La Stampa, 7 marzo 2024
Intervista a Giorgio Mastrota
L’uomo delle pentole approda ai fornelli: una questione di karma, direbbe qualcuno. Re incontrastato delle televendite, Giorgio Mastrota passa dai consigli per gli acquisti a quelli per ben cucinare con Casa Mastrota dall’11 marzo su Food Network e Discovery+. La sua carriera era cominciata nel lontano 1988 con un concorso di bellezza for men: incoronato «Uomo ideale», ben presto si posizionò tra i più amati del piccolo schermo. Poi la sua carriera prese una strana china: televendite e stop. Ora, vigilia dei 60 anni, il nuovo programma in cui è affiancato dalla sua famigliona, moglie, quattro figli («da tre mamme diverse», precisa), due nipotini e genero. «È nato per caso – spiega – da chiacchiere a cena. Ho sempre amato cucinare per la mia famiglia, ancora di più ora che ci siamo trasferiti a Bormio e ho a disposizione prodotti locali, freschi e genuini. Con me in ogni puntata pezzi della mia famiglia. L’intento, però, non è fare entrare le telecamere in casa e seguirci nella quotidianità come in certi reality».Come mai la scelta di andare a vivere a Bormio?«Volevamo un posto più salutare e a misura di bambini. Il lavoro ce lo permette. Qui trascorrevamo già lunghe vacanze: amiamo le passeggiate, andare in bici, sciare, andare a funghi. La decisione è stata giusta. Ancora di più se si pensa che in mezzo c’è stato il Covid».La città non le manca?«Milano è bella, la amo, ma mi pare che stia tornando un po’ troppo “da bere”, a misura di turisti più che di abitanti. Una casa continuo ad avercela: serve se voglio prendere una boccata di anidride carbonica. Settimana prossima porto Leo a San Siro a vedere il Milan: non so come dirgli che non siamo più in Champions. Potrebbe essere un trauma superiore alla scoperta che Babbo Natale non esiste».Per come è andata la sua carriera, nessun rimpianto?«No. Ho avuto momenti duri nella mia vita, personale e lavorativa, ma ho sempre visto il bicchiere mezzo pieno. Penso di avere fatto le scelte giuste: tanti sono spariti, io invece sono ancora in tv. E per giunta tutti i giorni di tutto l’anno. Chi non capita su una televendita almeno una volta al giorno? Sono lo zio Giorgio, che invecchia con te e neppure te ne accorgi, anche se una volta avevo una cofana di capelli e ora sono pelato. Non ho stress per il rinnovo del contratto, per l’Auditel che non decolla. Quanti possono dirlo, che non siano gli intoccabili, Carlo, Gerry, Antonella, Amadeus (ma anche lui, che fatica prima). Gli altri tutti a soffrire. Io al massimo perdo un cliente».Come accadde il passaggio?«Sliding Doors. A inizio anni 90, dopo Meteore, la Rai premeva per avermi. Ne ero lusingato, ma avrei dovuto andare a Roma, lasciare la famiglia, gli amici, la nebbia di Milano. E i progetti non mi convincevano. Nell’incertezza sono rimasto fermo. Sarebbe arrivata un’altra occasione, pensai. E invece, no. Quello che cambiò in quel momento furono le televendite: in precedenza interne ai programmi, si moltiplicavano e non era più necessario condurre per farle. Io, pur disoccupato su un fronte, ero molto richiesto sull’altro. Mi tenni stretti i materassi».Altri non si sarebbero rassegnati: questione di carattere?«Non ho un carattere abbastanza guerriero? Non so. C’è un detto latino, “ne quid nimis”, mai nulla di troppo. Se quello che hai è abbastanza, perché esagerare?».Momenti duri, dice.«Non nego che mi presi due begli schiaffoni: l’eclissi professionale e contemporaneamente la separazione da Natalia (Estrada, ndr). La fine di un matrimonio è sempre un fallimento».Agli inizi lavorò con Scotti, Ventura, Panicucci, ancora sulla cresta dell’onda tv.«Simona e Federica già allora erano belle grintose: eravamo i “patatosi”, specie di valletti sponsorizzati di Scotti in Smile. E Gerry già un fuoriclasse. Per insegnarci come stare in scena mandarono me, Simona e Federica a lezioni da Piero Mazzarella: anziano, narcolettico, si addormentava sul più bello. Un po’ ci spaventava».Ha sempre parlato un gran bene di Funari.«Gli devo tutto: mi ha insegnato come stare davanti alla telecamera. Al famoso concorso di bellezza, c’era lui dietro. Era un genio, ma alla fine gli era venuto una specie di delirio di onnipotenza televisiva».Berlusconi?«I ricordi sono più legati al Milan che alla tv: gli devo eterna gratitudine per la meravigliosa stagione della mia squadra del cuore, averla potuta seguire in trasferta e negli spogliatoi. Ho persino giocato nella partita del centenario. Per un tifoso più bella cosa non c’è».Ci fu anche una fase telenovele e fotoromanzi.«Anche quella: esperienza eccezionale. Sono stato a Buenos Aires, Città del Messico, Caracas. Ho incontrato icone come Grecia Colmenares, Verónica Castro».Insomma, mai niente di deprecabile?«Una cosa c’è: Ceint’anne, un film davvero inguardabile con Mario Merola e Gigi D’Alessio. Se ne trova traccia sul web. Dicono che, uscito l’anno di Titanic, a Napoli abbia incassato di più. Così brutto che non lo salverebbe neppure Tarantino. Facevo il cattivo».Come nella serie Romolo+Giuly: com’è andata?«Altra esperienza divertente e gratificante: ricevetti molti complimenti. Interpretavo me stesso, facile. Recentemente uno degli autori mi ha detto che sta scrivendo una cosa bellissima su di me. Confesso che sono molto curioso».