la Repubblica, 6 marzo 2024
Croce e Gentile quasi amici
Esce l’ultimo volume del corposo epistolario tra i due grandi filosofi il cui lungo sodalizio venne interrotto dall’opposta visione del fascismo Ma ridurli solo alla loro adesione politica sarebbe un errore
Alto e drammatico è il tono delle due lettere che, nell’ottobre 1924, mettono fine al sodalizio intellettuale, quasi trentennale, tra Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Questi chiede all’antico amico «due parole franche e nette», venute «dal fondo del cuore», per chiarire se ha deciso di rompere «per motivi di ordine morale». E Croce, pur senza affondare il colpo, richiama il «dissidio mentale» cui «ora se n’è aggiunto un altro di natura pratica e politica», cosicché «il primo si è convertito nel secondo; e questo è più aspro». Aldilà dell’auspicio che «molte asprezze si chiariranno da sé», egli sa bene che la rottura è inevitabile. A spezzarsi non è solo il filo di affetto profondo tra due grandi intellettuali. È la storia d’Italia, crollata in un crepaccio da cui solo venti anni dopo riuscirà lentamente a risalire. Ma Gentile, ucciso il 15 aprile del 1944 sulla soglia di casa da un gruppo di partigiani, non pronuncerà mai le parole che il «caro Benedetto» sperava di ascoltare: «Tu avevi ragione».
Queste due lettere chiudono l’ultimo volume del Carteggio tra i due filosofi, appena edito dall’editore Aragno a compimento di un’impresa editoriale di grande rilievo, curato da Cinzia Cassani e Cecilia Castellani, per la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce e la Fondazione Giovanni Gentile. Si tratta della pubblicazione di tutte le lettere che i due filosofi si sono scambiate tra il 1896 e il 1924. Già a disposizione dagli studiosi in volumi separati, curati rispettivamente da Alda Croce e Simona Giannantoni, le lettere sono adesso riunite in un’unica edizione in cinque tomi, arricchita di documenti e informazioni essenziali, introdotta da un pregevole saggio di Gennaro Sasso. Oltre a restituirci in presa diretta la storia di un’amicizia fatta anche di scambi domestici e confidenze, il Carteggio costituisce uno straordinario capitolo del pensiero italiano nella prima metà del Novecento. Avviato quando Gentile, studente della Scuola Normale, si rivolge a Croce, trentenne e già circondato da stima e rispetto, l’epistolario prosegue, tra sintonie e dissensi, cresciuti nel tempo fino a sfociare nell’aperto dissidio, reso pubblico da Croce nel 1913. Poi, alla vigilia della guerra, quando Gentile si dichiara interventista e Croce neutralista, la divergenza filosofica comincia ad assumere portata politica. Fin quando, con l’avvento del fascismo, abbracciato da Gentile e osteggiato da Croce, la rottura diventa insanabile.
Eppure anche allora i due amici, ormai avversari, vengono percepiti come i due poli di un unico binomio, saldato dalla serietà di un impegno che non teme di mettere in gioco la vita stessa. Ad unire Croce e Gentileerano stati i grandi temi filosofici che entrambi ricavavano dai propri autori – Kant e Hegel, attraverso Spaventa, per Gentile, Vico e De Sanctis per Croce. Ad accostarli era la qualità di una ricerca filosofica all’altezza della grande riflessione europea, la dedizione assoluta alla ricerca, la capacità di creare un sistema organico di idee – più rigoroso e tecnicamente elaborato in Gentile, più arioso e aperto ad altri linguaggi in Croce. A questo proposito Sasso osserva acutamente che, tutt’altro che separarli, questa difformità lessicale contribuì ad avvicinarli, come accade quando la diversità attrae più della somiglianza perché consente a ciascuno di conoscere meglio l’altro e, attraverso lui, anche se stesso. In questo senso la geniale inquietudine di Croce era l’altra faccia della risolutezza concettuale di Gentile.
