il Fatto Quotidiano, 6 marzo 2024
Spielberg ricorda sé stesso
Anticipiamo stralci di “Io sogno per vivere”, raccolta di interviste e confessioni di Steven Spielberg (dal 1974 al 2018), in libreria da oggi con la neonata casa editrice Wudz.
Il regista che mi ha influenzato più di ogni altro è John Frankenheimer. Non dal punto di vista visivo, ma come montatore. Il suo montaggio spesso ha più energia del contenuto della storia. Quando ho visto The Manchurian Candidate, ho capito per la prima volta cosa fosse il montaggio cinematografico. Tutte le cose negative, quelle che cerco di non fare nei film, le ho imparate dalla televisione… Credo che La rabbia giovane e Barry Lyndon siano film molto simili per quanto riguarda il periodo e per l’atmosfera che generano, il modo in cui il film si sente tra le dita, rispetto a ciò che si racconta agli amici della sua trama. Mi piace Barry Lyndon di Kubrick, ma per me è stato come attraversare il Prado a digiuno. E quando il film di Terrence Malick è finito, mi sono sentito come se fossi coperto di polvere e i miei capelli fossero unti, e avevo voglia di farmi una doccia. Io sono esattamente l’opposto, credo, per quanto riguarda i film che faccio. A volte rinuncio completamente allo stile per il contenuto. Ecco perché ritengo che Lo squalo non abbia uno stile. Lo squalo è tutto contenuto, esperimento. L’ho rivisto e mi sono reso conto che era il film più semplice che avessi mai visto in vita mia. C’erano solo le componenti essenziali della suspense e del terrore. Avrei potuto renderlo un film molto sottile, se avessi voluto. Avrei potuto fare diverse cose per renderlo molto più accattivante per il modo in cui penso di notte rispetto al modo in cui penso su un set. In un certo senso io sono due persone diverse; il mio istinto ha sempre il sopravvento sulla mia sensibilità, o il mio intelletto è sempre sconfitto dal mio istinto.
La televisione non ha avuto alcuna influenza su di me, per quanto riguarda il cibo spazzatura cinematografico. I miei genitori non mi hanno permesso di guardare la televisione fino a tarda età. Il televisore è sempre stato un grande oggetto proibito in salotto, che guardavo di nascosto quando c’era la babysitter e i miei genitori erano andati a una festa. Il mio interesse per il cinema si è sviluppato perché mio padre faceva molti filmini durante i nostri viaggi in campeggio. La mia era una famiglia amante della vita all’aria aperta e passavamo dei weekend lunghi, con i sacchi a pelo, in mezzo alla natura selvaggia sulle White Mountains dell’Arizona. Mio padre portava con sé la videocamera e filmava le gite, e noi ci sedevamo a guardare il filmato una settimana dopo. Mi faceva addormentare… Io sono diventato un appassionato di cinema dopo essere stato coinvolto nel mondo cinematografico.
Il peggio che possono fare è licenziarti; non possono ucciderti. Ho sempre preso i film sul serio, ma allo stesso tempo ho sempre avuto una certa ironia. Quando ti allontani e hai quegli improvvisi e preziosi momenti di totale obiettività e vedi un centinaio di persone correre, fare il loro lavoro, cercare di impressionare il loro partner, far cadere cose, commettere errori, piangere per questi errori, perdere le staffe, chiudersi nei camerini, rovesciare il caffè, perdere i loro soldi – ti siedi e ridi e ti dici che il mondo del cinema è un meraviglioso, inebriante carnevale, ma che se lo prendi troppo sul serio, ti ucciderà. Ma se riesci sempre a riderci sopra quando la pressione è davvero alta, se riesci a stare in disparte e a trovare qualcosa di divertente di cui ridere, è un modo per preservare la tua lucidità mentale, e questo è ciò che faccio quando le cose si mettono davvero male.
I film sono il mio peccato; il mio peccato principale è fare film. Trovo che le persone che bevono eccessivamente o assumono molte droghe non siano davvero felici della loro vita e di quello che fanno. Ho anche bisogno di una buona vita sociale e familiare. Tenendo conto di questo, di solito riesco a rimanere abbastanza normale.
Avevo 15 o 16 anni. Frequentavo il liceo. Stavo trascorrendo un’estate in California con i miei cugini. E volevo assolutamente fare il regista. Un giorno decisi di entrare nel lotto della Universal: avevo fatto il tour negli studios il giorno prima ed ero saltato giù dall’autobus. Incontrai un uomo simpatico di nome Chuck Silvers. Gli dissi che ero un regista dell’Arizona. Mi rispose: “Ragazzo, torna domani. Ti scriverò un lasciapassare e potrai mostrarmi alcuni dei tuoi film in 8 mm”. Organizzai un piccolo festival del cinema apposta per lui. Mi disse: “Sei un grande. Spero che tu ce la faccia. Ma, dato che sono solo un bibliotecario, non posso scriverti altri pass”. Così il giorno dopo, avendo osservato come si vestivano le persone a quel tempo, mi vestii come loro, portai una valigetta e passai davanti alla stessa guardia. Mi fece cenno di entrare. Per tre mesi, le mie intere vacanze estive, sono venuto agli studios ogni singolo giorno: ho trovato un ufficio, sono andato in un piccolo negozio che vendeva macchine fotografiche e lettere di plastica per intitolare i film, ho preso le lettere, ho trovato un ufficio abbandonato e ho messo il mio nome e il numero del mio ufficio sull’elenco con i nomi delle persone che lavoravano lì. Ho aperto la teca di vetro e ho attaccato le lettere adesive sull’elenco. E in pratica mi sono messo in proprio. Ma non ho mai ottenuto nulla. Ho imparato molto sul montaggio e sul doppiaggio guardando tutti i professionisti, ma non ho mai ottenuto un lavoro grazie alla mia imposizione.
Steven Spielberg
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