La Stampa, 6 marzo 2024
Intervista a Gazelle
Gazzelle, che voto prese alla maturità?
76 o 78, dovrei controllare.
Insomma.
Era un buon voto, date le circostanze…
Quante bocciature?
Un paio. Avevo cambiato un po’ di scuole. Alla fine istituto privato, per recuperare e chiudere il capitolo didattico.
Cosa non andava?
La condotta. Facevo tante assenze, non rispettavo le gerarchie. Mi sentivo un po’ anarchico, disobbediente, seguivo solo le mie regole. In compenso partecipavo alle occupazioni.
Marinava le lezioni?
Quando ne sentivo la necessità. Andavo a zonzo cercando ispirazione e scrivevo un mucchio di canzoni. Alcune sono entrate nei miei dischi. Scintille, Non sei tu.
Niente università.
E quale facoltà? Inseguivo un sogno: la musica. Una cosa rara.
A Sanremo, in coppia con Fulminacci, ha cantato Notte prima degli esami.
Con delicatezza, rispetto, senza strafare. Dopo, Venditti ci ha detto di essersi reso conto di quanto, ascoltandolo da voci altrui, quel suo monumento sia destinato a restare nel tempo.
La missione dei grandi autori.
Proprio questo vorrei: che i ragazzi che mi ascoltano oggi, quando avranno figli possano far sentir loro le mie canzoni. Sarebbe meraviglioso se durassero pure oltre la mia vita.
Anche lei ebbe l’imprinting giusto.
I viaggi in macchina con i miei. Le cassette che dovevi riavvolgere con la penna. Antonello, De Gregori, Fossati, Battisti, Dalla, Battiato. Più tardi, da solo, scoprii Rino Gaetano e Vasco. Se Aladino mi regalasse uno solo di quei capolavori avrei voluto scrivere Anima fragile.
Intanto la Capitale è spesso lo scenario dei suoi pezzi. C’è quello intitolato Roma, e il suo quartiere spunta nella sanremese Tutto qui.
Con la mia città ho un rapporto di odio e amore. Non potrei mai pensarmi altrove, è come una donna di cui non posso fare a meno, ma con la quale vivo una relazione tossica, conflittuale. Roma è superba, campa di rendita della sua gloria di duemila anni fa, è poco dinamica. Ma per questo mi strega. Se qui le cose non cambiano, vuol dire che il tempo passa più lentamente.
Anche a Roma Nord?
Mettiamola come un’amorevole critica a un ambiente borghese in cui devi imparare a crescere. Comunque scrivo solo di quel che conosco.
Ora ha 34 anni, ha conosciuto il successo a 27. Oggi tanti suoi colleghi, da Sangiovanni a Mr.Rain, alzano bandiera bianca.
Io non potrei mai mollare, sono felice solo facendo musica. Ma la gavetta serve. Ci sono adolescenti buttati in pista troppo presto da un mercato discografico tornato dispotico. A quell’età non hai la testa già strutturata per quello che resta un lavoro. Se un neodiplomato lo mandi subito in sala operatoria per dirigere un’equipe cardiochirurgica, ovvio che vada in tilt. Occorre fare esperienza, passo dopo passo. Concerti con dieci spettatori, poi cento, poi mille.
Invece tanti puntano sull’immagine, la gloria effimera via social.
Se dai più importanza alla fama istantanea e alla ricchezza che non ai contenuti, pagherai pegno. Però sono fiducioso che la storia del pop sia fatta di corsi e ricorsi. E che gli emergenti siano messi di nuovo in condizione di rivendicare le loro identità. Di poter maturare senza il terrore di sbagliare scelte.
Voi della vecchia infornata indie siete ormai dentro un percorso solido.
Chiamateci come volete: chi ce l’ha fatta è stato spinto dall’urgenza, dalla sostanza, dall’ambizione di creare qualcosa di duraturo. Quanto a me, evito i tormentoni estivi, le marchette, faccio meno tv possibile.
