La Lettura, 3 marzo 2024
Sui chip da impiantare nel cervello
Elon Musk sta, da tempo, sviluppando un progetto di ricerca con evidenti ricadute industriali: creare un traduttore che faccia dialogare il cervello umano con il computer. La sua azienda Neuralink ha già realizzato delle interfacce cervello-computer (Brain-Computer-Interface o Bci) che si basano su sensori impiantati nel cervello che catturano le onde cerebrali, le codificano, utilizzando anche algoritmi di Intelligenza artificiale, e le trasmettono al computer.
Le realizzazioni di Musk fanno parte di un vasto fronte di ricerca che cerca di creare dei pattern cognitivi e comportamentali a partire dalle attività elettriche cerebrali. I risultati finora non sembrano molto convincenti. Ad esempio il recente annuncio di Neuralink di avere impiantato un chip, chiamato Telepathy, nel cervello umano sembra un grande passo in avanti, ma mancano i dati sulla sua attività. In teoria questo chip delle dimensioni di un bottone, che ospita un migliaio di elettrodi, dovrebbe amplificare i segnali dei neuroni, raccoglierli, codificarli e trasmetterli all’esterno in formato wireless. Il punto critico è la codifica comportamentale, ad esempio l’intenzione di movimento trasmessa a un robot. Di tutto ciò non si ha notizia, in quanto non esiste pubblicazione scientifica che la descriva.
Non è detto, però, che in un prossimo futuro la traduzione delle onde cerebrali in configurazioni cognitive e comportamentali non venga raggiunta. Se ciò avvenisse quali problemi si porrebbero per la salvaguardia della privacy e il rischio di manipolazione da parte delle aziende e di controllo politico sulla libertà del cittadino? La registrazione di onde cerebrali, la loro archiviazione e il loro utilizzo a fini commerciali, politici o sociali diventerebbero un serio problema giuridico.
Il tema può sembrare, forse, un po’ prematuro. Non è così se consideriamo la velocità con cui, negli ultimi anni, i dati presenti nei social network, ad esempio in Facebook, sono stati codificati in profili comportamentali. Queste profilazioni sono state utilizzate copiosamente a livello commerciale e politico. Lo scandalo di Cambridge Analytica (CA) e l’analisi di Shoshana Zuboff sono un esempio
Zuboff nel suo Il capitalismo della sorveglianza (Luiss University Press) analizza l’approccio predatorio e manipolativo delle imprese digitali da una prospettiva comportamentale. Nell’era di internet, le aziende mirano a fare molto di più che raccogliere e analizzare i dati dei clienti per consentire il miglioramento di prodotti e servizi. Vogliono sfruttare il cosiddetto “surplus comportamentale”, ovvero dati che vanno oltre l’utilizzo di prodotti e servizi online. Possono includere informazioni relative alla posizione, all’età, alla professione, allo stile di vita, alle abitudini e a una serie di preferenze personali e professionali. Facebook e Google lo utilizzano da anni per fare previsioni che consentano loro non solo di indirizzare la pubblicità in modo più efficace, ma anche di implementare architetture di scelta in grado di influenzare il comportamento. La profilazione basata sul surplus comportamentale si basa su algoritmi di Intelligenza artificiale e consente alle aziende di provare ad anticipare le scelte dei consumatori e indirizzarli verso i prodotti preferiti e più redditizi per l’azienda. Zuboff fornisce un esempio paradossale e inquietante di come i social network riescano a dedurre che una consumatrice sia incinta e quindi segmentarla in termini di pubblicità attraverso l’acquisto di profumi meno intensi derivanti dall’aumentata sensibilità olfattiva che caratterizza la gravidanza.
La stessa profilazione comportamentale è stata osservata anche in contesti non commerciali, ma politici. Cambridge Analytica (CA) combinava data mining, data brokering e analisi dei dati con la comunicazione strategica nelle campagne politiche. Combinando queste discipline con la psicometria (lo studio quantitativo del comportamento umano), CA ha elaborato i dati degli utenti di Facebook per identificare precise tipologie di personalità e progettare messaggi mirati a seconda delle loro debolezze e paure. Il 2 maggio 2018 la società ha dichiarato bancarotta per avere contribuito a manipolare il pensiero degli elettori attraverso una propaganda segreta a favore di Donald Trump nelle presidenziali del 2016 e dei britannici pro-Brexit nel referendum dello stesso anno.
Sul tema di proprietà e privacy dei dati neurocognitivi si sofferma il libro Difendere il nostro cervello (Bollati Boringhieri), di Nita Farahany, docente di diritto e filosofia alla Duke Law School. La sua tesi è che, proprio in base alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sia urgente elaborare un nuovo diritto internazionale per la tutela della privacy mentale e neurale. All’individuo dovrà essere permesso il controllo dei dati che provengono dalla sua attività neurocognitiva, attraverso le emergenti neurotecnologie che registrano le onde cerebrali. Si deve tutelare la «libertà cognitiva» che include la privacy mentale e neurale, la libertà del pensiero e il diritto all’autodeterminazione. Questa rivendicazione di libertà è comprensibile, come abbiamo visto per quanto riguarda il cosiddetto surplus comportamentale, ma è giustificabile per le informazioni sulle onde cerebrali? Che uso potrebbero farne le aziende e i governi? Per controllare e limitare le nostre libertà o per indirizzare i nostri consumi? La perplessità è evidente in mancanza ancora di una credibile «profilazione» cognitiva e comportamentale delle onde elettriche del cervello che possa essere sfruttata a livello commerciale e politico.
Il panorama, però, sta cambiando velocemente e qualche preoccupazione comincia a diventare realistica. Apple ha sviluppato un prodotto che integra negli auricolari dei sensori capaci di registrare le onde cerebrali. Essi possono segnalare se una persona sia vigile e faccia attenzione a ciò che fa o, al contrario, sia distratta e con la testa fra le nuvole. Una compagnia americana, BrainCo, sta vendendo cuffie per l’elettroencefalogramma (Eeg) alle scuole in Cina dove vengono usate per controllare l’impegno scolastico. L’azienda Braiwave Science, che ha tra i suoi membri un cospirazionista amico di Trump, il generale Michael Flynn, sta vendendo un prodotto iCognative che sembra capace di estrarre informazione dal cervello umano ed è stato usato in un processo per omicidio a Dubai. La foto dell’arma del delitto ha stimolato nel cervello di un sospetto un pattern di riconoscimento caratteristico che lo ha indotto, poi, a confessare il crimine.
Un esperto dell’Università di Washington, Howard Chizeck, prevede che queste interfacce cervello-computer saranno usate per giocare online. In questo modo saranno in grado di estrarre dati neuronali sulle preferenze sessuali, razziali, politiche, derivanti dalla reazione emotiva e quindi elettrica dell’utente alle immagini. Lo scorso anno L’Oreal si è associata a un’azienda neurotecnologica chiamata Emotiv per orientare il consumatore in un percorso di esperienze olfattive sulle fragranze disponibili, registrando le risposte neuronali attraverso una cuffia di sensori Eeg. Al consumatore venivano presentate scene della vita quotidiana e la cuffia, aiutata da algoritmi di IA, era in grado di evidenziare quale profumo era più adatto alla situazione specifica.
Se lo sviluppo degli algoritmi della IA permetterà una traduzione psicologica più affidabile dei dati neurali, sarà necessario promuovere in anticipo un diritto internazionale che protegga la proprietà personale di questi dati da una parte e promuova il loro utilizzo, se consentito dal cittadino, per finalità scientifiche, sociali e di innovazione tecnologica.