Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  marzo 06 Mercoledì calendario

Intervista a Gianluca Grignani

 
«Sono stufo di leggere sui giornali la storia romanzata di una vita che non frequento». Gianluca Grignani a poche ore dal passaggio da un pronto soccorso di un ospedale piacentino è sincero e accorato, ha voglia di raccontarsi e raccontare come è andata veramente. Dopo essere stato in un locale di lap-dance in provincia di Piacenza il 51enne cantautore intorno alle 3 di domenica notte ha accusato un malessere. Il personale l’ha accompagnato all’esterno dove sarebbe stato visitato dal personale medico e infermieristico del 118 di Piacenza. Sul posto sarebbe intervenuta anche una pattuglia dei carabinieri. Da lì sono partite le speculazioni.
Ci siamo tutti preoccupati. Cosa è successo davvero?
«Sono single e la sera, se mi va, esco. Sono passato da un amico e con me c’erano altre persone. Sa com’è, la gente esce, si diverte e ogni tanto qualcuno esagera ma questa volta non sono stato io ad esagerare. Ho solo accompagnato al pronto soccorso una persona che si era sentita poco bene ma è ovvio che se qualcuno mi vede entrare in un ospedale parte un film. Devo iniziare un tour che mi darà parecchie soddisfazioni e l’ultima cosa che voglio fare è perdere il controllo. Seguo sempre il consiglio di Frank Sinatra: “c’è il tempo per bere e il tempo per fare”. Per me è venuto il momento di fare».
Quindi il ragazzo terribile del rock italiano stavolta non ha colpe e poi in un locale di lap dance ci si sta almeno sino alle 3 di mattina. Soffre di insonnia?
«Ah, perché? Era un locale di lap dance? Non me ne ero accorto e poi sull’ora non so dirle perché non seguo gli orari, sin da piccolo li ho sempre odiati. In più sto lavorando all’album e non riesco a pensare al giorno, alla notte. Mangio alle 5 mi sveglio alle 11, lavoro sino alle 3 e poi magari rimangio. Faccio un po’ come Prince: dormo e suono a qualsiasi ora».
Come sta oggi, davvero? Ha sempre parlato di due anime che in lei convivono ma spesso litigano e ora? Buoni rapporti o litigate?
«Lo sa come si dice? Mi sento come “sulla spalla del gigante”. Se dico che sto bene poi sto male e viceversa. Sul braccio mi sono tatuato la scritta: “ricordati di volerti bene” ed è un karma che seguo alla lettera, quando posso».
Manca poco alla partenza del tour Residui di rock’n’roll che il 22 marzo da Fontaneto D’Agogna (Novara) e farà tappa a Milano il 3 aprile e a Torino il 4. Come mai “residui” ?
«Le racconto un aneddoto: tempo fa ero in radio e c’erano altri due artisti molto importanti con me. Mi metto una mano in tasca e cade una cartina (era per un’innocua sigaretta) e intercetto il loro sguardo che dice: “Grignani, sempre il solito”. Li anticipo: “Non vi preoccupate, questi sono solo residui di rock’n’roll”. Da lì è nata una canzone che è forse la più bella che ho fatto e sta per uscire in un album che per adesso ha il sottotitolo Verde smeraldo. Ma è il primo di una trilogia di cui parlerò fra un po’».
Il rock’n’roll in questo Paese è sempre stato un po’ sottotraccia, non crede?
«Penso che negli Anni ’70 il rock’n’roll era in Peppino di Capri, nell’atteggiamento di Renato Zero, nel modo in cui scrivevano Tenco o Gino Paoli. Mi spiego, il r’n’r ci appartiene più di quanto pensiamo. Battisti era rock e la gente lo capiva poi c’era Mogol che lo edulcorava con testi a volte bellissimi a volte un po’ fuori tema. Mogol si sente genio ma secondo me non lo è quanto crede. Lo scriva pure. Vasco è il rock’n’roll eppure lo odiavo da piccolino perché mi sembrava esagerato e invece, cacchio aveva capito tutto. Il r’n’r è il popolo e noi siamo il popolo. Noi siamo naturalmente rock. Io ho grignanizzato il rock e una canzone come La mia storia fra le dita lo urla a squarciagola».»
I Måneskin hanno abbiano fatto bene al rock italiano o spaventano il ragazzino che dentro di sé dice: «io là non ci arriverò mai»?
«I Måneskin hanno fatto una cosa bellissima ma che giova solo a loro. Non hanno colpito il cuore del ragazzino di cui parla lei. Senza l’’Eurovision non sarebbero dove sono e poi, diciamolo, sono stati lavorati bene. La musica che fanno però non ha un’identità e, per l’amor di Dio, non voglio attaccare i Måneskin che saluto e abbraccio, ma credo che la loro identità sia ancora molto labile. Dico cose che gli altri non dicono e a loro consiglio di aprire occhi e orecchie. I Måneskin hanno svoltato ma il rock vero quando arriva al cuore svolta la vita di tutti prima ancora di chi lo fa». —