Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  marzo 07 Giovedì calendario

A Taiwan... Le ansie d’Oriente

E poi c’è Taiwan. La linea dei conflitti mondiali non passa solo dall’Ucraina, da Israele e Gaza, dal Mar Rosso, dal Sudan. Arriva anche nello stretto che separa l’isola dalla Cina: per ora non è uno scontro armato ma la tensione cresce. L’elezione a presidente, lo scorso 13 gennaio, di Lai Ching-te ha significato che per la terza volta consecutiva alla guida di Taiwan andrà un rappresentante del partito osteggiato da Pechino. La quale Pechino, determinata a prendere il controllo dell’isola, finirà con il non avere rapporti con il vertice taiwanese per 12 anni: rischia di perdere ogni influenza. Xi Jinping e i suoi uomini stanno dunque preparando una nuova strategia. In attesa che Lai prenda possesso della carica di presidente, il 20 maggio hanno aumentato la pressione militare. Ogni giorno, mezzi dell’Esercito Popolare di Liberazione si fanno vedere nei mari e nei cieli attorno all’isola: ieri, 14 aerei e otto navi. Palloni aerostatici cinesi sorvolano spesso Taiwan: che spiino o meno, sono un elemento di pressione psicologica. A fine febbraio, il portavoce del ministero della Difesa cinese ha sostenuto che «non c’è alcuna linea mediana nello Stretto di Taiwan». La linea mediana tra la sponda cinese e quella taiwanese dello Stretto non è niente di ufficiale ma è stata rispettata da decenni come «intesa tacita» tra le due parti: se non è più riconosciuta, viene meno la zona cuscinetto e la possibilità di incidenti aumenta. «Insistiamo con Pechino affinché cessi di esercitare pressione militare, diplomatica ed economica» sull’isola, ha commentato il Dipartimento di Stato americano. In effetti, Pechino lavora anche per strappare a Taiwan quei pochi Paesi che ancora la riconoscono ufficialmente: il giorno dopo l’elezione di Lai, la piccola nazione del Pacifico Nauru ha stabilito relazioni diplomatiche con Pechino e ha abbandonato Taipei, ora riconosciuta formalmente solo da 11 Paesi più la Città del Vaticano. Inoltre, il governo cinese ha nei giorni scorsi modificato il linguaggio precedente per ribadire che la Repubblica Popolare sarà «ferma nel portare avanti la causa della riunificazione cinese»: prima, diceva «riunificazione pacifica». Sviluppi che non seminano tranquillità nell’isola: dove si nota che anche quest’anno il bilancio militare cinese aumenterà di oltre il 7%. Sì, sulla linea di tiro c’è anche Taiwan.