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 2024  marzo 06 Mercoledì calendario

La contesa del Barolo


Alba
«Go West», cantavano i Village People e i Pet Shop Boys. Più a est, sulle colline delle Langhe, i produttori di Barolo e Barbaresco, preoccupati dagli effetti del cambiamento climatico, sembrano tentati da un altro ritornello: «Go North». Per far fronte al surriscaldamento globale che minaccia i vigneti più esposti al sole, infatti, il Consorzio di tutela dei due più rinomati rossi piemontesi ha proposto l’eliminazione del divieto di impiantare filari di Nebbiolo atti a Barolo o Barbaresco nei versanti collinari esposti a nord, finora considerati inadatti a ottenere vini di qualità.
«In funzione delle condizioni climatiche che stiamo sperimentando e per fronteggiarne gli effetti, si è proposta questa modifica così da iniziare a ipotizzare soluzioni e adattamenti a problematiche che sono sotto l’occhio di tutti – spiegano dal Consorzio -. Si precisa che la superficie vitata di Barolo e Barbaresco è attualmente contingentata da bandi che regolano l’iscrizione alla denominazione e pertanto l’eventuale eliminazione dell’esclusione del versante nord non implicherà in nessun modo l’aumento di tale superficie, ma fornirà solamente una possibilità agronomica in più per i produttori». Apriti cielo. La proposta di modifica del rigido e storico disciplinare ha fatto storcere il naso a più di un vignaiolo, creando una divisione che un po’ ricorda quella di trent’anni fa tra modernisti e tradizionalisti. Da una parte c’è chi non vuole neppure sentirne parlare, liquidando l’idea come l’ennesimo tentativo di allargare la produzione e abbassare il valore, senza risolvere nulla del problema specifico. Si sono schierati per il no molti dei produttori più storici e blasonati, da Maria Teresa Mascarello e Marta Rinaldi di Barolo ad Alfio Cavallotto e Maurizio Rosso di Castiglione Falletto, Ceretto di Alba, Cristina Oddero e Silvia Altare di La Morra, Fabio Burlotto di Verduno, Marchesi di Gresy e Bruno Rocca di Barbaresco, che meditano una lettera aperta per esprimere pubblicamente il loro dissenso.
A favore ci sono i membri del consiglio di amministrazione del Consorzio, che hanno approvato all’unanimità la proposta e l’hanno messa ai voti: il presidente Matteo Ascheri, Stefano Pesci per la cantina cooperativa Terre del Barolo di Castiglione Falletto, Aldo Vacca dei Produttori del Barbaresco, Enzo Brezza e Federico Scarzello di Barolo, Marina Marcarino dell’azienda Punset di Neive e Luca Pasquero della cantina Paitin, sempre a Neive. La raccolta delle firme è appena iniziata e va detto che per far passare la modifica occorre superare un doppio quorum: il 66% della superficie vitata e il 51% della media dell’imbottigliato negli ultimi due anni. «Un sano esercizio di democrazia tra tutti i produttori e i viticoltori, che potranno esprimersi liberamente su un tema sempre più urgente e complesso» dice Aldo Vacca dei Produttori del Barbaresco. «Ci sentiamo a disagio con il metodo usato dal Consorzio, di cui non facciamo parte – replica Marta Rinaldi -. Se passasse, la modifica potrebbe cambiare l’economia di un intero territorio. Ma non c’è nessuna prova che il Nebbiolo impiantato a nord possa dare risultati anche solo sufficienti: la mia esperienza di cantina con oltre un secolo di storia va tutta da un’altra parte, per non parlare del pericolo di sfinire ulteriormente un territorio già abbondantemente piegato al monovitigno».
La questione è delicata: i cru storici del Barolo e del Barbaresco valgono milioni di euro all’ettaro e le posizioni migliori sono codificate da una pratica centenaria, avvalorata dalla fatica di centinaia di produttori impegnati ieri e oggi a ottenere il massimo della qualità. D’altra parte, il clima non guarda alla storia o al blasone e può mettere in crisi anche le certezze che sembravano più consolidate. E ciò non vale ovviamente solo per le Langhe, ma per tutti i territori del vino che vogliano interrogarsi sul proprio futuro.
Ma c’è anche un’altra proposta di modifica del disciplinare che è stata messa ai voti e che prevede la limitazione della zona di imbottigliamento per Barolo e Barbaresco, facendola coincidere con l’area di vinificazione. Ad oggi, il vino sfuso può essere trasportato e imbottigliato ovunque, anche all’estero. Non solo in teoria: pare che ci sia stato un caso di imbottigliamento di piccole quantità di Barolo addirittura a Denver, negli Usa. In questo caso, tutti d’accordo: meglio correre ai ripari