La Repubblica, 7 marzo 2024
Giù le mani dai capanni di Ravenna
RAVENNA – Una volta era così. Un’infilata di capanni di legno, roba essenziale, giusto per ripararsi dal vento e dal sole. Turismo locale, povero. Quattro assi dipinte di azzurro o verdone, quattro chiodi. E così si andava al mare alla fine dell’Ottocento, stendendo la tovaglia sulla sabbia, con famiglie molto larghe, vecchi, bambini, donne che aprivano le ceste del pranzo. «I capanni erano centinaia, tra Marina di Ravenna e Punta Marina». Ne sono rimasti meno di cento, con un ordine di abbattimento del Comune di Ravenna firmato il 31 gennaio scorso, i concessionari hanno 90 giorni per tirarli giù, o spostarli non si sa bene dove.E qualcuno, spaventato da quella ingiunzione, ha preso la motosega e fatto a pezzi la memoria di un luogo unico, e anche molti ricordi. Peccato, distruggere tutta questa bellezza, incastonata com’è tra le dune, che sono poi le poche rimaste. «Vogliamo salvare una tradizione, e chiediamo il riconoscimento di bene storico e culturale», dice Alberto Contessi, vicepresidente dell’Associazione Capannisti Balneari. I ribelli sono spalleggiati da Italia Nostra, che qui è Francesca Santarella. E crepano, piuttosto di ubbidire. Cecilia Menghi, impiegata: «Ah, io da qui non me ne vado. La concessione era del nonno. Ci veniamo da generazioni, sono cresciuta su questa duna. Perché dovrei abbandonarla?». Lo zio mostra un Paperino dipinto «da me medesimo nel 1951. E ho anche piantato le olivelle», che sono poi olivi selvatici, aggrappati alla sabbia come tutto del resto è.Il fatto è che questo litorale è pluri tutelato. Dalla legge che tutela le fasce costiere. Dalla Riserva naturale dello Stato “Pineta di Ravenna”. Dal Parco Delta del Po. Dalla Rete Natura 2000, istituita da normative europee, per salvare la fascia costiera in una zona già castigata dalla storia. Alle spalle, gli impianti del Petrolchimico, e il via vai dei Tir. Di fronte, l’Adriatico con il futuro rigassificatore, e anche le piattaforme per l’estrazione del gas. Più, il più alto numero di impianti industriali “a rischio di incidente”, che sono 25, sottoposti alla normativa Seveso. E c’è il cimitero delle navi di Ravenna, e un futuro parco eolico. Qui è ancora in costruzione il Parco marittimo del Comune di Ravenna, progetto per trasformare una riserva naturale in parco attrezzato, con passerelle di legno (esotico, «arriva dai disboscamenti dell’Amazzonia», precisa Santarella). Molti pini sono stati abbattuti, nel “riordino” del litorale, tra l’altro.E quindi, questi poveri capanni dove ci sono ancora i costumi appesi ad asciugare, dallo scorso settembre? A settembre il Consiglio comunale ha stabilito all’unanimità che i capanni sono «una realtà storica locale portatrice di un valore storico testimoniale». Ma l’ultima ordinanza impone ai “proprietari” che non siano in regola con le concessioni di liberare i terreni. Tutti sono in regola con i pagamenti, avendo pagato ogni anno i bollettini inviati dal Comune, e nonostante le concessioni fossero scadute nell’anno 2000. «È un’area protetta – dice Contessi – ma le dune esistenti sono tali solo grazie ai capanni. Sennò, sarebbero parcheggi degli stabilimenti balneari. ‘Ruspate’, cioè piallate, per far posto alle macchine dei turisti». I capannisti tengono pulite le loro zone, raccolgono quintali di immondizia, vigilano sul territorio. Molti si ritrovano già stretti tra uno stabilimento e l’altro. Pericle Stoppa, studioso di storie locali: «Il Comune avrà le sue ragioni, ma i capanni vanno tutelati. I paesi, le città e le famiglie vivono anche di queste cose. E poi, ormai non ci sono più spiagge libere», qui come nel resto d’Italia, le spiagge sono solo un business.E i capanni, anche quelli scrostati dal vento, sprofondano nella sabbia, ma prima nella burocrazia. Il sindaco Michele de Pascale (Pd), ha detto in un’intervista che «l’uso privato di capanni sul demanio è illegittimo» e che semmai possono diventare «presidi per la pulizia dell’arenile, sedi di associazioni culturali». Ma non «proprietà private», seppure in concessione. Francesca Santarella, dice che «certo, i capanni non sono più quelli dell’inizio 900, ma lì sono e lì devono restare». E «l’area che va dalla foce del Reno al Savio è classificata zona di notevole interesse paesaggistico dal ministero dei Beni culturali. Ma il vincolo paesaggistico comprende anche i suoi manufatti storici». Lo stesso ragionamento che si fece nel 1908, quando si voleva abbattere la pineta di Classe, «ma il senatore Luigi Rava la salvò perché cantata da Dante, frequentata da Byron, e raffigurata da Botticelli, nelle tavole della Leggenda di Nastagio degli Onesti».Qui, solo i racconti di tempi passati, «erano così fitti che noi ragazzini correvamo sui tetti, saltando da uno all’altro», si immagina inseguiti dalle madri, così ricorda Contessi. «Un lusso? Da un secolo abbiamo l’impegno a tenere pulita la costa», dice Iride, assieme allo zio Carlo. «Era di mio padre Antonino. E abbiamo sempre pagato le tasse», dice Egisto Bolognesi. Nel suo capanno verde numero 109, i palloni e le sdraio, secchielli e palette, in 4 metri quadri c’è ancora un mondo, ed è pure bello.