La Stampa, 6 marzo 2024
Croce-Gentile, le ultime lettere
Scrive Gentile a Croce, il 23 ottobre 1924: «Desideravo sopra tutto domandarti se era vero (che mi pare impossibile) che tu eri tanto scontento di me da volerla rompere; e scontento per motivi di ordine morale». Risponde Croce a Gentile, il giorno dopo: «Da molti anni ci troviamo in un dissidio mentale... ma ora se n’è aggiunto un altro di natura pratica e politica, e anzi il primo si è convertito nel secondo; e questo è più aspro».
Sono le ultime due lettere che si scrivono i due filosofi italiani che hanno segnato il Novecento. Dopo quasi trent’anni di amicizia e di scambi, non si parleranno né si scriveranno mai più. Un dissidio filosofico e politico, sullo sfondo dell’affermazione del regime fascista. Le due lettere chiudono il quinto tomo del Carteggio pubblicato dall’editore Aragno a cura di Cinzia Cassani e Cecilia Castellani. L’opera sarà presentata oggi alle 15 a Roma, all’Accademia dei Lincei, da Massimo Cacciari, Michele Ciliberto, Emma Gianmattei, Gennaro Sasso.
Abbiamo chiesto a Paolo D’Angelo, docente di Estetica all’Università di Roma Tre, autore della biografia del filosofo di Pescasseroli (Benedetto Croce, il Mulino) di spiegarci le ragioni di questa rottura a partire dalle ultime due lettere.
Perché litigano?
«Entrambi devono constatare che il loro dissidio ormai è radicale, perché si è spostato dall’ambito intellettuale e filosofico all’ambito politico. Fino al 1913 i due hanno una collaborazione piena, Gentile scrive molti saggi per la rivista di Croce, La Critica, e Croce lo sostiene nella carriera universitaria anche con battaglie furibonde. Poi comincia il dissidio teorico perché Gentile elabora la sua filosofia, l’attualismo, prende la tessera del partito e si avvicina definitivamente al fascismo».
Croce che atteggiamento aveva all’epoca nei confronti dei fascisti?
«Una posizione attendista, come molti liberali voleva capire dove sarebbero andati a finire e sperava fino all’ultimo che potessero essere recuperati a una dialettica parlamentare liberale».
Nel carteggio ci sono diversi riferimenti a Mussolini. Gentile (che lo chiama M.) accenna anche a suoi momenti di debolezza. Croce (che invece ne scrive per intero il nome) lo definisce impetuoso e spesso sconsiderato. Come lo giudicavano in realtà?
«Croce era diffidente, più nei confronti dell’uomo che del movimento politico, lo considerava impulsivo, anche se in queste lettere non ci sono delle critiche esplicite. Gentile invece crede in Mussolini e lo appoggia convintamente fino a entrare nel suo governo».
Ma allora perché Croce appoggia la riforma della scuola di Gentile?
«Perché sperava che potesse portare a termine quella riforma a carattere prevalentemente umanistico che lui aveva imbastito da ministro dell’Istruzione nell’ultimo governo Giolitti, tra il ‘20 e il ‘21. E in gran parte è così, anche se Gentile dà alcune accentuazioni che non erano nel progetto originale».
C’è una lettera in cui lo avverte che l’opposizione alla riforma si stava organizzando. Chi si opponeva?
«Si riferiva ad ambienti fascisti. Croce metteva in guardia Gentile dal pericolo che facessero fare alla riforma la stessa fine che avevano fatto fare alla sua. Ma poi venne approvata e curiosamente Mussolini la definì la più fascista delle riforme».
L’insegnamento della religione era uno dei punti di dissidio. Perché?
«Croce è sempre stato su posizioni fermamente laiche, considerava la religione una forma inferiore di conoscenza, quindi adatta ai bambini. Ne accettava l’insegnamento nelle elementari con la constatazione che quelli che erano gli orientamenti prevalenti nel corpo insegnante e soprattutto nelle famiglie. Nella riforma Gentile l’insegnamento della religione veniva però esteso a tutti gli ordini di scuola e questo è uno dei terreni su cui il dissidio si farà macroscopico perché Gentile appoggerà i Patti Lateranensi, mentre Croce andrà in Senato per pronunciarsi contro».
Quindi con la riforma della scuola Gentile aveva anticipato il Concordato del 1929?
«Non so quanto fosse pianificato. Dalla Chiesa arrivavano manifestazioni di diffidenza nei confronti della filosofia di Gentile. È possibile che ci fosse un calcolo politico. Certamente i passi successivi lo dimostreranno perché ci sarà anche da questo punto di vista un perfetto allineamento di Gentile con il movimento fascista».
Croce, tuttavia, riconosceva che “non possiamo non dirci cristiani”. Era una posizione più filosofica o più morale?
«Ci arriverà molto dopo, nel 1942, ma c’era stato di mezzo il nazismo, il totalitarismo e l’idea che Croce voleva far prevalere era che l’insegnamento morale del cristianesimo fosse qualcosa che non poteva non essere condiviso. Il punto che gli premeva sottolineare era la superiorità della religione cristiana rispetto alle ideologie razziste e materialiste».
Ma lei non pensa che i dissidio tra i due filosofi fosse più profondo e precedente all’avvento del fascismo?
«La mia impressione è che Croce covasse da tempo una diffidenza nei confronti della filosofia di Gentile. L’idea gentiliana dell’atto puro lo disorientava perché vedeva in questa filosofia la negazione della propria che si basava invece sulla pluralità dei campi, la storia, l’arte, la politica, l’economia. Quando questa diffidenza trapassa sul piano politico, Croce non può che prenderne atto e sancire la fine. Nella sua Storia d’Italia, scrive in sostanza che la filosofia di Gentile era la preparazione alla dittatura e al fascismo. Ne nasce una lite furibonda ed è la chiusura della parabola».
E non si parlarono mai più?
«No, né si scrivono, solo polemiche violentissime a distanza. L’epilogo è tragico, quando Gentile viene ucciso a Firenze nel 1944, Croce ha una reazione piuttosto fredda. È addolorato ma in qualche modo la considera una sentenza della Storia. Nelle memorie ricorda che invece la moglie, Adele Rossi, alla notizia della morte di Gentile, scoppia in lacrime. Un aneddoto singolare, come se a lei donna avesse riservato la reazione emotiva e a se stesso, l’uomo, il giudizio storico».