Domenicale, 3 marzo 2024
Il pazzo di Gogol
le sofferenze di dentroNikolaj Gogol’. Popriš?in è il mesto protagonista delle «Memorie di un pazzo», il romanzo russo riedito con la cura e la traduzione di Serena Vitale. Che ci presenta i dilemmi del povero funzionarioSerena Vitale
Voluta da Pietro il Grande, nel 1722 la «tabella dei ranghi» aveva diviso i sudditi – esclusi, ovviamente, i servi della gleba – in quattordici classi, formalizzando il ?in («grado»), la condizione giuridica e sociale di chi serviva lo Stato nell’esercito, a corte, nella pubblica amministrazione. A ciascun grado corrispondeva un abbigliamento di cui veniva prescritto ogni particolare (lunghezza, ampiezza, numero di bottoni, colletti, baveri, cappucci, pellegrine, colore, tipo di stoffa, mostrine, galloni). Un enorme impero in divisa...
Nel 1832 Gogol’ aveva letto e amato i racconti della Casa dei pazzi di Vladimir Odoevskij (poi nelle Notti russe, 1844), consacrati a spiriti eletti – da Piranesi a Beethoven e Bach – che la gente comune (i «non iniziati», avrebbe detto Puškin) considera folli. E in un indice provvisorio di Arabeschi (1835) aveva annotato il titolo Memorie di un musicista pazzo. Il «musicista» scomparve. Nel suo diario Popriš?in fa soltanto un breve accenno a un «amico che suona bene la tromba» di cui non sapremo più nulla.
Popriš?in è un ?inovnik («funzionario», «impiegato» nell’amministrazione pubblica), figura cui la letteratura russa ottocentesca deve personaggi memorabili: dall’Evgenij del Cavaliere di bronzo puškiniano a Marmeladov di Delitto e castigo fino a ?ervjakov del racconto di ?echov Morte di un impiegato. E non di rado il ?inovnik è anche il «piccolo uomo» che incontriamo più volte nei romanzi e racconti russi dell’Ottocento: di umile estrazione sociale, non ha forza di carattere né particolari qualità; è mite, sincero, incapace di reagire a umiliazioni e offese, vittima di un destino sempre avverso... Il più famoso «piccolo uomo» delle lettere russe è in un altro racconto di Gogol’: Akakij Akakievi? Bašma?kin, il mite scrivano che muore schiantato dal dolore quando viene derubato del nuovo cappotto che gli è costato mille privazioni. Di cultura mediocre, bruttino («sapessi che mostro!... Capelli che sembrano fieno» – così lo descrive a un’amica la cagnetta della giovane di cui s’è invaghito), Aksentij Ivanovi? Popriš?in presta servizio nell’ufficio di un ministero pietroburghese con il grado di consigliere titolare (nono nella «tabella»), lo stesso di Akakij Akakievi?. Sogna avanzamenti di carriera quasi impossibili: la promozione all’ottavo grado (assessore di collegio) veniva concessa raramente giacché conferiva la possibilità di trasmettere ai discendenti il titolo nobiliare, cosa sgradita agli aristocratici d’alto lignaggio. È molto probabile, dunque, che Popriš?in sia destinato a restare per sempre uno degli «eterni consiglieri titolari» o tituljaški, come venivano chiamati per scherno.
A differenza di Akakij Akakievi?, Popriš?in è astioso, arrogante, non ispira simpatia né commiserazione. Quarantadue anni, scapolo, non ha parenti (quanto meno non appaiono nel racconto) né amici, vive chiuso in sé stesso, senza alcun contatto con il mondo esterno, salvo il detestato dipartimento in cui lavora – svogliatamente, male. È però un esperto affilatore di penne d’oca. Una volta alla settimana viene chiamato a svolgere questa mansione nello studio privato di Sua Eccellenza il direttore del dipartimento, padre di Sophie, una leggiadra fanciulla che vede soltanto di sfuggita, in poche occasioni, e di cui s’innamora perdutamente.
«Lui era consigliere titolare, / e lei la figlia di un generale; / lui dichiarò timido il suo amore, / ma lei, crudele, lo scacciò. / Se ne andò il consigliere titolare, / tutta la notte bevve dal dolore, / e nella nebbia dell’ebbrezza / ognor vedeva la figlia del generale». (Pëtr Vejnberg, 1859; musicata da Dargomyžskij, divenne una romanza di successo).
Anche Gogol’ fu per qualche tempo un ?inovnik. Nel dicembre 1828, lasciata la natia Ucraina, si trasferì a San Pietroburgo: i suoi mezzi, scoprì, erano del tutto inadeguati alla vita nella capitale dell’Impero, le sue speranze di affermarsi come attore o poeta non si realizzavano... Alla fine del 1829 entrò – con il grado più basso (registratore di collegio) della «tabella dei ranghi» – nel dipartimento dell’Economia statale e degli edifici pubblici. Prestò servizio per un anno e mezzo. Era un pessimo funzionario. Detestava il lavoro, i colleghi, la farraginosa e soffocante macchina burocratica.
Popriš?in vive unicamente del suo stipendio: venticinque-trenta rubli d’argento al mese. Spende un quarto di questa somma per l’appartamento in cui abita, il resto gli basta appena per vivere decorosamente. I suoi unici lussi: una cameriera, l’acquisto di un popolarissimo quotidiano, talvolta il teatro (commediole senza pretese). Il suo unico diletto: vedere, pur di sfuggita, per un attimo, «Sua Eccellenzina».
I primi segni di alterazione psichica si manifestano quando per strada sente conversare due cagnoline... E si aggravano quando dalle loro lettere (le bestiole non soltanto parlano, sono anche in corrispondenza epistolare) viene a sapere che l’amata Sophie andrà sposa a un altro uomo, un giovane kamer-junker; alla mai confessata coscienza della propria inferiorità si sostituisce rapidamente una patologica mania di grandezza. Il manto di timoroso silenzio che si era imposto («Vabbè, vabbè, silenzio!»), quasi un’autocensura, diventa il mantello del «re di Spagna» – del monarca che ora è convinto di essere. E da re di Spagna si comporta nel manicomio in cui viene rinchiuso, sottoposto a cure che in realtà sono crudeli, disumani castighi. Soltanto allora Popriš?in suscita la nostra compassione.
Non è più un consigliere titolare o un re, ma una vittima, la sofferenza personificata. Ci strappa quasi le lacrime con le sue implorazioni di aiuto: «Perché mi tormentano? Che cosa vogliono da me, poveretto? Che cosa potrei dar loro? Non ho nulla». Subito dopo, però: «Ma lo sapete che il dey di Algeri ha un bitorzolo proprio sotto il naso?».