Domenicale, 3 marzo 2024
Calvino e l’intelligenza artificiale
Il sogno di costruire automi coscienti e pensanti, che, negli anni Cinquanta del secolo scorso, cominciò a prendere forma con Alan Turing, Norbert Wiener e John McCarthy, ci ha condotto alla rivoluzione informatica e sta ora spalancando le porte all’Intelligenza artificiale (Ai). Quel sogno oggi, però, diventa fonte di inquietudine e paure. Con l’avvento dell’Ai, temiamo che le macchine prendano il potere o ci soppiantino, rendendoci superflui. Tra il sogno di prima, che si amplifica nel sogno dell’uomo «aumentato», e i timori di oggi, che spesso dilagano in angosce e misoneismo, sembriamo il «visconte dimezzato» dell’omonimo racconto di Italo Calvino. Medardo, il giovane visconte di Terralba, è diviso in due da una palla di cannone che lo colpisce al petto, dopo essere giunto con il suo scudiero Curzio nell’accampamento dei cristiani in guerra contro i turchi in Boemia. E, da quel momento, le due metà, perseguono obiettivi opposti e ugualmente “assoluti”, il male e il bene, ma nessuna delle due sembra tuttavia riuscire a concludere nulla.
La soluzione è eliminare la divisione, la dicotomia? Ricomporre le parti separate in uomini «interi», «perfetti», «completi»? In volontà univoche? No, perché Calvino sa bene che qui si annida un altro sogno ancora più pericoloso, che, pochi anni prima della stesura di quel racconto, aveva visto trasformarsi nell’incubo dei totalitarismi. Nel racconto, al contrario, si conferma come la nostra incompletezza sia una realtà, una risorsa e una chiave di accesso alla conoscenza di noi stessi.
La soluzione, anche per le dicotomie intelligenza naturale-intelligenza artificiale e uomo-macchina, dinanzi alle quali ci pongono le tecnologie emergenti, la offre lo scrittore stesso con il suo «Metodo», di cui si trova ampia traccia nei suoi saggi e, in particolare, nelle Lezioni americane, dove ci invita a essere leggeri nella gravità, rapidi nella lentezza, inesatti nell’esattezza, unici nella molteplicità e forse incoerenti nella coerenza.
È questa la convinzione che ispira il nuovo libro di Andrea Prencipe e Massimo Sideri, Il Visconte cibernetico. Italo Calvino e il sogno dell’intelligenza artificiale, che di quel «Metodo» sonda il valore euristico e preveggente. Calvino, argomentano Prencipe e Sideri, ci ha saputo indicare la via per cercare di catturare la complessità e per imparare ad abitarla: vedere la complementarità nell’antagonismo, conservare la tensione tra concetti tradizionalmente considerati opposti, ciascuno esclusivo dell’altro. Così non contrappongono «uomo» e «macchina», anche quella cosiddetta intelligente, perché l’uomo è sempre un complesso coevolutivo con i suoi oggetti tecnici. Frutto della nostra conoscenza, della scienza sperimentale e dell’applicazione di teorie, nello stesso tempo le tecnologie ci aiutano a progredire nelle conoscenze stesse e nelle scoperte scientifiche.
Qualunque concezione che ponga alla base della vita sociale dicotomie irriducibili è necessariamente portata a negare ogni possibilità di innovazione e di cambiamento. Questo principio-guida, che Prencipe e Sideri estrapolano dal «Metodo Calvino» consente di affrontare il problema del nostro rapporto con gli sviluppi dell’Intelligenza artificiale.
A loro avviso, se vogliamo evitare la tentazione di un rifiuto «apocalittico» delle nuove tecnologie, ignorandone i vantaggi, o, per converso, di cedere al fascino del tecnosoluzionismo, lasciando impigrire la nostra facoltà di pensiero, dobbiamo preservare e coltivare, non «contro» ma «con» la stessa Intelligenza artificiale generativa, l’attitudine alla creatività, cioè la capacità di cambiare la propria maniera di vedere le cose, l’attitudine all’innovazione, cioè la capacità di cambiare le cose, e l’attitudine a quel senso critico, problematizzante, che sviluppiamo con l’arte dell’investigare e dell’interrogare. Quest’ultima è definita dagli autori, con una bella espressione mutuata da Calvino, un «attributo geloso dell’umano». L’ars interrogandi è la sfera in cui possiamo dispiegare al meglio la nostra creatività. Se le risposte potranno essere articolate mediante strumenti di Intelligenza artificiale generativa che rielabora saperi e informazioni disponibili online, le domande saranno pertinenza dell’essere umano. D’altra parte, è questa logica investigativa, interrogante e creativa il motore segreto della stessa scienza, che batte sentieri inesplorati e formula domande improbabili o divergenti in determinati momenti storici. L’algoritmo generativo tende a massimizzare la combinatoria di conoscenze già note, mentre la mente umana creativa e indagante tende all’improbabile e all’ignoto, a scoprire ciò che non sapeva di non sapere, apre le porte all’inatteso, come diceva Euripide.
Apprendere a formulare domande, per governare e non essere utenti passivi dell’Intelligenza artificiale, è per Prencipe e Sideri una competenza chiave da rigenerare nell’educazione futura, considerando appunto che «si gioca tra domanda e risposta il delicato equilibrio che si sta venendo a stratificare nella società tra sapiens e macchine». Per restare «umani» dobbiamo rimanere «creatori», con la «c» minuscola. Come osservava Vladimir Jankélévitch, creatore è chi non fa mai ciò che i suoi imitatori avrebbero fatto al suo posto. E tra questi imitatori possiamo includere anche le potenti macchine «intelligenti». In altri termini, ci tocca rimanere «in questo mondo pieno di responsabilità e di fuochi fatui», come conclude Calvino nel suo racconto, vedendo scomparire all’orizzonte, come una nave, i sogni impossibili che pure ci connotano, ci animano e c’inquietano.