L’8 marzo, da Padova, parte un tour nei palazzetti. Il 16 maggio l’Arena.
Non ho un album nuovo, ma la scaletta è nel segno di uno storytelling semplice e sincero. Verona sarà un evento speciale, vorrò degli amici sul palco. Comincerò a fare qualche telefonata. E in estate altre date.
Il 9 giugno scorso si è preso l’Olimpico.
Prima di affrontare lo stadio ero concentrato, lucido, non avevo voglia di scappare, appena un sano filino d’ansia. Solo negli ultimi cinque minuti a ridosso del concerto mi ero isolato come un alieno. Gli altri mi parlavano, non li sentivo. Come Kevin Costner in quel film dove è un campione di baseball. Una volta davanti al microfono mi sono detto: goditela, chissà se ricapita.
Lei invece giocava a calcio.
Ai tempi delle medie. Ero un fantasista, il ruolo di Totti. Il ruolo e basta. Ok, non ero malaccio. Poi dai piedi sono passato alle mani, come strumenti di lavoro.
L’anno prossimo nella Roma al posto di Dybala?
Così dopo dieci minuti mi parte il crociato.
Stefano Mannucci
Dalla parte di Fazio
Da qualche giorno mezza Italia ciondola fra l’indignazione e il sarcasmo per l’intervista di Fabio Fazio a Chiara Ferragni, e si strugge all’idea di come l’avrebbe messa all’angolo, la ragazza, se gli fosse stato concesso di disporne per un quarto d’ora. La conversazione tra Fazio e Ferragni in effetti non è stata un interrogatorio, l’uno non aveva puntato una lampada in faccia all’altra, non l’ha presa per la collottola e sbattuta per bene, e anzi pareva urgente in lui il bisogno di far sentire lei accolta fra guanciali di raso. È lo stile della casa, da decenni, e gli ascolti – che, come il denaro, non sono tutto ma aiutano – fanno fede di uno stile apprezzato più di un po’. Qualcuno, non ricordo chi, ha scritto che Fazio non cerca la verità ma la testimonianza, e forse è un giudizio benevolo ma non troppo scorretto. Da giornalista non lo dovrei dire, ma a me la ricerca della verità ha sempre messo un pochino a disagio, soprattutto nella declinazione contemporanea, in cui molti della mia categoria la verità credono d’averla in tasca oppure di procurarsela a buon mercato: si alzano alla mattina e non si domandano che possano scrivere ma chi possano sgominare. Anni fa ricordo di aver sentito da un tg all’ora di pranzo dell’arresto di un assessore della Lombardia. Non era vero: l’assessore era ancora libero, ma non lo sarebbe stato più entro ora di cena. A me un giornalismo così, dotato delle formidabili fonti per pubblicare la verità prima che la verità si avveri, mette parecchia ansia. Onore a tutti questi vendicatori della notte, ma io preferisco la compagnia di Fazio e i suoi fuggiaschi.
Mattia Feltri
Quanto è difficile abortire
roma-milano
A 46 anni dall’approvazione della legge 194, abortire in Italia è ancora difficile: il caso francese, con l’introduzione del diritto all’interruzione della gravidanza in Costituzione, ha riacceso un faro sul nostro Paese – con la ministra della Famiglia Eugenia Roccella che sostiene che l’inserimento in Costituzione sia «divisivo» – e sull’effettiva applicazione della norma. A parlare sono i dati: in primis quelli relativi all’obiezione di coscienza, cioè a quei sanitari che si rifiutano, per motivi etici, di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) a una paziente entro i primi 90 giorni di gestazione come previsto dalla legge. Nel nostro Paese, secondo i dati del ministero della Salute relativi al 2021 (gli ultimi disponibili diffusi a ottobre 2023), lo sono il 63,4% dei ginecologi, il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico.
