il Conte 2 (il capitolo della spesa illimitata) ha avuto la possibilità di sperimentare nuove varianti. In emergenza bisognava intervenire: sussidiare, incentivare, risarcire. Nulla da dire. Ma sostenere, per esempio, che il cosiddetto cashback, introdotto per promuovere i pagamenti digitali, si ripagasse grazie ai maggiori introiti fiscali, è stato un abbaglio dal costo stimato di quasi 5 miliardi. E rientra nella casistica anche annunciare nuove tasse (plastic tax e sugar tax), peraltro definite etiche, senza introdurle ma spendendo gli incassi stimati. Al governo Draghi è dedicato il capitolo della «spesa buona», da celebre definizione (riguardava il debito) formulata in un periodo nel quale occorreva «dare e non chiedere». Toccherà a Giorgia Meloni (il capitolo della spesa difficile) dover smentire, giocoforza, molte promesse fatte in campagna elettorale di nuovi pasti gratis. Ma la tentazione resta forte. Per esempio: la riforma fiscale sembra un altro pasto gratis. Qualcuno prima o poi dovrà pagarne i costi e la lotta all’evasione non basta.