La Lettura, 3 marzo 2024
Il clima e la letteratura
Dai racconti tradizionali alla climate fiction contemporanea, gli esseri umani si sono sempre rivolti alle narrazioni per gestire e tentare di comprendere il loro rapporto con il clima. Oltre che di modelli archetipici, costumi, morali e modi di stare al mondo e di considerare il sacro, il mito antico ha tenuto traccia degli effetti dei disastri dei cambiamenti climatici rimasti nella memoria collettiva dei popoli del passato, registrando la manifestazione di un superamento che assomiglia solo in parte a quello che il genere umano vive oggi.
Gli episodi sono classici: il diluvio universale biblico, mitologema planetario riscontrabile in culture molto diverse tra loro, ha come possibili riferimenti eventi accaduti circa 15 mila anni fa, dopo la fine dell’era glaciale e il conseguente innalzamento del livello del mare. Lo stesso discorso vale per un’altra catastrofe ambientale di pari ampiezza, l’incredibile siccità che investì il globo tra il 2200 e il 1900 a.C. e che contribuì alla fine di civiltà come quella sumera, egizia e della valle dell’Indo. Nell’epopea di Gilgamesh si racconta che la siccità viene provocata dal Toro celeste inviato dalla dea Inanna come vendetta contro lo stesso Gilgamesh e la città di Uruk. Ci si domanda se le storie di Fetonte e di Atlantide non siano legate a eventi naturali che sconvolsero il mondo, così come i grandi incendi che ciclicamente tornano nei miti, dai draghi sputafuoco della cultura cinese alle divinità vulcaniche delle Hawaii.
In tempi più recenti rimane traccia scritta nelle fonti classiche dell’optimum climatico romano, un periodo cioè di clima caldo umido che interessò l’Europa tra il 200 a.C. e il 400 d.C. e che fu, secondo alcuni storici, tra le possibili ragioni sia della straordinaria espansione dell’Impero romano che della sua caduta al ritorno del freddo sul continente.
Espressione indiretta e obliqua di quello che viene chiamato «anno senza estate» fu la nascita della letteratura gotica. Durante il 1816 si manifestò infatti una grave anomalia climatica dovuta probabilmente all’eruzione del vulcano Tambora in Indonesia, le cui ceneri oscurarono il sole e raffreddarono il nord dell’Europa e del continente americano, facendo precipitare le temperature (rimangono come testimonianza visiva dell’epoca i cieli infuocati dei dipinti di William Turner). Fu proprio durante le nevicate di quello strano luglio che Mary Shelley e i suoi compagni si chiusero in casa per il troppo freddo e iniziare quella gara di racconti di paura che sarà all’origine, tra gli altri, di Frankenstein.
La fine dell’Ottocento fu un’epoca in cui il rapporto tra uomo e natura iniziò a modificarsi, e dove si cominciava a immaginare, con le prime forme di una geoingegneria fantastica, di poter intervenire sul tempo atmosferico. Prova ne è Il pretendente americano, di Mark Twain, in cui la dimensione economica e quella climatologica iniziano a mescolarsi.
Anche se le ragioni dei cambiamenti che affronta oggi l’umanità non sono le stesse di quelli antichi, data l’accertata responsabilità antropica dei più recenti, quello climatico e più in generale quello ecologico sono temi sempre più al centro della produzione letteraria contemporanea. I romanzi che si interrogano sul clima cercano di immaginare il nostro futuro e al tempo stesso provano a spostare il focus su prospettive non umane. Se il mito antico aveva lo scopo di tenere vivo il ricordo di eventi traumatici a monito per gli esseri umani di allora (il cataclisma è inviato dagli dèi sempre come punizione per i misfatti terreni), i romanzi che hanno al centro le conseguenze del collasso climatico si trovano a parlare con la voce di profeti inascoltati. È in questo senso che possono essere letti alcuni titoli fondanti della cli-fi, genere che spesso s’è ibridato con la distopia e la fantascienza. Le città inabissate de Il mondo sommerso di James Ballard diventano l’epitome dell’avventura umana nel confronto con la storia del pianeta: lo scioglimento dei ghiacci ha innalzato il livello del mare e i protagonisti si ritrovano a vivere in un mondo che assomiglia sempre di più a quello preistorico, in una regressione che interesserà la loro stessa psiche. Più spaventoso e apocalittico è Oceano rosso di Han Song in cui l’autore cinese (uno dei tre generali della fantascienza del Paese asiatico) inventa un mondo in cui passato, presente e futuro si mescolano e in cui l’umanità, che si è evoluta tanto da avere sviluppato pinne e branchie, ha dimenticato la terra da cui proviene e sopravvive nuotando in un oceano rosso per l’inquinamento.