Poi, col tempo, quando i loro sistemi filosofici maturano, all’affinità comincia a subentrare la divergenza. Certo, i problemi su cui continuano a confrontarsi sono gli stessi: l’interpretazione di Hegel e Marx, la natura e il ruolo dell’estetica, il rapporto tra storia e filosofia. Ma già su essi si stagliano le differenze. Se Croce tende a chiudere il materialismo storico nel recinto dell’economia, Gentile lo immette nella filosofia della prassi. Poi, con la pubblicazione delle prime grandi opere – l’ Estetica (1902), laLogica come scienza del concetto puro e laFilosofia della pratica (1909) di Croce, L’atto del pensare come atto puro
(1912) e laTeoria generale dello spirito come atto puro (1916) di Gentile – lo iato si allarga. In questione è il rapporto, sempre decisivo in filosofia, tra Uno e molteplice. Croce afferma la distinzione tra i momenti dello Spirito, Gentile l’unità dell’Atto puro, intesa come un’identità che brucia tutte ledifferenze, a partire da quella tra pensiero e azione. A ben vedere, è proprio questa opzione, filosoficamente estrema, di Gentile, in cui Croce intravede una punta di misticismo, a determinare la rottura. Una volta che tra pensiero e azione si dissolve ogni distanza, non c’è posto per alcuna mediazione: la scelta politica deve tradurre immediatamente il pensiero in prassi vivente e viceversa. Perciò l’adesione al fascismo di Gentile non è qualcosa di esterno, o strumentale, che si aggiunge alla sua filosofia, ma la sua essenza profonda. Da quel momento egli resta sempre fedele a se stesso, percorrendo fino in fondo quello che gli appare insieme un destino e un supremo atto di libertà.
Ed è lì che il rapporto con Croce si spezza definitivamente, quando questi sceglie con altrettanta decisione di opporsi al regime. La rottura politica è definitiva quanto quella filosofica, e anzi perché filosofica. I due antichi amici sono pensatori troppo seri per non percorrere fino in fondo la propria strada, anche se li porta inevitabilmente alla collisione. Pur continuando fino al 1920 a pubblicare sulla Critica di Croce, prima di fondare la propria rivista, ilGiornale critico della filosofia italiana, Gentile è ormai lontano, pronto a seguire Mussolini su una strada senza ritorno. Dopo un’iniziale esitazione, Croce prende la direzione opposta, diventando il capo morale dell’antifascismo. Oggi, nel momento in cui disponiamo dell’intero epistolario, non dobbiamo cedere alla tentazione di sfumare la radicalità di quello scontro. Si avvicinano altre due ricorrenze. Quella della morte di Gentile, il 15 aprile, che verrà commemorata in Senato, e quella del centenario dell’uscita dei due Manifesti, da poco riediti, a cura di Alessandra Tarquini e Giovanni Scirocco, da Fuori Scena – quello fascista redatto da Gentile e quello antifascista, scritto da Croce. Ritornando, come è doveroso, a questi eventi, si profila un duplice rischio, da evitare: il primo è di negare, o ridimensionare, la filosofia di Gentile in base alla sua scelta politica. Il secondo di sfumare tale scelta, derubricandola a un liberalismo di destra. Sarebbe un grave errore e perfino un affronto. Gentile è stato uno dei più grandi filosofi europei e ha affrontato coraggiosamente la morte. Ma è stato radicalmente fascista. Croce, per questo motivo, è diventato il suo più strenuo avversario. I due Manifesti – quello fascista e quello antifascista – non si equivalgono, come qualcuno inizia a dire. Quello di Gentile difendeva quel regime che avrebbero soffocato la libertà per venti anni, conducendo l’Italia alla rovina materiale e morale. Quello di Croce difendeva ad ogni prezzo la nostra libertà con la forza dei principi e il coraggio delle idee.