Addirittura, come si legge nella ricerca dell’Associazione Luca Coscioni “Mai Dati”, in 22 ospedali (e quattro consultori) italiani la percentuale di obiettori tra il personale sanitario è del 100%. Nel nostro Paese l’Ivg è possibile sia chirurgicamente, sia farmacologicamente (dal 2009) con l’assunzione in due dosi della pillola Ru486. Dal 2020, poi, con l’aggiornamento delle linee guida da parte dell’allora ministro della Salute Roberto Speranza, la somministrazione è possibile anche nei consultori e non solo in ambito ospedaliero. Di fatto, però, solo tre regioni la garantiscono in maniera omogenea: Emilia Romagna – verso cui si dirigono anche donne provenienti da Lombardia e Trentino – Lazio e Toscana.
Un focus sui dati 2022 della Lombardia dice che in 12 strutture su 50 l’accesso alla Ru non è garantito. Sul totale delle Ivg del 2022 (11.003) il ricorso alla pillola è stato in media del 40% con province ancora sotto il 20%. E su 62 strutture pubbliche lombarde, 5 non erogavano le Ivg a causa di un’obiezione di coscienza al 100%. Ad Asola, in provincia di Mantova, si ricorre ai gettonisti. Quanto al Piemonte, quasi un medico su 2 è obiettore e, nell’ottobre 2020, la giunta regionale di centrodestra ha diramato una circolare sull’aborto farmacologico che vieta ai consultori di somministrarlo, in dissenso con le indicazioni ministeriali. In Veneto è obiettore oltre il 71% dei sanitari: 252 i ginecologi su un totale di 352.
Com’è, invece, la situazione al Centro-sud? «Pessima» risponde Marina Toschi, umbra, ginecologa. Lei lo sa perché da decenni se ne occupa ma, se non bastasse, i dati ministeriali segnalano una realtà dove le difficoltà sono a ogni passo: ci sono aree come la Puglia, l’Abruzzo e la Sicilia dove oltre l’80% dei ginecologi si dichiara obiettore. Nel Lazio la percentuale di strutture che effettuano l’interruzione di gravidanza è il 45,5%, meno della metà. In Molise il 33,3%, un terzo. E in Campania, il 26,2%, vale a dire una su 4. Non va meglio altrove: si va dal 69,2% dell’Abruzzo al 50% della Sicilia o il 65,6% della Puglia. Così si ricava una mappa delle regioni dove i ginecologi non obiettori hanno un carico di lavoro eccessivo: in Abruzzo, ciascuno effettua 2 Ivg in media a settimana, in Molise 2,8, in Puglia 2,1 e in Campania 2,4 con un valore massimo per singola struttura che arriva a 11,8 in Abruzzo, a 10,4 in Campania e a 13,4 in Sicilia. E quanto si aspetta? In Calabria più di 28 giorni nel 12,4% dei casi. In Sicilia, nell’8,6% dei casi da 22 a 28 giorni e nel 21,6% da 15 a 22. Ancora, in Basilicata il 2,8% delle donne effettua un aborto oltre le 21 settimane di gestazione, l’1,9% in Puglia e l’1,8% in Sicilia. Un altro indicatore importante riguarda gli spostamenti: le donne dovrebbero poter abortire nella provincia e nella regione di residenza.
Invece quasi un’interruzione di gravidanza su 3 effettuata da residenti della Basilicata avviene al di fuori della regione e una su quattro nel caso del Molise, cifre molto superiori alla media nazionale che è dell’8%. Sono 9 le province italiane in cui oltre la metà delle interruzioni avviene al di fuori della provincia. Nessuna si trova a Nord di Fermo, nelle Marche. Oltre a Fermo ci sono Oristano, il sud della Sardegna, Chieti, Frosinone, Salerno, Vibo Valentia, Enna e Caltanissetta. «In Calabria non trovi un posto dove fare un aborto nemmeno per errore – aggiunge Toschi – in Sardegna si praticano troppi raschiamenti, in Basilicata la situazione è difficile, in Sicilia non c’è possibilità di aborto farmacologico. È una lotta continua, ci si affida al buon cuore dei pochi che ancora lavorano in un clima che è sempre più ostile».—